Finalmente si sono svolte le elezioni, anche se sembra che la campagna elettorale non sia ancora terminata. Evidentemente ci vuole qualche tempo per fermare i carrozzoni, l’abbrivio è stato troppo forte.
In questi giorni si sono sprecati i commenti di ogni genere e di ogni colore, e quindi non è il caso di accodarsi a questo rituale. Tuttavia sembra che alcune considerazioni valga la pena di farle.
Innanzi tutto, come d’abitudine, i perdenti – salvo i rappresentanti della Sinistra Arcobaleno e quelli del Partito Socialista - si sono dichiarati estremamente soddisfatti del risultato. Evidentemente molti candidati premier – non dimentichiamo che i simboli presentati erano stati oltre cento – sono rimasti piacevolmente stupiti nel constatare che, oltre al proprio voto ed a quello dei propri famigliari, coinquilini ed amici, ci sia stato qualcuno che ha tracciato la fatidica croce sul proprio contrassegno: non ci avevano mai creduto.
E’ in fondo commovente constatare che, proprio in un anno di olimpiadi, tanti gruppi politici si siano ispirati al motto decoubertiniano “l’importante è partecipare”, e possano dire, senza tema di smentita, “io c’ero”. D’altra parte, tenendo presente che la legge prevede dei finanziamenti anche a favore di chi non è riuscito a passare, si ha l’impressione che molti abbiano partecipato alle elezioni un po’ come si va alle varie trasmissioni a quiz, “chi vuol essere milionario”, “la ruota della fortuna” eccetera. Per mal che vada, ci sono buone probabilità che qualcosa resti attaccato.
Comunque è stato abbondantemente chiarito, da tutti i perdenti, che la colpa dell’avverso risultato conseguito va addebitata agli altri, generalmente ai vincitori, e certamente non ad errori od incomprensioni proprie. Dopo tutto è umano scaricare le proprie deficienze sugli altri o per lo meno sul destino cinico e baro.
Un’ultima considerazione va fatta, e riguarda il modo in cui quasi tutta la classe politica e una parte dei cittadini interpretano il significato delle elezioni. La logica ed il buonsenso (ambedue in genere carenti) dovrebbero far capire che con le elezioni il popolo sceglie i propri governanti per un quinquennio, pronti a cambiare cavallo la prossima volta, se la scelta fatta precedentemente si sia rivelata errata. Si tratta quindi di far sì che una formazione politica raccolga abbastanza consensi per aggiudicarsi l’onore e l’onere di governare il paese.
Sembra invece che, soprattutto da parte dei professionisti della politica, si considerino le elezioni come una specie di gigantesco (ed estremamente costoso) sondaggio sulle singole opinioni dei cittadini: ecco quindi il proliferare di infinite formazioni politiche, che si differenziano fra loro per sfumature talvolta assolutamente evanescenti od incomprensibili, ma che in realtà riflettono unicamente la voglia di raggiungere una posizione di sia pur limitato potere e prestigio, e di aver accesso alla “greppia”. Sempre meglio che lavorare !
In questa ultima occasione, grazie alle intuizioni dei leader delle due principali formazioni, Berlusconi e Veltroni, che hanno trovato il modo di superare l’eccessivo frazionamento delle rappresentanze politiche, gli elettori hanno compreso perfettamente, e ben prima di molti politici, che le elezioni servono a scegliere i propri governanti e non a dar vita ad una vetrina di presenzialismi e di inutili distinguo fra le varie sfumature di pensiero dei cittadini.
Il Bertoldo
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