08 aprile 2011

Evasione

L’Agenzia delle Entrate ha trionfalmente annunciato di aver messo a punto un metodo d’indagine che dovrebbe consentire di operare più efficacemente che in passato nella lotta all’evasione fiscale. Questo nuovo schema di indagine prende in considerazione tutta una serie di parametri, del tipo di quelli usati dall’ISTAT per determinare l’ammontare stimato del PIL, ed all’annuncio è allegata una mappa dell’evasione stimata.
Da tale mappa risulta che l’evasione media è stimata intorno al 18% del PIL, cosa del resto che coincide con quanto l’ISTAT già stimava essere l’importanza dell’economia sommersa. Non si sa se tale conferma costituisca una pura coincidenza, oppure la prova che i due metodi giungono alle stesse conclusioni o ancora che quello era il risultato che si voleva a tutti i costi raggiungere per stringere ancora una volta il cappio fiscale al collo dell’economia italiana.
Quale che sia la spiegazione, dalla mappa pubblicata dall’Agenzia delle Entrate risulta che, se si escludono i redditi e le operazioni che, essendo soggetti a ritenuta alla fonte, non possono essere evasi (stipendi e salari, pensioni, interessi su titoli a reddito fisso e simili), l’evasione sul restante PIL raggiunge all’incirca il 38%. Ciò significa che il PIL può considerarsi all’ingrosso suddiviso a metà fra quota non evadibile e quota per così dire “libera”.
Per terminare, la mappa espone anche alcuni dati disaggregati per provincia, riferiti – crediamo – alla quota di PIL “evadibile”, che mettono in evidenza come nei grandi centri urbani del centro-nord (Milano, Torino, Genova, Roma, ecc.) l’evasione scende a meno dell’11%, mentre in alcune provincie del sud (Caserta, Salerno, Reggio Calabria, Messina) l’evasione raggiunge il 66%, vedi caso le zone ove più attiva è la cosiddetta criminalità organizzata.
Queste notizie inducono a tutta una serie di considerazioni. Innanzi tutto chi decide l’entità del prelievo fiscale sembra non essersi reso conto che il metodo più sicuro per ridurre l’evasione consiste nella diminuzione del carico fiscale e quindi della convenienza ad evadere: ciò, oltre a tutto, lascerebbe maggiori risorse nelle mani dei cittadini, favorendo in tal modo nuovi investimenti e maggiori consumi e quindi lo sviluppo globale dell’economia.
La seconda considerazione riguarda il fatto che lo stato sembra essere molto più interessato a spremere chi produce e molto meno, per non dire per nulla, interessato a ridurre gli sprechi, i parassitismi e le malversazioni alimentate proprio dal settore pubblico. In sostanza, chi non soggiace al prelievo commette un crimine, chi spreca il frutto del lavoro altrui è considerato uno statista degno di continuare nella propria luminosa carriera per la maggior gloria di tutto il paese.
Un’altra considerazione si riferisce al fatto che, se l’evasione è generalmente molto più elevata al sud che nel centro-nord – contrariamente a quanto generalmente si ritiene – ciò sembra indicare che, a parte ogni considerazione di carattere etico, lo stato stesso si applica troppo poco, nel sud, a contrastare il fenomeno.
Infine ci sembra opportuno ricordare che sono proprio alcune regioni del nord a ricevere molto meno di quanto esse stesse versano nella casse pubbliche, la differenza essendo destinata a finanziare altre regioni, di tutte le parti d’Italia, il cui gettito è insufficiente a coprire le spese. Viene spontanea la riflessione che se le regioni in deficit e che più dipendono dal contributo di quelle più operose o comunque più rispettose della legge riuscissero a riscuotere in maggior misura i tributi, riducendo l’evasione, e si dedicassero con meno assiduità a sperperare il denaro pubblico per operazioni di significato esclusivamente clientelare od a fini elettorali, forse la loro situazione economica potrebbe evolversi in maniera più positiva, con beneficio non solo delle regioni in questione, ma di tutto il paese.
Il Bertoldo

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