02 settembre 2010
Caos non calmo
Nel 2007 è apparso sugli schermi italiani un film di Antonello Grimaldi dal titolo “Caos Calmo”, tratto da un omonimo romanzo di Sandro Veronesi, Premio Strega nel 2006. Purtroppo questo titolo è del tutto insufficiente a descrivere le attuali vicende politiche italiane, si tratti della maggioranza (che rischia di perdere il proprio primato) sia dell’opposizione: l’abituale caos politico (e non solo) italiano è in questo momento tutt’altro che calmo e non è facilmente prevedibile dove il tutto andrà a parare. D’altra parte tutti ricorderanno la famosa definizione di Ennio Flaiano a proposito delle questioni politiche italiane: “la situazione è grave, ma non seria”.
Per cominciare ricordiamo il comportamento del Presidente della Repubblica che secondo la Costituzione ha l’incarico di svolgere funzioni di supremo notaio e custode della Costituzione stessa. Dopo aver costantemente enunciato il principio della sacralità ed inviolabilità della Costituzione, egli non perde occasione per inviare continui messaggi alla nazione, intervenendo in modo talora alquanto maldestro nella politica, che dovrebbe essere il campo esclusivo del Parlamento e del governo.
E’ giunto addirittura ad intervenire in una questione squisitamente sindacale qual è quella sorta fra la Fiat ed un sindacato a proposito dei fatti di Melfi. Si è tuttavia ben guardato dal dire alcunché a proposito di quanto è emerso sulla stampa relativa a certi comportamenti, politici e personali, del presidente della Camera, se non altro invitandolo a chiarire i fatti e quindi a porre fine ad un conflitto che danneggia gravemente le istituzioni ed avvelena la vita politica del paese e comunque a mantenere un atteggiamento neutrale.
D’altra parte il Presidente della Repubblica, sempre piuttosto loquace, si è sempre guardato dall’intervenire ufficialmente, nella sua qualità di presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, in merito ai comportamenti di certo non ortodossi di alcuni componenti della magistratura stessa, limitandosi, in qualche dichiarazione inserita in alcuni suoi discorsi (ne fa continuamente), ad invitare i magistrati a svolgere più serenamente le proprie funzioni.
Per quanto riguarda il Presidente della Camera, tralasciando ogni considerazione su fatti relativi alla sua vita privata ed ai suoi rapporti col patrimonio del suo ex partito, fatti ormai di dominio pubblico da settimane e che egli si è ben guardato dallo spiegare, vale la pena di ricordare che, dalla sua posizione di arbitro – che dovrebbe doverosamente essere al di sopra delle parti – non ha esitato a prendere parte, pesantemente, al gioco politico attivo, fino al punto di promuovere una scissione (nei fatti se non nella forma) nel partito che egli stesso ha contribuire a fondare e grazie al sostegno del quale ha potuto occupare il proprio scranno.
Passando poi al Presidente del Consiglio, depositario del consenso di una maggioranza degli elettori che in lui hanno riposto la loro fiducia sulla base di un preciso programma, è evidente che dopo oltre due anni dalla propria elezione non ha realizzato che alcuni non fondamentali punti del programma proposto agli elettori. Le vere riforme fondamentali, quelle che da decenni si promettono agli italiani e che potrebbero veramente avvicinare il nostro paese ai paesi normali, restano pur sempre soltanto delle promesse (da marinaio?).
Ci riferiamo in particolare alla riforma della giustizia, attualmente indegna di un paese che si richiama sempre a Roma, patria del diritto, e che sarebbe giudicata inadeguata in un paese arretrato del terzo mondo. Anzi, abbiamo dovuto constatare che ormai è divenuta una prassi consolidata che la parte più estremista e politicizzata della magistratura si sia di fatto sostituita, in molte occasioni, al potere politico, dettando le regole del gioco, cercando di eliminare per via giudiziaria i politici sgraditi, in definitiva usurpando una sovranità che non le appartiene. In questa situazione, per timidezza, per vigliaccheria o per insicurezza, nulla si è fatto per riportare la situazione nell’ambito delle prescrizioni costituzionali.
Ma fra le cose importanti promesse e non realizzate possiamo aggiungere una seria riforma della burocrazia e del centralismo (anche la burocrazia purtroppo ha occupato un posto di potere che non le compete, privandone di fatto il potere politico che ne risulta così condizionato); una qualche forma di autentico federalismo fiscale – non quello da operetta proposto – che, assegnando agli enti locali una capacità impositiva autonoma, consenta una effettiva concorrenza fra le regioni ed una effettiva riduzione degli sprechi e dei parassitismi, alleggerendo quindi il fardello fiscale; una revisione completa del sistema tributario, oggi esageratamente vessatorio e tale da non consentire un decente sviluppo della nostra economia, e molte altre riforme che non si fanno per timore di urtare alcune sensibilità o danneggiare alcune comode posizioni di potere e, perché no, di personale vantaggio ed arricchimento.
D’altra parte dobbiamo considerare anche che il Presidente del Consiglio cita quotidianamente i risultati di certi sondaggi che danno lui, il suo governo e la maggioranza che lo sostiene in netto vantaggio nelle preferenze popolari. Perché allora, di fronte alla scissione di fatto realizzata dal presidente Fini e da alcuni suoi seguaci, che mette in serio pericolo la maggioranza uscita dalle urne, non decide di appellarsi nuovamente al popolo, per dimostrare che ciò che dice è vero, anziché cercare risibili scappatoie ed inaffidabili pacificazioni? Se è vero che il primo impegno degli eletti è rappresentare la volontà degli elettori e tener fede alla parola data in occasione delle elezioni, non sembra che in questo momento tale esigenza venga rispettata dal premier che proclama ogni giorno la sua fedeltà al proprio elettorato.
Infine, dato che i candidati alla rappresentanza del popolo in Parlamento sono in realtà designati dalle segreterie dei partiti e non scelti autonomamente dagli elettori, perché non si pone più attenzione nella scelta di tali candidati, vagliando non solo la loro fedeltà (vera o presunta) ai capi, ma soprattutto esaminando il loro curriculum ed evitando di perpetuare una casta che non ha mai lavorato, non ha mai prodotto nulla, ma cerca unicamente una sistemazione comoda e spesso ben più redditizia di quanto i compensi ufficiali consentono: quella dei politici di professione.
Il Bertoldo
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