Esistono vari modi di spostarsi e viaggiare: chi usa il treno, chi l’aereo, chi l’automobile od altri mezzi motorizzati. Sono invece completamente scomparsi, salvo nelle giornate consacrate alla finta riduzione dell’inquinamento, le carrozze, i calessi, le diligenze, e simili mezzi a trazione animale. Ciò perché lo stato della tecnologia è cambiato e le necessità del nostro tempo impongono un adeguamento ad un mondo in cui i mezzi di comunicazione (telefono, radio, televisione, internet) hanno impresso un ritmo diverso alla nostra vita.
Esiste tuttavia un settore della società che non sembra essersi accorto delle mutazioni avvenute nella società stessa e continua a vivere nel diciannovesimo secolo o, nella migliore delle ipotesi, nella prima metà del ventesimo secolo: si tratta della cosiddetta sinistra radicale e delle sue appendici sindacali. Persino nei suoi simboli essa è completamente superata: sia le falci che i martelli sono strumenti di lavoro praticamente scomparsi nell’uso comune, sostituiti da attrezzi meccanici molto più efficienti e tali da risparmiare fatica fisica a chi deve svolgere pesanti lavori manuali.
Anche nelle proprie rivendicazioni e nelle proprie ricette usa un linguaggio completamente obsoleto, e continua ad appellarsi ad una classe operaia che come tale è in via di estinzione, sostituita da tecnici sempre più specializzati. Persino la più modesta manovalanza abbandona gradatamente le utopie marxisteggianti, dato che incomincia a vedere con estrema chiarezza che il proprio futuro non sta nella lotta di classe ma nel proprio adeguamento ad una società sempre più globalizzata. I veri nemici dei lavoratori oggi non sono più i padroni, ma uno stato estorsore e parassitario, i paesi in via di sviluppo che svolgono una concorrenza sempre più spietata alle produzioni meno tecnologicamente caratterizzate e l’immigrazione senza freni di clandestini che svolgono la propria attività senza alcun rispetto per le leggi del paese che li ospita.
Tuttavia le utopie ottocentesche della sinistra radicale trovano ampio consenso non solo presso i nullafacenti (no-global, centri sociali e simili) ma soprattutto presso quei settori della società che non conoscono il bisogno ed i morsi della concorrenza e che in tal modo credono di mettere in pace la propria coscienza: professionisti, insegnanti, magistrati, artisti o sedicenti tali, cosiddetti intellettuali, burocrati, rentiers e speculatori di ogni tipo che si guardano bene dal condividere la propria agiatezza con i meno fortunati: essi sono convinti sostenitori del principio della redistribuzione del reddito, purché si tratti del reddito degli altri. Il generale consenso a tali idee è ben rappresentato dallo stupefacente successo che i partiti che le sostengono hanno riportato alle recenti elezioni.
Nel loro finto progressismo, sono convinti, o fanno finta di esserlo, di aver migliorato la qualità della vita degli handicappati chiamandoli “diversamente abili” o degli spazzini definendoli “operatori ecologici”. Nel nome del progresso rifiutano le autostrade, le ferrovie moderne, l’energia nucleare, le modificazioni genetiche di vegetali ed animali, che tuttavia vorrebbero sperimentare sugli esseri umani.
Questi virtuosi sentimenti e questa distorta concezione del progresso fanno sì che essi si sentano gli unici detentori della cultura e della verità, e che disprezzino chi non la pensa a modo loro, soprattutto i veri lavoratori i cui interessi essi affermano di avere tanto a cuore, tacciandoli di rozzezza e di ignoranza quando non di imbecillità, bell’esempio di coerenza e di comprensione dei tempi e della società in cui vivono.
Il Bertoldo
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