31 agosto 2006

nucleare legittimo?



Il sinistro D'Ulema ieri ha detto: " Se lo sviluppo della tecnologia nucleare è portato avanti da Teheran per fini pacifici esso è legittimo e ci potrà essere cooperazione anche con i Paesi europei."
Il nostro sinistro crede ancora alle favole!
Ricordiamo che l'attuale Presidente Iraniano Mahmoud Ahmadinejad e un "fondamentalista", ovvero un politico che si ispira ai fondamenti dell'Islam e della rivoluzione coranica. E' apertamente contro gli Stati Uniti; In varie interviste ha dichiarato che le Nazioni Unite sono "unilateralmente schierate contro l'Islam", che grazie al sangue dei martiri una nuova rivoluzione islamica è sorta ed è la rivoluzione islamica del 1384 (l'attuale anno in Iran, secondo il calendario dell'Egira) se Dio vorrà, taglierà le radici dell'ingiustizia nel mondo" e che "presto l'onda della rivoluzione islamica raggiungerà il mondo intero"; Nell'ottobre 2005, ha invocato la distruzione di Israele e la sua cancellazione dalla mappa geografica. Qualche giorno dopo ha augurato la morte a Israele e all'America.
Ricordiamo inoltre che Ahmadinejad e' anche accusato di avere partecipato alla presa degli ostaggi americani durante l'attacco a l'ambasciata americana nel 1979, dell' assassinio di politici kurdi in Austria, di dare supporto a gruppi terroristici (Hezbollah, Hamas ed altri), di tortura ed esecuzioni di prigiornieri politici.
E mentre gli Stati Uniti lanciano un ennesimo grido d'allarme, il nostro sinistro, con questa dichiarazione, ha praticamente giustificato e legittimato la politica nucleare di Teheran.

30 agosto 2006

Why Italy shouldn't lead the U.N. mission in Lebanon.

An article that appeared on the New Republic on line on the 25th of August By Jeremy Kahn

here's an old joke that goes something like this: In heaven, the policemen are British, the mechanics are German, the lovers are French, the cooks are Italian, and everything is organized by the Swiss. In hell, the policemen are German, the cooks are British, the mechanics are French, the lovers are Swiss and everything is organized by the Italians.
Well, in southern Lebanon, already not unlike hell--and where everything is organized by Hezbollah--it looks like the policemen may soon be Italian. Leggere l'articolo

French commitment...




"The formation of the new international peacekeeping force in southern Lebanon was dealt a setback when the French government only committed to sending 400 troops instead of the thousands of troops they originally agreed to send. Actually, it's not their fault. Turns out the French army only has 400 soldiers that can walk forward. Apparently, most of them, they're just not used to it."
Jay Leno

Finanze ed Evasione

Un articolo di Augusto FEI

Il viceministro Visco (in realtà è lui che comanda, come il subcomandante Marcos) non sembra avere una visione d’insieme della realtà economica italiana: l’unica cosa che sembra interessargli è quella di accrescere il più possibile il prelievo fiscale e di punire duramente i cittadini, soprattutto coloro che, secondo lui, non apprezzano l’impostazione neo stalinista dello stato.
Per chiarire questo sintetico concetto vale la pena di esaminare alcuni dati.
Il PIL italiano per abitante è il più basso fra tutti i principali paesi europei, segno evidente che ci sono numerose sacche di inefficienza, ahimè difese ed addirittura favorite dallo stato stesso. Va ricordato che nel calcolo del PIL, per dichiarazione degli stessi rilevatori, viene inclusa una quota del 15/20% di prodotto “sommerso”.
Il prelievo fiscale dichiarato (che ci auguriamo includa anche il prelievo effettuato dalle amministrazioni locali) è dell’ordine del 43% circa, superiore di 5/6 punti al prelievo medio dell’Unione Europea.
Il debito pubblico ammonta a circa il 110% del PIL, poco meno del doppio del debito medio globale dei paesi UE.
Il deficit infrastrutturale del paese è enorme: niente alta velocità, realizzata già da tempo nei principali paesi europei, autostrade insufficienti ed obsolete (le ultime costruite risalgono ad almeno trenta anni fa), ferrovie al collasso, eccetera.
Il numero di dipendenti pubblici è incredibilmente elevato (per il rinnovo del contratto dei dipendenti pubblici si è parlato di circa 3.500.000 persone, più i cosiddetti precari), ed a ciò corrisponde un servizio sicuramente inadeguato e spesso indegno di un paese civile. Si pensi alle lungaggini ed alle tortuose inefficienze dell’amministrazione, della scuola, della giustizia e della sanità, all’inutile e costosissimo mantenimento di ben oltre 100 province, ecc.
Tutto ciò sta ad indicare che le entrate dello stato vengono utilizzate nella quasi totalità per consumi, trascurando completamente gli investimenti, generatori di futura ricchezza. E non si dica che molta spesa viene assorbita dal sistema di sicurezza sociale: è serio avere una età pensionabile media di circa cinquantacinque anni e poi – salvo alcuni casi di sfacciato favoritismo – erogare pensioni ridicole ?

Fatte queste premesse, è inevitabile che il nostro paese non sia assolutamente in condizione di competere con i nostri principali concorrenti (Germania, Francia, Spagna, Regno Unito, senza parlare dei paesi cosiddetti emergenti), già nelle condizioni attuali. Ma sia il Ministro, che non sembra avere una voce particolarmente influente in merito, sia il viceministro, ignorando i dati di fatto, vuoi volutamente vuoi per ignoranza o per ostinazione ideologica, si sono posti il programma di aggravare la situazione del paese. Il ministro ha ufficialmente dichiarato che non vuole sentire parlare di tagli alle spese. Il viceministro (vero dominus della situazione) dichiara di avere come obbiettivo l’aumento delle entrate tributarie per assicurare una migliore giustizia sociale e l’aumento dell’efficienza generale. Temi principali sarebbero il recupero dell’evasione, dell’elusione e l’innalzamento di alcune aliquote.
A questo punto vale la pena di svolgere alcuni ragionamenti. Se il prelievo fiscale ammonta al 43% del PIL, ed il PIL stesso tiene conto di circa un 15/20% di sommerso, è ovvio che il prelievo sulla parte “dichiarata” del PIL ammonta a circa il 51/52%. Ossia lo stato preleva oltre la metà del reddito “ufficiale” del paese, e solo grazie all’esistenza di una forte percentuale di reddito sommerso il paese riesce, sia pur con le difficoltà a tutti note, a stare a galla. Ove si riuscisse (si tratta di una pura ipotesi) a recuperare alla tassazione tutto il sommerso, sarebbe quindi indispensabile ridurre fortemente il prelievo, anche solo per mantenerlo all’attuale livello, già oltre il 40%, esso stesso superiore al prelievo medio europeo. In realtà esso dovrebbe essere ulteriormente ridotto per allinearsi a quello dei nostri partners.
Ma c’è di più. Per dare una sferzata di efficienza al paese, occorrerebbe aumentare la quota di entrate tributarie destinate agli investimenti, limitando quindi la spesa corrente: burocrazia, spesa sociale, ecc. Cosa che può essere ottenuta solo attraverso un completo ripensamento e riorganizzazione di tutto l’apparato statale, dalla pletorica produzione legislativa, alla giustizia, alla scuola, alla sanità, alla previdenza, eliminando contemporaneamente tutte le numerose sacche di parassitismo e soprattutto riportando sotto l’autorità dello stato tutte quei territori, spesso estesi su intere regioni, ove regna sovrana la malavita. Va inoltre ricordato che l’esagerato livello dell’indebitamento pubblico fa gravare sul bilancio statale una colossale spesa per interessi, destinata ahimè ad aumentare qualora, come appare probabile, la Banca Centrale Europea intenda alzare ulteriormente il tasso ufficiale.
Tralasciamo poi, per amor di patria, di parlare della istituzione del “grande fratello fiscale” capolavoro del viceministro, che oltre a ridurre in modo inaccettabile per un paese democratico la libertà di azione dei cittadini (cosa ne è stato della legge sulla privacy?), porterà inevitabilmente ad un incontrollato incremento degli organici destinati a tenere sotto controllo asfissiante tutto il paese, e ad accrescere in maniera indecente le entrate delle banche e delle società di gestione delle carte di credito per l’assurdo divieto di pagare in contanti le prestazioni professionali oltre i 100 euro.
Il progetto dei responsabili delle finanze statali sembra invece essere esattamente il contrario di quanto la logica od il semplice buonsenso suggerisce: portare gradualmente sotto il soffocante controllo statale ogni attività del paese. In altre parole, sembra che il concetto degli attuali gestori della cosa pubblica sia questo: tutto quello che esiste o si produce nel paese è proprietà dello stato, che benignamente concede ai “sudditi” di conservarne una parte per il proprio sostentamento. Naturalmente le parti lasciate ai sudditi saranno diverse secondo che si tratti di “amici” o “nemici”. Siamo quindi tornati all’”ancien regime” di prima della rivoluzione francese, quello dei sovrani assoluti, o se si preferisce alla concezione stalinista dello stato, che tanto successo ha avuto per buona parte dello scorso secolo.

29 agosto 2006

Politica estera pericolosa

Ha perfettamente ragione, Alessandro Corneli di scrivere che "La sinistra continua a magnificare la propria politica estera, e la destra si limita a dire che è scorretto, che così non si fa, e sciocchezze del genere, come se scoprisse adesso le regole della politica."
Stiamo vivendo settimane incredibili, e rimango scioccato dalla mancanza di risposte serie da parte della destra e sopratutto dal fatto che nessuno, o quasi, reagisce.
Sarebbe forse ora di suonare il campanello di allarme.
La politica estera italiana e' riuscita a fare una virata di 360 gradi senza neanche un dibattito da parte dell'opposizione.
La politica di D'Alema e' semplice: Antiamericani e pro islamisti.
La guerra in Libano contro i terroristi Hezbollah ha offerto un'opportunita' unica alla sinistra (e D'alema in particolare) di portare avanti questa sua politica, approfittando della crisi e giocando perfettamente le carte ONU.
Forte del suo successo, D'Alema rilascia interviste che francamente, come dicono gli inglesi, "might raise some eyebrows".
Al New York Times dice: " I francesi hanno amici e nemici in Libano. Noi, no. Non abbiamo nemici in Libano”.
Al quotidiano israeliano Haaretz :" Hezbollah non è considerato un gruppo terroristico dall'Unione Europea, e non lo è nella mia opinione personale. Hezbollah è un'organizzazione militare ma anche una forza che partecipa alle elezioni”.
E nessuno dice niente. Nessuno reagisce.
Leggo poi, che il ministro della difesa Parisi ha detto che "il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo è scritto nella storia e nella geografia". Un ministro di stato non puo' sostenere affermazioni, che come scive giustamente Corneli :"autorizza qualche centinaio di milioni di islamici a sostenere che il ruolo di Israele non è scritto né nella storia né nella geografia."
Questi continuano a gettare olio sul fuoco e nessuno dice niente. Nessuno reagisce.
Io auguro e spero che questa missione finisca bene e in fretta. Ma ne dubito. L'europa e' un continente troppo disunito diplomaticamente e fragile politicamente. Molto bravi tutti a parlare e pontificare ma quando si tratta di agire....
Inoltre, con D'Alema che cerca di isolare gli Stati Uniti e l'Inghilterra (gli unici due paesi capaci di gestire la situazione) modificando cosi gli equilibri dell'alleanza fondamentale per combattere il terrorismo,(l'alleanza dei tre B's), l'Italia rischia seriamente di trovarsi sola ed impantanata nel fango del medio oriente.
Indovinate poi chi come al solito dovra' venire a salvarci?

28 agosto 2006

Missione di pace?

Prodi ha richiesto che nella forza UNIFIL siano incorporati dei paesi musulmani, 3 dei quali (la Malaysia,l'Indonesia e il Bangladesh) non riconoscono Israele. Non credo che questi sarebbero molto entusiasti a sparare contro i "fratelli" delle milizie Hezbollah.
Non era forse piu' logico chiedere alla Turchia, paese piu' moderato, di partecipare, riassicurando cosi Israele che vede con ansia la composizione di questa forza?

25 agosto 2006

Unione Europea...

Come uccidere un infedele

Un sito islamico offre consigli su come uccidere stranieri in Arabia Saudita. Il sito si chiama Al-Hesbah e il 4 agosto ha pubblicato un documento intitolato: Come uccidere un "crociato" sulla penisola araba. L'articolo consiglia come scegliere le vittime, seguirle, ed ucciderle. leggere l'articolo

E c'e chi, nel nostro governo, condona questi dementi. Semplicemente terrificante.

24 agosto 2006

Prove d'Europa

Un articolo di Alessandro Corneli

Venerdì, su richiesta del ministro degli Esteri italiano, Massimo D’Alema, si terrà una riunione straordinaria dei ministri degli Esteri dell’Unione Europa, cui parteciperà il Segretario generale dell’Onu, Kofi Annan.
Due sono le ragioni che hanno spinto D’Alema. La prima, essendosi molto esposto sulla partecipazione italiana alla missione in Libano, evitare che l’Italia si ritrovasse sola, tra le maggiori potenze della UE, a fornire un contingente significativo di circa 3mila uomini. Molti osservatori avevano fatto notare che la prudenza della Germania, della Francia e del Regno Unito avrebbe dovuto fare riflettere il governo italiano sulla pericolosità dell’impegno, stante le ambiguità della Risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza. leggere l'articolo

23 agosto 2006

Emergenza immigrazione: Quando diventeremo la Repubblica Islamica d'Italia...


Seriamente.
La situazione e' grave. I giornali, che per la maggior parte fanno riferimento ai partiti della coalizione al governo, parlano di "lager" per definire i nostri centri di prima accoglienza per i clandestini. Il governo vuole chiuderli. Bugie e falsità con un chiaro scopo.
Ovviamente non stiamo parlando di hotel a 5 stelle ma questi campi sono tenuti benissimo. I clandestini, in passaggio o in arrivo, sono curati, seguiti, nutriti al meglio. Ma il fatto più grave e preoccupante di questa situazione è che, mentre col governo precedente, in accordo con la legge Bossi-Fini, venivano organizzati con aerei e navi non meno di 30/40 viaggi mese per i rimpatri, attualmente la cadenza non è superiore a 1/3 viaggi mese. Ciò comporta ovviamente, con condizioni, politiche e meteorologiche, particolarmente favorevoli per gli arrivi, un sovraffollamento dei campi attrezzati con un innegabile degrado della qualità di vita dei clandestini nonostante il costante impegno di Forze dell’Ordine e organizzazioni preposte allo scopo. Le strutture erano state ideate per dare alla Polizia il tempo necessario per effettuare i dovuti controlli su persone che, per la maggior parte, arrivano senza provenienza, senza documenti e senza identità e stabilire se e come abbiano diritto a restare nel nostro paese o esserne espulse. Una volta concluse le indagini per la identificazione, che, in genere, possono richiedere qualche giorno, veniva concesso o un visto di ingresso (pochi) o il rimpatrio. La forte diminuzione e il mancato incentivo psicologico del personale adibito a queste operazioni ma soprattutto il mancato rimpatrio (si dice per mancanza di fondi, ma è falso) ha creato un sovraffollamento di questi centri con tutte le conseguenze che questo può portare. Peggio ancora accade quando alcuni di loro vengono rilasciati con foglio di via e 15 giorni di tempo per lasciare il nostro paese; ma non si capisce come potrebbero, quand’anche lo volessero, visto che questi poveretti vengono derubati di tutto dalle organizzazioni che li portano nel nostro paese e quindi ce li ritroviamo a vagare nelle nostre città senza documenti e preda delle organizzazioni criminali, nostre o loro, che acquisiscono manovalanza disperata e senza nulla da perdere. Potenziali terroristi, o futuri tali, che vagano incontrollati e incontrollabili nelle nostre città. E come se non bastasse, adesso vorrebbero concedergli la nazionalità dimezzando, da 10 a 5 anni, il tempo minimo richiesto per ottenerla. Basterebbe dimostrare la propria presenza e un posto di lavoro per il periodo richiesto e, secondo loro, queste persone sarebbero dei cittadini a tutti gli effetti integrati nella nostra società e alle nostre leggi.
Integrazione? Ma per favore. I terroristi arrestati a Londra erano inglesi da 2 generazioni che erano nati cresciuti e vissuti in Inghilterra e che lì avevano ricevuto pure “una signora istruzione”.
Ma basta andare a vedere un "loro" quartiere, a Londra, per esempio, viene addirittura chiamato “Islamistan”, o a Chicago, per rendersene conto. In Italia, a Brescia, una delle province del nord a più alta densità di immigrazione legale, con buone possibilità di accesso al lavoro e teoricamente integrata, un padre sgozza la figlia perché, essendosi effettivamente integrata, aveva rifiutato il sistema arcaico di società patriarcale che la famiglia e il padre in particolare avrebbe voluto imporgli. Questa poveretta aveva conseguentemente adottato uno stile di vita consono a una ragazza seria, di 20 anni, ormai adeguata al paese in cui era cresciuta e dove aveva studiato ma che, per tutta risposta, non è stato in grado di fornire una protezione adeguata pur essendo le istituzioni a conoscenza del pericolo che correva. Adesso, però, viene riconosciuta la protezione al fidanzatino italiano, distrutto dal dolore per non essere riuscito a proteggere la fidanzata, che, secondo alcune notizie, correrebbe addirittura ulteriori rischi. Siamo alla vera follia!!!
E cotanto esemplare di padre aveva anche già fatto la domanda per ottenere la nazionalità italiana!!!! Sarebbero questi, dunque, gli immigrati cui si chiede di diventare i futuri cittadini italiani? Non sarebbe il caso di informarli, visto che non pare lo sappiano, che le leggi italiane non seguono i dettami della sharia, (almeno per il momento)? Ma non serve, a questo punto, stupirsi più di tanto: basta constatare quanto questo fac-simile di governo, e soprattutto la fronda che lo supporta, appoggi senza vergogna palestinesi di Hamas o Al Fatah, Hezbollah e qualsiasi comunità, integralista o meno, ma che sia islamica. E poi vengono a raccontarci di essere laici! Sì è vero, ma solo nei riguardi della religione cristiana. Nel parlamento italiano ci sono due deputati islamici di origine palestinese, e nelle istituzioni parlamentari due ex terroristi che non hanno mai fatto mistero di appoggiare, al di là di ogni eccesso, la cosiddetta resistenza islamica all’occidente o guerre sante o che dir si voglia. Ma tutto ciò, “cui prodest”? Ma è chiaro: questo governo, con una matematica elementare detta anche aritmetica perché da scuola elementare, conta sui loro voti per rimanere al governo anche alle prossime elezioni, se riescono ad arrivarci senza disintegrare il nostro paese e la nostra vita.
Ma, intanto, facciamo gli auguri di lunga vita a Fidel Castro e a tutti quelli che, come lui, sarebbero ben felici di vederci, se non morti, almeno loro sottomessi.
Povera Italia………………o devo scrivere repubblica islamica italiana?

22 agosto 2006

Jacques ci ripensa, ma Prodi no.

Ha ragione la Francia a ripensarci.
La risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite n.1701 sul conflitto in Libano e' poco chiara e non ci sono gli elementi necessari per una missione precisa. Chi disarmera' i terroristi Hezbollah? Chi si occupera' di tagliare le fonti di approvigionamento delle armi dalla Syria e l'Iran? Sapranno le truppe fare rispettare e mantenere il cessate il fuoco tra le due parti? Quale sara' la responsabilita' dei soldati libanesi?
I generali Francesi sono nervosi. Giustamente. E una missione pericolosa e senza le garanzie e un mandato chiarissimo, questa missione potra' solo fallire con conseguenze catastrofiche.
Prodi invece ha fretta e vuole mandare subito 3,000 nostri soldati. Perche'? Questa non e' la reazione ne la decisione di un governo serio. Non e' il comportamento del settimo paese piu' industrializzato.
Se una super potenza come la Francia, con la sua grande esperienza e lunga tradizione coloniale ci ripensa, e segno evidente che qualchecosa non va.
Forse perche' Prodi ha fretta di dare una mano ai suoi amici Hezbollah...
Certo che dopo l'ultimo viaggio in zona del sinistro degli esteri Ben D'ulema, sorgono molti dubbi sugli obiettivi della nuova politica estera italiana.

21 agosto 2006












I predicatori dell'odio

Un articolo di Magdi Allam

Oggi in Italia predicare e aizzare le masse a distruggere Israele è assolutamente lecito .
Se un gruppo di estrema destra o estrema sinistra avesse chiesto una pagina di un giornale per lanciare un messaggio farneticante che recita «Ieri stragi naziste, oggi stragi israeliane», certamente si sarebbe scontrato con un netto rifiuto. Agli estremisti islamici dell'Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia) è andata diversamente.
Perché gli estremisti islamici dell'Ucoii sono pienamente legittimati dalle istituzioni e dallo Stato, il loro presidente Nour Dachan siede in seno alla Consulta per l'islam italiano istituita dal ministero dell'Interno, affermano di controllare l'85% delle moschee e ritengono di essere i veri rappresentanti dell'insieme dei musulmani in Italia.
Non importa se è un'organizzazione che nega il diritto di Israele all'esistenza e ne predica la distruzione, che legittima il terrorismo palestinese e gli attentati in Iraq e Afghanistan contro le forze multinazionali, che mira a monopolizzare il potere tra i musulmani nostrani e a concorrere alla nascita della Umma, la nazione islamica ovunque nel mondo, in sintonia con la strategia eversiva e talvolta violenta dei Fratelli Musulmani.
Non importa se nell'inserto pubblicato a pagamento dal Quotidiano Nazionale l'Ucoii mira a consolidare agli occhi degli italiani un'immagine demonizzante e sanguinaria di Israele elaborando l'equivalenza «Marzabotto = Gaza = Fosse Ardeatine = Libano».
Non importa se in un comunicato del primo agosto scorso, commentando la strage di Cana, l'Ucoii afferma che «è il segno di un'ulteriore escalation criminale di uno Stato nato nella pulizia etnica, cresciuto e consolidato nella violenza e nell'ingiustizia e che, Iddio non voglia, finirà per essere la tragedia definitiva del suo stesso popolo».
Non importa se il presidente Dachan, contraddicendo i comunicati ufficiali dell'Ucoii emessi l'11 marzo 2004 e il 7 luglio 2005, ha sostenuto (articolo di Jenner Meletti su Repubblica del 18 agosto scorso) che gli attentati di Madrid e Londra sarebbero opera dei «servizi segreti che forniscono le armi e dettano gli orari». Così come sarebbe «una grande falsità» il piano per far esplodere simultaneamente una decina di aerei in partenza da Londra: «Volevano distogliere l'attenzione da ciò che sta succedendo in Libano e hanno inventato tutto, così i musulmani diventano il pericolo. (...) Negli aeroporti si fanno controlli pesanti e si dà fastidio ai passeggeri così imparano a odiare i musulmani».
Non importa se il portavoce dell'Ucoii, Hamza Roberto Piccardo, ha avuto l'ardire di scrivere al ministro dell'Interno Amato, il 12 agosto scorso, all'indomani dell'annuncio del fermo di una quarantina di islamici, che «non è così che si fa antiterrorismo, l'operazione è stata presentata dal ministero come di contrasto al terrorismo e l'aggettivo "islamico" si è sprecato per indicare l'ambiente in cui cercare i terroristi»; ammonendo Amato a dire «a chiare lettere che noi musulmani stranieri e italiani siamo risultati estranei, una volta di più, a ogni attività suscettibile di mettere in pericolo la sicurezza collettiva e l'ordine pubblico».
Per verificare la realtà dell'ideologia dell'odio, della violenza e della morte che anima l'Ucoii, al pari di Hamas e dei Fratelli Musulmani, basta dare in queste ore uno sguardo al sito gestito da Piccardo www.islam-online.it. Vi si può leggere il messaggio del 24 luglio della Associazione Islamica «Imam Mahdi», in cui si invitano «tutti gli uomini di buona volontà (...) ad adoperarsi per contribuire anch'essi a porre fine una volta per tutte al sedicente "Stato d'Israele", a questo incubo orrendo, a questo mostro immondo che si nutre di sangue innocente». O il messaggio dal titolo «La premiata impresa di pulizie israeliana», di Carlo Bertani, del 30 luglio 2006, ripreso da www.disinformazione.it, che inizia così: «Mentre in Italia ci trastulliamo fra un voto di fiducia e uno sciopero dei farmacisti, la premiata ditta Tsahal Mossad ha dato inizio alla pulizia etnica del Libano meridionale».
A noi non resta che prendere atto che oggi in Italia predicare e aizzare le masse a distruggere Israele è assolutamente lecito, che la stampa nazionale gratuitamente o a pagamento diffonde dei messaggi inequivocabilmente ostili al diritto all'esistenza di Israele. E che tutto ciò viene considerato libertà di espressione. Nonostante si tratti in realtà del fulcro dell'ideologia del terrore di cui tutti noi siamo testimoni e vittime.
Magdi Allam
20 agosto 2006

18 agosto 2006

E adesso gli zingari


Non e' possibile. Sto sognando. Qualcuno mi svegli. E' un continuo incubo.
Prima Il sinistro degli esteri Massimo Ben D'Ulema che passeggia per le strade di Beirut tenendo a braccetto un deputato libanese Hezbollah, (un organizazione che utilizza tattiche terroristiche); Poi i commenti assurdi di Oliviero Diliberto (il mini-me di D'Ulema) che in un intervista sul corriere delle tenebri dice che i miliziani Hezbollah dovrebbero essere integrati nelle forze armate Libanesi e i nostri soldati ritirati da l'Afghanistan e reimpiegati nella missione in Libano.
E adesso il ministro degli interni Giuliano Amato, che visitando un campo di zingari in una borgata romana e incontrando una banda di ragazzini che gli chiedevano con le mani a imbuto "Dacci lavoro, dacci casa, dacci piccola pensione!" dice "A queste grida di dolore bisogna provvedere. Un Paese civile non può chiudere gli occhi. Noi faremo tutto il possibile"
Bravi. Bravissimi. Andiamo in Libano ad aiutare Hezbollah. Diamo la cittadinanza italiana a tutti gli immigrati. Apriamo le porte ai clandestini e adesso integriamo tutti i Rom.
Intanto agli italiani si chiedono solo sacrifici e tasse.
Come diceva Toto': E io pago...

17 agosto 2006

Una voce coraggiosa

Chi parla e' la Dott.ssa Wafa Sultan una straordinaria quanto coraggiosa donna Araba.
Guardate e ascoltate.


Un Patto infame

Un articolo di Augusto Fei

Il 10 agosto il governo inglese ha annunciato di aver scoperto e sventato il più grave e sanguinoso attacco terroristico mai progettato dalle organizzazioni terroristiche islamiche. Tutti i principali paesi europei hanno adottato eccezionali misure di sicurezza ed hanno proclamato lo stato di allarme: Francia, Germania, Gran Bretagna, eccetera.
Misure di sicurezza sono state adottate anche in Italia, ma apparentemente solo per quanto riguarda i voli diretti verso Gran Bretagna, Stati Uniti ed Israele. Il presidente del consiglio, Prodi, con la solita aria “serena” ha informato il paese che in Italia tutto era “sotto controllo”, e che quindi non c’era da preoccuparsi, implicitamente suggerendo l’idea che da noi attentati gravi non ce ne sarebbero mai stati.
A questo punto sorge spontanea una domanda: o il presidente del consiglio è un perfetto imbecille e non ha capito nulla di quello che sta accadendo oggi nel mondo, oppure ha dei seri motivi per pensare che ciò che ha affermato sia esatto. Scartata, anche se solo per amor di patria, la prima ipotesi, non resta che cercare di verificare se la seconda trova conferma in alcuni comportamenti di certe forze politiche cui Prodi fa riferimento. Si sa che un indizio non costituisce una prova, ma più indizi vi si avvicinano molto.
Per cercare di capire come stiano le cose, è molto utile formulare una ipotesi, e poi andare alla ricerca di fatti e comportamenti che ne confermino la verosimiglianza.
L’ipotesi che si può fare è la seguente: fra lo stato italiano, rappresentato per lunghissimo tempo da forze democristiane essenzialmente orientate a sinistra, ed ora decisamente da un fronte di sinistra che annovera nelle sue file anche partiti e gruppi estremisti, ed il terrorismo arabo esiste un patto segreto, scritto o no non ha importanza, per cui l’Italia non disturba ed eventualmente difende ed appoggia i terroristi, e questi garantiscono di non svolgere in Italia azioni dimostrative ed attentati.
Quali fatti od episodi concordano con questa ipotesi ? Ne citeremo a titolo di esempio alcuni.
Innanzi tutto la pluridecennale ed ostentata amicizia, nei confronti dei paesi arabi, anche e soprattutto i più aggressivi, manifestata sempre dai governi e dai principali esponenti politici italiani. Basti ricordare gli onori concessi al terrorista Arafat, il sostegno alla “causa” palestinese, la malcelata ostilità nei confronti di Israele: tutto ciò non può assolutamente essere giustificato solo con la necessità di tenere buoni rapporti con i nostri fornitori di petrolio, ma va ben oltre.
C’è poi un episodio specifico che è sempre stato presentato come uno scatto di orgoglio nazionale e che ne rappresenta invece l’esatto contrario, e che si inquadra perfettamente con l’ipotesi fatta: Sigonella. Ad un gravissimo fatto di pirateria in mare, seguito dall’assassinio di un innocente (non italiano ma solo americano ed ebreo) si risponde con una prova di forza (?) nei confronti del nostro principale alleato e protettore contro le mire imperialistiche sovietiche, proteggendo e poi lasciandosi scappare il pirata.
Ancora, basta ricordarsi del diverso trattamento verbale (accompagnato anche da bombe) riservato ai serbi in Kosovo, definiti macellai, e quello riservato ai musulmani, afgani, irakeni, palestinesi, libanesi o nostrani, considerati bravi ragazzi combattenti per la libertà ed ai quali sarebbe orribile torcere anche solo un capello.
Per limitarci solo ai fatti più recenti, ricordiamo l’attitudine estremamente favorevole nei confronti della immigrazione clandestina, per la maggior parte costituita da persone provenienti da paesi mussulmani, le espulsioni non eseguite, la teoria secondo cui i terroristi non sono delinquenti ma “combattenti per la libertà” (senza rilevare il sottinteso insulto ai nostri partigiani, equiparati a dei volgari tagliagole e massacratori), la mano libera lasciata ai terroristi ed ai loro manutengoli di organizzarsi tranquillamente sul nostro territorio per tramare sanguinose azioni nei confronti di paesi nostri amici ed alleati, la sempre maggiore “comprensione” nei confronti delle esigenze delle comunità mussulmane (molto maggiore di quella manifestata verso altri gruppi etnici, anche di fede cristiana), la liberalizzazione di fatto degli ingressi di clandestini nel nostro paese, la proposta di concedere in tempi abbreviati della cittadinanza agli immigrati, che, una volta diventati cittadini italiani, avranno tutto il diritto di esigere scuole islamiche, contributi e facilitazioni per l’erezione di propri luoghi di culto (covi spesso di illegali attività) eccetera. E forse un giorno chiedendo che venga applicata anche in Italia la sharia, in un primo tempo per lo meno nei confronti di tutti gli islamici, e poi, chissà, nei confronti anche di tutti noi..
Si è inoltre verificato ultimamente un episodio gravissimo che sembra confortare l’ipotesi formulata. Si tratta della incriminazione dei vertici dei servizi segreti per il “rapimento” di un noto terrorista. E’ probabile che alla fine, anche di fronte alle fortissime reazioni dell’opinione pubblica, essi vengano prosciolti, ma l’effetto avvertimento “mafioso” ci sarà comunque stato: attenti a non fare nulla che possa indispettire o comunque nuocere ai nostri amici e favorire i loro “nemici”, perché ciò è contrario all’interesse del nostro governo.
I fatti elencati, e molti altri che chiunque è in grado di ricordare, sembrano tutti confermare la nostra ipotesi: ossia che un patto infame sia stato stretto con i protagonisti del più grande pericolo che oggi si presenti al mondo occidentale, delegittimando il nostro paese agli occhi del mondo e tradendo in modo ignobile i nostri amici ed alleati, e tutta la nostra civiltà.

16 agosto 2006

Messaggio equivoco



L’ultima sortita del ministro D’Alema mi lascia perplesso.
Secondo lui Israele cosa avrebbe dovuto fare? Rimanere spettatore passivo e ringraziare ogni volta che i terroristi Hezbollah lanciavano i loro razzi katiusca?
Volgiamo ricordare che i veri autori di questo conflitto sono stati i terroristi Hezbollah con le loro continue incursioni terroristiche e il rapimento e l’uccisione di soldati Israeliani.
Su questi fatti il nostro ministro non pronuncio’ una parola di condanna.
Mentre e’ rapido a pronunciarsi in favore degli assassini Hezbollah.

14 agosto 2006

Tutto quello che l’Onu non ha detto

Un articolo di Alessandro Corneli

Con l'approvazione della risoluzione 1701, l'Onu ha fatto la sua parte: ha trovato cioè un testo che ha evitato veti, altrimenti non sarebbe uscito dal Consiglio di Sicurezza, e che offre a ciascuno di coloro che dovranno applicarlo margini interpretativi sufficientemente ampi per cercare di volgerlo il più possibile a proprio favore. Questo è il destino delle risoluzioni dell'Onu quando riguardano situazioni molto aggrovigliate. In questo caso la diplomazia punta ad evitare che ci sia un vincitore netto e uno sconfitto che perde la faccia. La parziale soddisfazione di tutti equivale a una parziale insoddisfazione, e poi ogni governo è libero di rivendere al meglio la 1701 presso la propria opinione pubblica.Diciamo subito che una risoluzione ci voleva, altrimenti l'Onu sarebbe scomparsa: questa è stata la ragione che soprattutto gli Stati Uniti hanno fatto valere presso Israele per indurlo prima ad accettarla in via di principio e poi in concreto. Ma c'è voluto oltre un mese per arrivarci e supponiamo che la lentezza iniziale, le controversie tra Usa e Francia, che più che mai hanno recitato un gioco delle parti, la minaccia di veto russo, e la stessa riunione della Lega Araba, hanno avuto l'effetto - da alcuni ricercato - di dare tempo a Israele per condurre la sua operazione militare, giungendo sulle rive del fiume Litani, cioè a 30 chilometri di profondità nel Libano meridionale, così da creare una fascia abbastanza profonda da cui allontanare definitivamente le milizie hezbollah.La risoluzione 1701 prevede che l'esercito libanese e la forza di interposizione dell'Onu, Unfil, che sarà portata a 15mila uomini e sarà sotto comando francese, prendano gradualmente il controllo di questa fascia di territorio profonda 30 chilometri, consentendo parallelamente alle forze israeliane di ritirarsi. È evidente come questa disposizione sia elastica: da un lato bisogna mettere in piedi la forza multinazionale (ci vorranno almeno dieci giorni), e dall'altro bisogna misurare l'efficienza delle forze regolari libanesi nel disarmare Hezbollah. Per questo il documento dell'Onu prevede sì la fine delle «operazioni offensive» israeliane - scatterà da domani, lunedì - ma non precisa quali siano da considerarsi «difensive», come ad esempio le ritorsioni contro il lancio di razzi e le incursioni contro le rampe mobili da cui vengono lanciati. Israele ha avuto quindi soddisfazione: ha accettato il cessate-il- fuoco, nei termini sopra indicati, ma non l'immediato ritiro. Quanto al governo libanese, già dimostratosi incapace di disarmare gli Hezbollah in base alla precedente risoluzione 1559, il rafforzamento dell'Unfil (i cui militari avranno il diritto di rispondere al fuoco) lo tiene sotto tutela e con prognosi riservata sulla sua reale capacità di prendere in mano le redini del Paese. Per cui il premier Siniora dovrà dimostrare quanto vale nei confronti delle fazioni che formano il suo governo. In ogni caso è stata data a lui e al suo Paese una chance: dimostrare di essere uno Stato sovrano con un governo autorevole. Se accadrà, si aprirà anche la strada a una completa politicizzazione di Hezbollah, ma al momento, considerata la forza da esso raggiunta e la preparazione della sua offensiva da Nord contro Israele, scattata poco dopo quella di Hamas da Sud, non ci sono concrete ragioni per intravedere una svolta a breve. Israele, dal canto suo, ha trovato una resistenza, nella sua avanzata terrestre, superiore a quanto si aspettava, e questo non è colpa del premier, la cui mancanza di esperienza militare sembra più un argomento di politica interna che un fattore influente sulla gestione della crisi. Avere mantenuto una offensiva per oltre un mese non è stata cosa da poco, come la decisione di mettere a nudo di fronte al mondo le responsabilità di Hezbollah, bene armato e addestrato da Siria e Libano, come testimoniano le migliaia di razzi inviati su Israele e soprattutto la capacità di resistenza alle forze terrestri israeliane.
La vicenda, nel suo complesso, ha riportato ad un allineamento Usa-Francia-Gran Bretagna che non si vedeva da molto tempo. Questo è forse il dato politico e diplomatico più interessante. L'offensiva di Hezbollah e la forte reazione di Israele hanno funzionato da catalizzatore, e probabilmente hanno consigliato molta prudenza alla Siria, che è prudente per natura, e all'Iran. Il richiamo all'islamofascismo fatto dal presidente americano George Bush assume, alla luce di questo allineamento occidentale, un significato simbolico molto forte perché egli ha voluto richiamare la convergenza di due dottrine egualmente ostili ai valori dell'Occidente.Non abbiamo elementi per collegare gli sventati attacchi agli aerei in partenza dal suolo britannico per gli Stati Uniti, che secondo le notizie giunte alla stampa avrebbero dovuto avere luogo il 16 agosto, alle offensive di Hamas e di Hezbollah contro Israele, preso come in una tenaglia, ma non possiamo evitare di registrare una specie di gara tra terrorismo di marca sciita e terrorismo di marca sunnita a chi colpisce più duramente Israele e l'asse Londra-Washington per acquisire merito di fronte all'opinione pubblica islamica. La corsa dell'Iran al possesso delle armi nucleari fa parte di questa gara. Adesso la reazione militare israeliana in Libano ha chiarito che esiste un forte schieramento deciso a resistere alle due pretese degli estremisti: da un lato la volontà di cancellare Israele dalla carta politica, come ha detto il presidente iraniano Ahmadinejad; dall'altro il tentativo di colpire i maggiori alleati di Israele affinché, intimoriti in casa propria con gli attacchi terroristici, lo abbandonino. Contro questa strategia si è manifestata la convergenza anglo-franco-americana alla quale né la Russia né la Cina si sono opposte. Ora si tratta di consolidare questo fronte per far comprendere agli estremisti che la loro politica è destinata a un crescente isolamento e alla sconfitta finale. Il reale disarmo di Hezbollah sarà il banco di prova di questa complessa partita alla quale nessuno può sentirsi estraneo.

13 agosto 2006

Preocupanti tendenze in America Latina

Durante il mio ultimo soggiorno in america latina ho potuto constatare alcuni "trends" allarmanti.
Chavez, con la sua retorica populista e anti-americana, manipolato da Fidel Castro ma sopratutto grazie ai milliardi di dollari ricavati dalla vendita del petrolio, e' riuscito ad imporsi come il nuovo Bolivar del continente. Dopo la vittoria del populista Morales in Bolivia, Vazquez in Uruguay e anche se piu' moderati, Lula in Brasile e Bachelet in Chile, sarebbe forse ora di prestare piu' attenzione a quello che potrebbe diventare il nuovo Fidel Castro latino americano con tutte le conseguenze pericolose che questo potrebbe avere per il futuro di quel continente.

Propongo un ottimo articolo di Edoardo Pacelli e piu' sotto, 1 video importante intitolato "Amenaza de Venezuela" che spiega la politica e la strategia di destabilizazione di Hugo Chavez.

E' Chavez il vero erede di Fidel
di Edoardo Pacelli - 12 agosto 2006

Truccata come una turista francese, il volto coperto da uno spesso strato di cipria, con un vistoso basco Chanel sulla testa, una cubana riuscì, negli anni Settanta, a fuggire dall'isola del paradiso comunista e dalle grinfie di un padre autoritario: «Sono riuscita a scappare solo grazie al fatto di richiamare l'attenzione», confessò la signora, allora quarantenne, concludendo la propria biografia. Si trattava di Alina Castro, figlia di Fidel. Il libro biografico dal titolo Alina, la figlia ribelle di Fidel Castro è del 1977, ma torna oggi d'attualità, ora che a Cuba ci si avvia verso una fase di transizione del potere. Il giudizio di Alina sul regime sanguinario creato dal padre è lapidario e dovrebbe essere tenuto presente da tutti: «Il grande problema di questo Paese è che varie generazioni si sono impegnate per la conquista di un sogno, ma sono riuscite a raggiungere, appena, un incubo e non vogliono riconoscerlo». Il libro di Alina Fernandez Revuelta non è, come potrebbe sembrare, un regolamento di conti tra una figlia e l'autoritarismo del padre. Sottilmente, con molta ironia, l'autrice riesce a descrivere, a lato delle afflizioni e sconfitte esistenziali, la realtà politica, economica e sociale che ha fatto del popolo cubano la vittima di un mostro, che ha provocato un grave stato di miseria fisica e morale.

Oggi l'avanzata del nuovo castrismo, che si presenta sotto la forma del falso populismo di Chavez, si sta impadronendo di una disorientata America Latina. Questa avanzata ha visto, come prima tappa, l'ingresso di Cuba nel Mercosur, che era un tempo di Lula e Kirchner, ma che oggi è sempre più terreno di caccia dell'uomo di Caracas. La fine di Castro si sta avvicinando e non si può fare a meno di immaginare che il leader cubano non abbia già pensato alla sua successione. Fidel, come a suo tempo fece Stalin, aveva già provveduto a far fuori i suoi possibili successori, come Camillo Cienfuegos e Arnaldo Ochoa, personaggi dotati di notevole carisma che Raul Castro certamente non possiede. Ma il vero successore di Fidel, colui che ne può raccogliere l'eredità politica, abita nel Palazzo Miraflores, a Caracas, e risponde al nome di Hugo Rafael Chavez Frias. Chavez potrebbe essere il nuovo Fidel.

Senza fare fantapolitica, possiamo azzardare che il prossimo passo, nella regione caraibica, sarà quello di creare una federazione o confederazione tra Cuba e Venezuela - ipotesi già considerata e menzionata dai due leader, Castro e Chavez. La nuova entità politica potrebbe assumere, così, il nome di Repubblica Socialista Bolivariana, con un pronto riconoscimento da parte dell'ONU. Il problema della successione sarebbe così risolto. In tal modo Cuba non rimarrebbe per un certo periodo acefala, mentre il nuovo capo non dipenderebbe dagli aiuti di nessuno, essendo «seduto» su un trono costituito da miliardi di barili di petrolio, con Forze Armate ben equipaggiate ed il popolo sotto il suo controllo. Terminerebbe così il sogno del presidente brasiliano Lula, quello cioè di diventare il caudillo sudamericano.

Nel 2004 il sociologo comunista Heinz Dieterich, padrino spirituale di Fidel e Chavez, spiegava che l'idea di creare una Grande Patria, sognata da Bolivar, sarebbe stata possibile solo se si fosse creato un blocco tra tutti i Paesi di ispirazione socialista o comunista dell'America Latina (Cuba, Venezuela, Brasile, Argentina, Bolivia, Cile, Uruguay, Paraguay, Perù e Equador), che seguisse i progetti e le azioni coordinate da un unico leader, per il cui ruolo fu designato Chavez. Si formulò, così, il progetto del Blocco Regionale, attraverso il quale sono state unificate le Forze Armate di tutti questi Paesi per far fronte al nemico esterno - evidentemente gli Stati Uniti. A Chavez si riconosce il merito di essere stato il primo ad agire in favore di un processo di integrazione irreversibile latino-americana, nella quale gli accordi commerciali di tipo neo-liberali rappresentano una prima tappa, necessaria in quanto accettabile dalla comunità internazionale. Da parte loro, le Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane, in un messaggio indirizzato al recente Congresso del Partito Comunista Venezuelano, svoltosi a Caracas, mettono in risalto la nuova onda rivoluzionaria che si sta sollevando in tutta l'America Latina. A sua volta, il candidato messicano recentemente sconfitto alle elezioni, lo chavista Lopez Obrador, minaccia di destabilizzare il Paese attraverso azioni radicali ed estremamente energiche.

Se queste minacce dovessero sortire effetto, a breve termine c'è il rischio di trovare una situazione nella quale l'unione geopolitica tra Cuba, Venezuela e Messico significherebbe il controllo di tutte le risorse energetiche caraibiche, in grado di dominare tutti gli altri Paesi del Centro America. La «toccante» visita di Castro alla casa natale di Che Guevara, in Argentina, assume così una evidente connotazione politica e simbolica: il Che era il secondo eroe della rivoluzione cubana senza essere cubano, così come Chavez.

Amenaza de Venezuela 1


Amenaza de Venezuela 2


Amenaza de Venezuela 3


Amenaza de Venezuela 4

12 agosto 2006

Hanno voluto la bicicletta....

No comment.

(ANSA) - MILANO, 11 AGO - Una perquisizione e' stata compiuta stamani nella redazione milanese di cronaca del quotidiano La Repubblica. 'Alcuni ufficiali di polizia giudiziaria - fa sapere il Comitato di Redazione, esprimendo 'forte preoccupazione' - hanno perquisito la redazione e in particolare la scrivania di una collega per sequestrare del materiale'. L'organismo sindacale condanna 'fermamente questo ennesimo attacco alla liberta' di stampa da parte della magistratura'.

11 agosto 2006

Per quelli che difendono la pace, la liberta' e la democrazia


Vendette neocomuniste

di Raffaele Iannuzzi

C'è arrivato anche il direttore di Liberazione, Piero Sansonetti: bando al vendettismo. Il ministro Ferrero, invece, insiste e, a questo punto, risulta pericolosamente sul crinale dell'eversione. Mi spiego. Ferrero ha ripetutamente affermato, con uno zelo degno francamente di miglior causa, cosucce di questo tenore - cito testualmente: «Credo che nelle province di Treviso, Brescia, Bergamo e in tutta la fascia pedemontana, dove la presenza di lavoratori migranti (...) è molto forte, e dove un partito esplicitamente xenofobo come la Lega raccoglie molti consensi, l'acquisizione del diritto di voto da parte degli immigrati modificherà decisamente la dialettica politica». Chiaro il concetto? Traduco dal terrificante gergo «neocom»: adesso che siamo al governo, cari xenofobi e razzisti miei, vi facciamo le bucce, usando questa legge e tutti i provvedimenti del governo per arrivare alla «soluzione finale» con voi.

Questi signori neocomunisti vogliono usare illecitamente lo strumento del governo non per fare l'interesse generale, bensì per far fuori gli avversari politici. Usano lo strumento che dovrebbe salvaguardare la dialettica democratica e l'ordine sociale per chiudere la prima e devastare il secondo. Eversione pura. Siamo fuori dalla tanto (da loro) decantata Costituzione, dallo «spirito della Costituzione» e quant'altro. Magari non siamo fuori dallo «spirito» di vendetta che mosse nutriti gruppi di partigiani comunisti, i quali fecero epurazioni di massa di repubblichini, preti e semplici cittadini, rei di essere sospettati di delazione. Questo «spirito» così angelico rimane certamente in questa pericolosa compagine governativa. Solo che - purtroppo per loro - questo modo di intendere la vita democratica e la battaglia politica è, in Italia e in tutto il mondo, considerato eversivo. Chavez può fare cose di questo tipo, non la maggioranza al governo di un Paese democratico.

Seconda chicca di Ferrero. Cito dal Corriere della Sera di ieri: «Paghi chi si è arricchito». Sentenza. Ipse dixit. Robespierre in salsa neocomunista. Colpa sociale: essersi arricchiti. E, dunque, giù duro per annientare i «nemici di classe», le classi medie e chi meritoriamente, in una società aperta e di libero mercato, intende guadagnare di più, arricchendo se stesso e favorendo lo sviluppo economico e sociale del Paese. Chiara l'antifona? Insiste Ferrero: «Noi insisteremo sul fatto che ci sono ampi margini di recupero dell'evasione fiscale e dell'economia sommersa che in Italia è il doppio della media europea. Il tempo in più che chiederemo va usato per una forte operazione di giustizia retributiva (sic!), compresa la tassazione sulle rendite». Puro fanatismo ideologico. Che oggi, avendo la leva del governo in mano, riesce ad amplificare la sua azione di terrorismo sociale, secondo la più cristallina metodologia giacobina.

Peraltro sfugge al povero Ferrero che, da un lato, la legge sull'immigrazione con i cinque anni per diventare cittadini italiani è criticata da molti immigrati. Come osserva in un'intervista al Giornale la marocchina Dounia Ettaib, che lavora per il consolato del Marocco a Milano: «Diventare cittadino italiano vuol dire condividere i valori del Paese che ti ospita, abbracciarne veramente la cultura. E per questo ci vuole tempo». In sostanza, cinque anni sono «troppo pochi e troppo frettoloso il provvedimento del governo che vuole ridurre i tempi. La proposta di Amato creerà ulteriore confusione fra gli immigrati e diffidenza fra gli italiani». Il rischio è diventare «cittadini di serie B». Quando il buon senso funziona...

Dall'altro lato, sfugge al ministro Ferrero anche il fatto che oggi ci sono molti più soldi nelle casse dello Stato, e ciò grazie alla finanziaria del governo precedente, cioè esattamente quello che ha fatto arricchire molta gente, quello guidato da Berlusconi, con Tremonti all'economia e politici seri che hanno messo a punto un piano non giustizialista anti-evasione, incorporando tutto nella legge più importante dello Stato. Non c'è bisogno di manette, terrore, minacce ed eversione per far pagare più tasse alle persone. Basta equilibrio e temperanza liberale. Virtù che, per un governo, sono oro. Ma Ferrero non ha tutti i basics, come direbbero gli americani, e rovista fra Lenin e la Luxemburg. Risultato: un clima di terrore accentuato, mercati allo sbando grazie a questo clima, la Borsa che va su e giù, i risparmiatori frustrati e arrabbiati. Un capolavoro di stupidità forcaiola.

Il vendettismo è, al pari dell'estremismo, la malattia infantile del comunismo, per un verso. Ma, per l'altro, essendo il neocomunismo «nuovo» solo nelle barche e nella retorica, è una malattia assolutamente senile. L'ultima Thule del nulla della sinistra. La sinistra è veramente il nulla. E non c'è Gerovital che tenga.

Stando così le cose, faccio una proposta «indecente», di mezza estate, chissà che qualcuno la raccolga: mettiamo fuorilegge il partito comunista, ogni partito sedicente «comunista», come fecero i tedeschi dopo la seconda guerra mondiale. C'è materia giuridica per farlo (ne ho citata un bel po', ma altra può essere accumulata) e vi è assoluta convenienza tanto per il buon funzionamento del nostro sistema democratico-parlamentare, tanto per l'evoluzione di una sinistra autenticamente riformista ed occidentale. Forse troveremo un alleato al di fuori di ogni sospetto, il premier Romano Prodi. Non è stato lui, infatti, a definire, in un'intervista a Die Zeit, «folkloristica» la rappresentanza comunista nel suo governo?

10 agosto 2006

il Libano e' un messaggio

Ringrazio Oliviero Cassini per questo commento.

Do not destroy the Message.
Lebanon is far more than a country, it’s a Message. It is an illuminated Message containing in elegant Arabic boldface the word “musàlaha”, that spirit of reconciliation which invites different cultures, confessions and ethnic groups to live and thrive together: in the Lebanese kaleidoscope there are 17 of them, all tied together by the Message. From the dawn of times, when Gilgamesh the Sumer left Mesopotamia and climbed the Cedars Mountain in search of immortality, every conqueror of Lubnan el-Karim – Egyptians, Babylonians, Persians, Macedonians, Romans, Crusaders, Ottomans, French – has discovered the Message and was conquered by it.
5000 years of invasions did not destroy Lebanon; in fact they have strengthened its extraordinary hospitality not only towards Genoese or Venetian merchants, but also to Armenian, Jews, Kurds… hundred of thousands of them. If justice were to be done for that Land, it would be appropriate to donate a Statue of Liberty (“Give me your tired, your poor…”) to the port of Beirut and raise it on the ruins of the lighthouse.
The time to reciprocate has come. Listen to Khalil Gibrane, great amongst Lebanese poets: “My people died of hunger, and he who did not perish from starvation was butchered with the sword; they perished from hunger in a land rich with milk and honey”.
As Italians we have a duty to rescue those people, custodians of the Message. We did it throughout the centuries, founding in Rome the first Maronite home, hosting Prince Fakreddine while fleeing from the Ottomans, dispatching a peacekeeping contingent during the civil war, being the first to reach South Lebanon on that glorious May 2000, starting operating there a specific aid program.
Now time has come for each martyrized Lebanese town to be “adopted” by an Italian Municipality, for each overcrowded hospital to be “adopted” by an Italian hospital, for each torndown school to be “adopted” by an Italian school.
Under the current strain with the Islamic world, nothing is more important than protecting the Land of the Message, since it is the only one in a position to unveil the Orient to the Occident and the Occident to the Orient. To shatter the Message would be tantamount to put our own future at stake.

Vivere a Singapore

Comincio una serie di articoli, storielle e aneddoti su cosa vuol dire vivere a Singapore, la svizzera dell'oriente, una citta' senza carattere, fascino o fantasia, noiosa, conformista, certo anche con i suoi preggi, per carita'....
Comincio dunque con un famoso articolo di William Gibson che defini' Singapore come una Disneyland con la pena di morte. Brillante.

Disneyland with the Death Penalty
By William Gibson

"It's like an entire country run by Jeffrey Katzenberg," the producer had said, "under the motto 'Be happy or I'll kill you.'" We were sitting in an office a block from Rodeo Drive, on large black furniture leased with Japanese venture capital.
Now that I'm actually here, the Disneyland metaphor is proving impossible to shake. For that matter, Rodeo Drive comes frequently to mind, though the local equivalent feels more like 30 or 40 Beverly Centers put end to end.
Was it Laurie Anderson who said that VR would never look real until they learned how to put some dirt in it? Singapore's airport, the Changi Airtropolis, seemed to possess no more resolution than some early VPL world. There was no dirt whatsoever; no muss, no furred fractal edge to things. Outside, the organic, florid as ever in the tropics, had been gardened into brilliant green, and all-too-perfect examples of itself. Only the clouds were feathered with chaos - weird columnar structures towering above the Strait of China.
The cab driver warned me about littering. He asked where I was from.
He asked if it was clean there. "Singapore very clean city." One of those annoying Japanese-style mechanical bells cut in as he exceeded the speed limit, just to remind us both that he was doing it. There seemed to be golf courses on either side of the freeway. . . .
"You come for golf?"
"No."
"Business?"
"Pleasure."
He sucked his teeth. He had his doubts about that one.
Singapore is a relentlessly G-rated experience, micromanaged by a state that has the look and feel of a very large corporation. If IBM had ever bothered to actually possess a physical country, that country might have had a lot in common with Singapore. There's a certain white-shirted constraint, an absolute humorlessness in the way Singapore Ltd. operates; conformity here is the prime directive, and the fuzzier brands of creativity are in extremely short supply.
The physical past here has almost entirely vanished.
There is no slack in Singapore. Imagine an Asian version of Zurich operating as an offshore capsule at the foot of Malaysia; an affluent microcosm whose citizens inhabit something that feels like, well, Disneyland. Disneyland with the death penalty.
But Disneyland wasn't built atop an equally peculiar 19th-century theme park - something constructed to meet both the romantic longings and purely mercantile needs of the British Empire. Modern Singapore was - bits of the Victorian construct, dressed in spanking-fresh paint, protrude at quaint angles from the white-flanked glitter of the neo-Gernsbackian metropolis. These few very deliberate fragments of historical texture serve as a reminder of just how deliciously odd an entrepot Singapore once was - a product of Empire kinkier even than Hong Kong.
The sensation of trying to connect psychically with the old Singapore is rather painful, as though Disneyland's New Orleans Square had been erected on the site of the actual French Quarter, obliterating it in the process but leaving in its place a glassy simulacrum. The facades of the remaining Victorian shop-houses recall Covent Garden on some impossibly bright London day. I took several solitary, jet-lagged walks at dawn, when a city's ghosts tend to be most visible, but there was very little to be seen of previous realities: Joss stick smouldering in an old brass holder on the white-painted column of a shop-house; a mirror positioned above the door of a supplier of electrical goods, set to snare and deflect the evil that travels in a straight line; a rusty trishaw, chained to a freshly painted iron railing. The physical past, here, has almost entirely vanished.
Today's Singapore is far more precisely the result of Lee Kuan Yew's vision than the Manchester of the East ever was of Sir Stamford Raffles'.
In 1811, when Temenggong, a local chief, arrived to resettle Singapura, the Lion City, with a hundred Malays, the jungle had long since reclaimed the ruins of a 14th-century city once warred over by Java, Siam, and the Chinese. A mere eight years later came Sir Stamford Raffles, stepping ashore amid a squirming tangle of kraits and river pirates, to declare the place a splendid spot on which to create, from the ground up, a British trading base. It was Raffles's singular vision to set out the various colonial jewels in Her Majesty's crown as distinct ethnic quarters: here Arab Street, here Tanjong Pagar (Chinese), here Serangoon Road (Indian). And Raffles's theme park boomed for 110 years - a free port, a Boy's Own fantasy out of Talbot Mundy, with every human spice of Asia set out on a neatly segmented tray of sturdy British china: "the Manchester of the East." A very hot ticket indeed.
When the Japanese came and took it all, with dismaying ease, the British dream-time ended; the postwar years brought rapid decay, and equally rapid aspirations for independence. In 1965, Mr. Lee Kuan Yew, a Cambridge- educated lawyer, became the country's first prime minister. Today's Singapore is far more precisely the result of Lee Kuan Yew's vision than the Manchester of the East ever was of Sir Stamford Raffles's. Lee Kuan Yew's People's Action Party has remained in power ever since; has made, some would say, quite drastically certain that it would do so. The emblem of the PAP is a cartoony lightning bolt striking within a circle; Reddi Kilowatt as the mascot of what is, in effect, a single-party capitalist technocracy.
Finance Data a State Secret
SINGAPORE: A government official, two private economists, and a newspaper editor will be tried jointly on June 21 for revealing an official Singaporean secret - its economic growth rate.
Business Times editor Patrick Daniel, Monetary Authority of Singapore official Shanmugaratnam Tharman, and two economists for regional brokerage Crosby Securities, Manu Bhaskaran, and Raymond Foo Jong Chen, pleaded not guilty to violating Singapore's Official Secrets Act.
South China Morning Post, 4/29/93
Reddi Kilowatt's Singapore looks like an infinitely more liveable version of convention-zone Atlanta, with every third building supplied with a festive party-hat by the designer of Loew's Chinese Theater. Rococo pagodas perch atop slippery-flanked megastructures concealing enough cubic footage of atria to make up a couple of good-sized Lagrangian-5 colonies. Along Orchard Road, the Fifth Avenue of Southeast Asia, chocka-block with multi- level shopping centers, a burgeoning middle class shops ceaselessly. Young, for the most part, and clad in computer-weathered cottons from the local Gap clone, they're a handsome populace; they look good in their shorts and Reeboks and Matsuda shades.
There is less in the way of alternative, let alone dissident style in Singapore than in any city I have ever visited. I did once see two young Malayan men clad in basic, global, heavy metal black - jeans and T-shirts and waist-length hair. One's T-shirt was embroidered with the Rastafarian colors, causing me to think its owner must have balls the size of durian fruit, or else be flat-out suicidal, or possibly both. But they were it, really, for overt boho style. (I didn't see a single "bad" girl in Singapore. And I missed her.) A thorough scan of available tapes and
CDs confirmed a pop diet of such profound middle-of-the-road blandness that one could easily imagine the stock had been vetted by Mormon missionaries.
"You wouldn't have any Shonen Knife, would you?"
"Sir, this is a music shop."
Although you don't need Mormons making sure your pop is squeaky-clean when you have the Undesirable Propagation Unit (UPU), one of several bodies of official censors. (I can't say with any certainty that the UPU, specifically, censors Singapore's popular music, but I love the name.) These various entities attempt to ensure that red rags on the order of Cosmopolitan don't pollute the body politic. Bookstores in Singapore, consequently, are sad affairs, large busy places selling almost nothing I would ever want to buy - as though someone had managed to surgically neuter a W.H. Smith's. Surveying the science fiction and fantasy sections of these stores, I was vaguely pleased to see that none of my own works seemed to be available. I don't know for a fact that the UPU had turned them back at the border, but if they had, I'd certainly be in good company.
The local papers, including one curiously denatured tabloid, New Paper, are essentially organs of the state, instruments of only the most desirable propagation. This ceaseless boosterism, in the service of order, health, prosperity, and the Singaporean way, quickly induces a species of low-key Orwellian dread. (The feeling that Big Brother is coming at you from behind a happy face does nothing to alleviate this.) It would be possible, certainly, to live in Singapore and remain largely in touch with what was happening elsewhere. Only certain tonalities would be muted, or tuned out entirely, if possible. . . .
Singaporean television is big on explaining Singaporeans to themselves. Model families, Chinese, Malay, or Indian, act out little playlets explicating the customs of each culture. The familial world implied in these shows is like Leave It To Beaver without The Beave, a sphere of idealized paternalism that can only remind Americans my age of America's most fulsome public sense of itself in the mid-1950s.
"Gosh, dad, I'm really glad you took the time to explain the Feast of the Hungry Ghosts to us in such minutely comprehensive detail."
"Look, son, here comes your mother with a nutritious low-cholesterol treat of fat-free lup cheong and skimmed coconut milk "
And, in many ways, it really does seem like 1956 in Singapore; the war (or economic struggle, in this case) has apparently been won, an expanded middle class enjoys great prosperity, enormous public works have been successfully undertaken, even more ambitious projects are under way, and a deeply paternalistic government is prepared, at any cost, to hold at bay the triple threat of communism, pornography, and drugs.
The only problem being, of course, that it isn't 1956 in the rest of world. Though that, one comes to suspect, is something that Singapore would prefer to view as our problem. (But I begin to wonder, late at night and in the privacy of my hotel room - what might the future prove to be, if this view should turn out to be right?)
Because Singapore is one happening place, biz-wise. I mean, the future here is so bright.... What other country is preparing to clone itself, calving like some high-tech socioeconomic iceberg? Yes, here it is, the first modern city-state to fully take advantage of the concept of franchise operations Mini-Singapores! Many!
In the coastal city of Longkou, Shandong province, China (just opposite Korea), Singaporean entrepreneurs are preparing to kick off the first of these, erecting improved port facilities and a power plant, as well as hotels, residential buildings, and, yes, shopping centers. The project, to occupy 1.3 square kilometers, reminds me of "Mr. Lee's Greater Hong Kong" in Neal Stephenson's Snow Crash, a sovereign nation set up like so many fried-noodle franchises along the feeder-routes of edge-city America. But Mr. Lee's Greater Singapore means very serious business, and the Chinese seem uniformly keen to get a franchise in their neighborhood, and pronto.
Ordinarily, confronted with a strange city, I'm inclined to look for the parts that have broken down and fallen apart, revealing the underlying social mechanisms; how the place is really wired beneath the lay of the land as presented by the Chamber of Commerce. This won't do in Singapore, because nothing is falling apart. Everything that's fallen apart has already been replaced with something new. (The word infrastructure takes on a new and claustrophobic resonance here; somehow it's all infrastructure.)
Failing to find any wrong side of the tracks, one can usually rely on a study of the nightlife and the mechanisms of commercial sex to provide some entree to the local subconscious. Singapore, as might be expected, proved not at all big on the more intense forms of nightlife. Zouk, arguably the city's hippest dance club (modelled, I was told, after the rave scenes in Ibiza), is a pleasant enough place. It reminded me, on the night I looked in, of a large Barcelona disco, though somehow minus the party. Anyone seeking more raunchy action must cross the Causeway to Johore, where Singaporean businessmen are said to sometimes go to indulge in a little of the down and dirty. (But where else in the world today is the adjoining sleazy bordertown Islamic?) One reads of clubs there having their licenses pulled for stocking private cubicles with hapless Filipinas, so I assumed that the Islamic Tijuana at the far end of the Causeway was in one of those symbiotic pressure-valve relationships with the island city-state, thereby serving a crucial psychic function that would very likely never be officially admitted.
Singapore, meanwhile, has dealt with its own sex industry in two ways: by turning its traditional red-light district into a themed attraction in its own right, and by moving its massage parlors into the Beverly Centers. Bugis Street, once famous for its transvestite prostitutes - the sort of place where one could have imagined meeting Noel Coward, ripped on opium, cocaine, and the local tailoring, just off in his rickshaw for a night of high buggery - had, when it proved difficult to suppress, a subway station dropped on top of it. "Don't worry," the government said, "we'll put it all back, just the way it was, as soon as we have the subway in." Needless to say, the restored Bugis Street has all the sexual potential of "Frontierland," and the transvestites are represented primarily by a number of murals.
heterosexual hand-job business has been treated rather differently, and one can only assume that it was seen to possess some genuine degree of importance in the national Confucian scheme of things. Most shopping centers currently offer at least one "health center" - establishments one could easily take for slick mini-spas, but which in fact exist exclusively to relieve the paying customer of nagging erections. That one of these might be located between a Reebok outlet and a Rolex dealer continues to strike me as evidence of some deliberate social policy, though I can't quite imagine what it might be. But there is remarkably little, in contemporary Singapore, that is not the result of deliberate and no doubt carefully deliberated social policy.
Take dating. Concerned that a series of earlier campaigns to reduce the national birth rate had proven entirely too successful, Singapore has instituted a system of "mandatory mixers." I didn't find this particularly disturbing, under the circumstances, though I disliked the idea that refusal to participate is said to result in a "call" to one's employer. But there did seem to be a certain eugenic angle in effect, as mandatory dating for fast-track yuppies seemed to be handled by one government agency, while another dealt with the less educated. Though perhaps I misunderstood this, as Singaporeans seemed generally quite loathe to discuss these more intimate policies of government with a curious foreign visitor who was more than twice as tall as the average human, and who sweated slowly but continuously, like an aged cheese.
Singapore is curiously, indeed gratifyingly devoid of certain aspects of creativity. I say gratifyingly because I soon found myself taking a rather desperate satisfaction in any evidence that such a very tightly-run ship would lack innovative elan.
So, while I had to admit that the trains did indeed run on time, I was forced to take on some embarrassingly easy targets. Contemporary municipal sculpture is always fairly easy to make fun of, and this is abundantly true in Singapore. There was a pronounced tendency toward very large objects that resembled the sort of thing Mad magazine once drew to make us giggle at abstract art: ponderous lumps of bronze with equally ponderous holes through them. Though perhaps, like certain other apparently pointless features of the cityscape, these really served some arcane but highly specific geomantic function. Perhaps they were actually conduits for feng shui, and were only superficially intended to resemble Henry Moore as reconfigured by a team of Holiday Inn furniture designers.
But a more telling lack of creativity may have been evident in one of the city's two primal passions: shopping. Allowing for the usual variations in price range, the city's countless malls all sell essentially the same goods, with extraordinarily little attempt to vary their presentation. While this is generally true of malls elsewhere, and in fact is one of the reasons people everywhere flock to malls, a genuinely competitive retail culture will assure that the shopper periodically encounters either something new or something familiar in an unexpected context.
Singapore's other primal passion is eating, and it really is fairly difficult to find any food in Singapore about which to complain. About the closest you could come would be the observation that it's all very traditional fare of one kind or another, but that hardly seems fair. If there's one thing you can live without in Singapore, it's a Wolfgang Puck pizza. The food in Singapore, particularly the endless variety of street snacks in the hawker centers, is something to write home about. If you hit the right three stalls in a row, you might decide these places are a wonder of the modern world. And all of it quite safe to eat, thanks to the thorough, not to say nitpickingly Singaporean auspices of the local hygiene inspectors, and who could fault that? (Credit, please, where credit is due.)
But still. And after all. It's boring here. And somehow it's the same ennui that lies in wait in any theme park, put particularly in those that are somehow in too agressively spiffy a state of repair. Everything painted so recently that it positively creaks with niceness, and even the odd rare police car sliding past starts to look like something out of a Chuck E. Cheese franchise... And you come to suspect that the reason you see so few actual police is that people here all have, to quote William Burroughs, "the policeman inside."
And what will it be like when these folks, as they so manifestly intend to do, bring themselves online as the Intelligent Island, a single giant data- node whose computational architecture is more than a match for their Swiss- watch infrastructure? While there's no doubt that this is the current national project, one can't help but wonder how they plan to handle all that stuff without actually getting any on them? How will a society founded on parental (well, paternal, mainly) guidance cope with the wilds of X- rated cyberspace? Or would they simply find ways not to have to? What if, while information elsewhere might be said to want to be free, the average Singaporean might be said to want, mainly, not to rock the boat? And to do very nicely, thank you, by not doing so?
Are the faceless functionaries who keep Shonen Knife and Cosmo anti-feminism out of straying local hands going to allow access to the geography-smashing highways and byways of whatever the Internet is becoming? More important, will denial of such access, in the coming century, be considered even a remotely viable possibility by even the dumbest of policemen?
Hard to say. And therein, perhaps, lies Singapore's real importance. The overt goal of the national IT2000 initiative is a simple one: to sustain indefinitely, for a population of 2.8 million, annual increases in productivity of three to four percent.
IT, of course, is "information technology," and we can all be suitably impressed with Singapore's evident willingness to view such technology with the utmost seriousness. In terms of applied tech, they seem to have an awfully practical handle on what this stuff can do. The National Computer Board has designed an immigration system capable of checking foreign passports in 30 seconds, resident passports in fifteen. Singapore's streets are planted with sensor loops to register real-time traffic; the traffic lights are computer controlled, and the system adjusts itself constantly to optimize the situation, creating "green waves" whenever possible. A different sort of green wave will appear if a building's fire sensor calls for help; emergency vehicles are automatically green-lighted through to the source of the alarm. The physical operation of the city's port, constant and quite unthinkably complex, is managed by another system. A "smart-card" system is planned to manage billings for cars entering the Restricted Zone. (The Restricted Zone is that part of central Singapore which costs you something to enter with a private vehicle. Though I suspect that if, say, Portland were to try this, the signs would announce the "Clean Air Zone," or something similar.)
They're good at this stuff. Really good. But now they propose to become something else as well; a coherent city of information, its architecture planned from the ground up. And they expect that whole highways of data will flow into and through their city. Yet they also seem to expect that this won't affect them. And that baffles us, and perhaps it baffles the Singaporeans that it does.
Myself, I'm inclined to think that if they prove to be right, what will really be proven will be something very sad; and not about Singapore, but about our species. They will have proven it possible to flourish through the active repression of free expression. They will have proven that information does not necessarily want to be free.
But perhaps I'm overly pessimistic here. I often am; it goes with the territory. (Though what could be more frightening, out here at the deep end of the 20th century, than a genuinely optimistic science fiction writer?) Perhaps Singapore's destiny will be to become nothing more than a smug, neo-Swiss enclave of order and prosperity, amid a sea of unthinkable...weirdness.
Dear God. What a fate.
Fully enough to send one lunging up from one's armchair in the atrium lounge of the Meridien Singapore, calling for a taxi to the fractal-free corridors of the Airtropolis.
But I wasn't finished, quite. There'd be another night to brood about the Dutchman.
I haven't told you about the Dutchman yet. It looks like they're going to hang him.
Man Gets Death For Importing 1 Kg of Cannabis
A MALAYAN man was yesterday sentenced to death by the High Court for importing not less than 1 kg of cannabis into Singapore more than two years ago.
Mat Repin Mamat, 39, was found guilty of the offense committed at the Woodlands checkpoint on October 9, 1991, after a five-day trial.
The hearing had two interpreters.
One interpreted English to Malay while the other interpreted Malay to Kelantanese to Mat Repin, who is from Kelantan.
The prosecution's case was that when Mat Repin arrived at the checkpoint and was asked whether he had any cigarettes to declare, his reply was no.
As he appeared nervous, the senior customs officer decided to check the scooter.
Questioned further if he was carrying any "barang" (thing), Mat Repin replied that he had a kilogram of "ganja" (cannabis) under the petrol tank.
In his defense, he said that he did not know that the cannabis was hidden there.
The Straits Times 4/24/93
The day they sentenced Mat Repin, the Dutchman was also up on trial. Johannes Van Damme, an engineer, had been discovered in custody of a false- bottomed suitcase containing way mucho barang: 4.32 kilograms of heroin, checked through from Bangkok to Athens.
The prosecution made its case that Van Damme was a mule; that he'd agreed to transport the suitcase to Athens for a payment of US$20,000. Sniffed out by Changi smackhounds, the suitcase was pulled from the belt, and Van Damme from the transit lounge, where he may well have been watching Beaver's dad explain the Feast of the Hungry Ghosts on a wall-mounted Sony.
The defense told a different story, though it generally made about as much sense as Mat Repin's. Van Damme had gone to Bangkok to buy a wedding ring for his daughter, and had met a Nigerian who'd asked him, please, to take a suitcase through to Athens. "One would conclude," the lawyer for the defense had said, "that either he was a nave person or one who can easily be made use of." Or, hell, both. I took this to be something akin to a plea for mercy.
Johannes Van Damme, in the newspaper picture, looks as thick as two bricks.
I can't tell you whether he's guilty or not, and I wouldn't want to have to, but I can definitely tell you that I have my doubts about whether Singapore should hang him, by the neck, until dead - even if he actually was involved in a scheme to shift several kilos of heroin from some backroom in Bangkok to the junkies of the Plaka. It hasn't, after all, a whole hell of a lot to do with Singapore. But remember "Zero Tolerance?" These guys have it.
And, very next day, they announced Johannes Van Damme's death sentence. He still has at least one line of appeal, and he is still, the paper notes, "the first Caucasian" to find his ass in this particular sling.
"My ass," I said to the mirror, "is out of here." Put on a white shirt laundered so perfectly the cuffs could slit your wrists. Brushed my teeth, ran a last-minute check on the luggage, forgot to take the minibar's tinned Australian Singapore Sling home for my wife.
Made it to the lobby and checked out in record time. I'd booked a cab for 4 AM, even though that gave me two hours at Changi. The driver was asleep, but he woke up fast, insanely voluble, the only person in Singapore who didn't speak much English.
He ran every red light between there and Changi, giggling. "Too early policeman...."
They were there at Changi, though, toting those big-ticket Austrian machine pistols that look like khaki plastic waterguns. And I must've been starting to lose it, because I saw a crumpled piece of paper on the spotless floor and started snapping pictures of it. They really didn't like that. They gave me a stern look when they came over to pick it up and carry it away.
So I avoided eye contact, straightened my tie, and assumed the position that would eventually get me on the Cathay Pacific's flight to Hong Kong.
In Hong Kong I'd seen huge matte black butterflies flapping around the customs hall, nobody paying them the least attention. I'd caught a glimpse of the Walled City of Kowloon, too. Maybe I could catch another, before the future comes to tear it down.
Traditionally the home of pork-butchers, unlicensed denturists, and dealers in heroin, the Walled City still stands at the foot of a runway, awaiting demolition. Some kind of profound embarassment to modern China, its clearance has long been made a condition of the looming change of hands.
Hive of dream. Those mismatched, uncalculated windows. How they seemed to absorb all the frantic activity of Kai Tak airport, sucking in energy like a black hole.

I was ready for something like that. . . .

I loosened my tie, clearing Singapore airspace.

09 agosto 2006

L'imperativo della sinistra è limitare la libertà del cittadino

di David Consiglio

I primi provvedimenti varati dal governo di centrosinistra sono tutti caratterizzati da un denominatore comune: l'eccessivo ed ingiustificato accanimento contro il singolo, sia esso un professionista, un artigiano o piccolo imprenditore, oppure un semplice privato cittadino. Partendo dal famoso decreto Bersani-Visco, è facile scorgere una serie di misure vessatorie nei confronti dei singoli. Le cosiddette liberalizzazioni, infatti, non fanno altro che colpire categorie di lavoratori autonomi come i taxisti, farmacisti ed avvocati; lo stesso si può dire per quanto riguarda le misure messe a punto dal viceministro Vincenzo Visco in materia fiscale. Il maggiore rigore nei controlli, che in alcuni casi si concretizza in un vero e proprio accanimento, è rivolto soprattutto a colpire l'anello più debole della nostra economia, ovvero le piccole e medie imprese, e i lavoratori autonomi.

Le grandi imprese e le grandi società sono state risparmiate, anzi, alcune misure previste dal decreto Bersani sembrano studiate apposta per favorire il settore della grande distribuzione, totalmente in mano alle cooperative, a scapito dei piccoli. Altro esempio. Il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge che prevede delle novità riguardo agli esami di maturità; ebbene, la nuova normativa messa a punto dal ministro della «Pubblica» Istruzione Fioroni non fa altro che prevedere un esame più rigoroso per chi si presenta all'esame da studente privatista. La giustificazione di questo trattamento «speciale» nei confronti di chi svolge l'esame da privatista è ignota e difficilmente giustificabile. I criteri di valutazione, in un paese normale, devono essere uguali per tutti.

In tema di sanità, il ministro Livia Turco, si è detta favorevole alla proposta di impedire ai primari ospedalieri di svolgere la loro professione al di fuori delle strutture pubbliche. Secondo il ministro, il primario deve scegliere fra il rapporto esclusivo con la struttura pubblica o l'esercizio privato della professione al di fuori del sistema sanitario nazionale. Anche questa proposta è indice della diffidenza che questo governo nutre nei confronti di tutte quelle categorie di professionisti e di lavoratori autonomi che sono difficilmente controllabili a piacimento da parte dello Stato padrone.

Altro che liberalizzazioni: queste norme e queste proposte di legge non fanno altro che restringere lo spazio di libertà del cittadino nella sua sfera personale e lavorativa, anteponendo sempre e solo i presunti interessi della collettività. Il governo di Romano Prodi, piuttosto che accanirsi contro i lavoratori autonomi e i professionisti, dovrebbe occuparsi delle grandi concentrazioni e corporazioni; in Italia ci sono settori dove sono ancora presenti monopoli e cartelli, e lo stato non si azzarda ad intervenire. Lo stesso discorso vale per i sindacati, che rappresentano per la sinistra una sorta di monumento intoccabile e al di sopra di ogni forma di controllo.

La sinistra ha una concezione illiberale della società e dell'economia, si preoccupa poco delle libertà e dei diritti dell'individuo, favorendo sempre una visione dirigista e collettivista della società e dell'economia. L'idea dello stato padrone, controllore ed oppressore, appartiene alla cultura politica della sinistra italiana. Il singolo, secondo la visione della sinistra, non è una risorsa per la società e per il progresso della stessa, ma è un possibile ostacolo al pieno dispiegarsi della volontà dello stato.

08 agosto 2006

Il Tesoro degli Altri

Ripropongo un articolo dell'amico Claudio Borghi.

Finalmente il Tesoro ha rilasciato un comunicato ufficiale relativo alle ottime entrate fiscali nel primo semestre 2006: purtroppo si tratta dell'ennesima dichiarazione sconcertante, con un goffo (ancorche' prevedibile) tentativo di appropriarsi di un risultato spettante in toto al governo precedente.
Secondo Visco "la lotta all'evasione fiscale e' stata capita dai contribuenti. E i risultati si vedono". Cerchiamo di essere seri e facciamo qualche semplice considerazione: I primi provvedimenti targati Visco sono legati al famigerato
decreto delle liberalizzazioni che come tutti ricordano e' stato approvato
il 3 Agosto. Posso capire che l'inventore della tassa retroattiva (e della
conseguente retromarcia, ma tanto sempre di retro si tratta) abbia una
concezione tutta sua della linearita' temporale, ma non vedo perche' un
suo evidente difetto di percezione dovrebbe essere compreso e condiviso da
tutti gli Italiani. In sostanza il Ministro vorrebbe farci credere che i
suoi provvedimenti di Agosto hanno fatto aumentare le tasse incassate dallo stato fra Gennaio e Giugno. Sarebbe interessante vederlo argomentare una simile tesi in una qualsiasi aula universitaria.
Ma forse il ragionamento di Visco e' piu' sottile: egli infatti si arrogherebbe un effetto diciamo cosi' di "moralizzazione prospettica" tale per cui la sua semplice presenza rende onesto l'evasore che si precipita a pagare. Tale tesi pare essere stata in parte accolta anche da Geronimo su queste pagine (che pure ne evidenziava pericoli futuri), ma a mio modesto avviso e' assurda, pretenziosa e di immediata confutazione: la voce principale degli oltre 96 miliardi raccolti dallo Stato e'rappresentata dalle ritenute sul lavoro dipendente (65 miliardi). Sarebbe cosi' cortese il Ministro Visco da spiegarci come la sua presenza (manifestatasi il 17
Maggio) possa aver influenzato buste paga incassate nel 2005? Sfugge forse
al Ministro il fatto che i CUD relativi ai redditi da lavoro dipendente
vengono elaborati di solito entro Marzo dai datori di lavoro? Non sarebbe forse piu' onesto spiegare l'aumento di 4 miliardi delle ritenute con la crescita delle retribuzioni, l'aumento dell'occupazione e la legge Biagi?
Non credo... troppo difficile per questo moderno ammettere che si puo'
aumentare il gettito abbassando le aliquote: meglio ricorrere ai paradossi temporali. Sarebbe interessante anche domandarsi come si possa avere il coraggio di rivendicare il merito degli incassi da ruoli, vale a dire il denaro ricavato da accertamento (+101%) quando tutti sanno che i controlli che hanno originato tali incassi sono stati effettuati totalmente durante il governo precedente. In conclusione: per l'Italia tali dati sono un'ottima notizia, confermano ancora una volta che l'eredita' lasciata dall'amministrazione di centrodestra al nuovo governo e' stata benigna e vengono meno i presupposti di una finanziaria pesante per chiudere buchi che non ci sono. Ci auguriamo che Visco (con Padoa-Schioppa sempre piu' assente) abbandoni i paradossi spazio-temporali lasciandoli agli astrofisici e si dedichi a studiare come questi risultati sono stati ottenuti dal governo precedente, sperando che ne prenda esempio.
Per una valutazione sul suo operato (quello vero) ci rivediamo fra un anno... vedremo cosa sapra' fare.
Claudio Borghi

nihil difficile volenti

07 agosto 2006

A Singapore Joke


Award winning poet and playwrighter P. Elangovan


The Media Development Authority of Singapore has recently banned a play from award winning Singaporean poet and playwright P. Elangowan, stating that it "portrays Muslims in a negative light". I publish a letter from Ms. Themoli of the Theatre of Fire where the play was to be staged.

The Media Development Authority of Singapore's (MDA) censorship of the arts has become an unbearable joke today.
We applied for a public entertainment licence for the play SMEGMA, written and directed by Elangovan (bilingual poet-playwright-director) a month ago to the MDA for censorship vetting.
I called the MDA on Tue 1 Aug afternoon at about after 2pm to find out about the licence.
I was told that MDA has approved the licence and it was ready for collection.
About half an hour later, I received a call from an MDA officer saying that the licence was not ready and they were still processing.
When I asked her whether it was a joke and also added that I would go the media, she immediately did a full roundabout and said that the licence was ready and
we could collect it.
We collected the black & white approved licence document from MDA at 4.55 pm on Tue 1 Aug 06 after paying them S$20 by NETS at the counter.
The conditions in the licence were as expected- RA18 with advisory: 'The play is Rated RA18. The play contains strong language and adult themes that may be objectionable to some members of the public. The advisory must be reflected in all publicity materials.'
Today, at about 2.30 pm, I received a call from an MDA official who did not reveal her name.
She informed me that the licence which MDA issued to our group Agni Kootthu (Theatre of Fire) for the play SMEGMA has been cancelled.
She did not give any reasons and I demanded for a written letter.
She said that MDA would follow up.
Meanwhile, MDA had a press conference for the local media at 3pm at its premises to inform that they had cancelled the licence issued for the play SMEGMA. The script of SMEGMA was given to the press members for private reading and collected back.
I finally received a letter by fax today from Ms Amy Tsang,confirming the cancellation of our licence with the following reasons:
para 1. Further to our teleconversation today, we would like to inform you that the Media Development Authority (MDA) is cancelling the arts entertainment licence No: 005/08/2006 issued on 1 Aug 2006 for the play 'SMEGMA'.
para 2. After careful consideration, we find that the play undermines the values underpinning Singapore's multi-racial, multi-religious society, and may negatively impact upon our bilateral relations with our neighbours.
para 3.The play portrays Muslims in a negative light. Two playlets featuring Muslim terrorists are also provocative in view of the increased tension in the Middle east.
para 4. In view of this, MDA has decided not to let the play be staged.
After the above fax, I received a call from MDA saying that they would be faxing another letter soon and it would supercede the fax sent earlier.
I received the final fax at 5.29 pm with a cover letter saying - "Please ignore the earlier letter on the above subject which we had faxed to you before 5 pm today. The attached supercedes the previous letter."
Now, this fax had only one para (para 2) to give a reason for the cancellation:
para 2: After careful consideration, we find that the play undermines the values underpinning Singapore's multi-racial, multi-religious society, and portrays Muslims in a negative light.
Paragraph 2 from the earlier letter disappeared and paragraph 2 has been amended.
Elangovan's TALAQ faced a different sort of problem in OCT 2000 from the then PELU of the Police. The licence was not issued and the whole situation ended in a fiasco, that led to a relook at the censorship laws for plays in Singapore.
But now, six years later, the esteemed MDA has created a mess for a small minority theatre group, by issuing the licence and then cancelling the licence, and also changing their reasons for the cancellation, the same day.
MDA had a month to vet the play. They claim on their website that they would usually vet a play and respond after two weeks.
MDA had sufficient time to vet the play and inform us.
We would have made the necessary amendments if MDA had informed us earlier.
What's wrong with the Censorship panel of MDA and its super-efficient officers?
Why are MDA officers behaving like this?
Why cancel the licence on the eve of our production, which is tomorrow and Sunday?
If MDA had cancelled the licence much earlier, we would not have proceeded with our production.
We would have saved our finances but now we have lost so much.
It only confirms that liberalisation of the arts in Singapore is just lip-service of the 66.6% powers that be.
What happened to us ( worse than the TALAQ incident in 2000) may happen to fellow artistes in this country.
With the National Day celebrations to glorify nation-building next week, and the IMF meeting in September, what Freedom of Expression are we talking about in Singapore?
It is a painful joke.
Grateful if you would globalise this Singapore Joke.
Thank you.

S Thenmoli (Ms)
President
Agni Kootthu (Theatre of Fire)