Con il termine “magliaro”
veniva definito un venditore ambulante di tessuti ed altro, spesso di illecita
provenienza e di infima qualità, di cui venivano magnificate le immaginarie
qualità e convenienza. Per estensione il termine oggi viene usato per indicare
un piccolo imbroglione od un truffatore. Crediamo che, per ulteriore
giustificata estensione tale termine possa essere applicato alle infinite
miserabili trovate della classe politica, sempre attiva nel coniare nuovi
fantasiosi termini per coprire la propria attività estorsiva.
Diamo qualche esempio di
espressioni ben note a tutti. I redditi conseguiti nel corso della propria
attività sono colpiti nel nostro paese da ben tre diverse forme di tassazione.
In primo luogo l’IRPEF
(Imposta sui Redditi delle PErsone Fisiche), tristemente nota a tutti, con
aliquote progressive in ossequio al dettato costituzionale, che vengono spesso
modificate, sempre verso l’aumento e mai al ribasso.
Abbiamo poi l’IRES (Imposta
sui REdditi delle Società) che dal 2004
ha sostituito l’IRPEG (Imposta sui Redditi delle PErsone Giuridiche) con
aliquote proporzionali.
C’è poi un doppione
peggiorativo di quest’ultima imposta, l’IRAP (Imposta Regionale sulle Attività
Produttive), proporzionale, che colpisce i redditi d’impresa, ma con criteri
differenti rispetto alla precedente: sono colpiti anche i costi del personale
(in un paese che deplora l’alto tasso di disoccupazione) ed i costi finanziari
(compresi evidentemente i costi sostenuti per la reiterata insolvenza del settore
pubblico nei confronti dei propri fornitori). Quest’ultima imposta è
caratterizzata da varie stranezze. Innanzi tutto colpisce le “attività
produttive”: ci si domanda come si potrebbero colpire le attività improduttive,
e come l’improduttività potrebbe essere definita “attività”. Ricordiamo che fra
le “attività” improduttive va compresa anche la maggior parte della pubblica
amministrazione.
Ma le stranezze del sistema
di tassazione dei redditi non finiscono qui. Si è inventato un ulteriore
marchingegno truffaldino: gli “studi di settore”, il cui scopo sarebbe quello
di determinare quale reddito deve produrre una determinata attività: essi
vengono applicati indiscriminatamente, incuranti del fatto che c’è chi, con la
medesima attività, guadagna molto, poco, niente o addirittura fallisce. Come
curiosità notiamo che non esistono studi di settore, sia pure al solo scopo
informativo, relativi alla produttività della pubblica amministrazione:
dimenticanza o difesa del proprio orticello?
Tuttavia le incongruità del
sistema fiscale non finiscono qui. In aggiunta alle imposte sul reddito esiste
anche un’imposta sostanzialmente sul patrimonio (per ora solo immobiliare):
l’IMU (Imposta Municipale Unica) che ha sostituito la precedente ICI (Imposta
Comunale sugli Immobili), naturalmente con un sostanzioso aumento delle
aliquote e con l’abolizione di certe esenzioni. Il fatto curioso di questa
imposta è che, malgrado il nome di Municipale, buona parte del suo gettito va
allo Stato centrale.
Ma c’è da fare un’ulteriore
osservazione sulle imposte sul patrimonio. Innanzi tutto, come già fece
osservare Luigi Einaudi, le imposte patrimoniali, salvo quelle in realtà
espropriatrici, vengono pagate con il reddito. Quindi si tratta di una
imposizione supplementare sui redditi a carico di quei soggetti che, grazie ai
propri risparmi – e salvo prova contraria si deve presumere che si tratti di
quote di reddito già tassate e risparmiate in precedenza - hanno investito in immobili. Per ora almeno
non vengono colpiti coloro che hanno effettuato investimenti diversi
dall’immobiliare: gioielli, opere d’arte, oro, titoli di vario genere. Quindi
esistono due categorie di cittadini: coloro che hanno voluto assicurarsi un
tetto saranno tassati più pesantemente di coloro che hanno fatto la bella vita
o che hanno deciso di investire diversamente i propri risparmi.
Se tutto questo configura
uno Stato serio, onesto ed interessato alla crescita ed al benessere del paese
lo lasciamo giudicare ai lettori.
Il Bertoldo
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