10 giugno 2013

Confusione voluta

Da prima delle ultime elezioni l’argomento principe di molti dibattiti, comizi, programmi di partiti ha riguardato l’IMU. E’ indispensabile toglierla proclamano alcuni, almeno sulla prima casa, al fine di lasciare maggiori mezzi finanziari alle famiglie e così incrementare i consumi, senza i quali non ci può essere ripresa.
 No, bisogna lasciarla, eventualmente modulandola diversamente, proclamano altri, per consentire di alleggerire le imposte sul lavoro e così, solo così, potremo avere sul serio una ripresa dell’economia.
Si sono svolte le elezioni, si sono persi due mesi per mettere insieme un governo che riunisce gli uni e gli altri, il governo è in carica ormai da più di un mese, ma nulla è stato finora fatto in questo campo. Per il momento si è solo sospeso il pagamento della prima casa – sospeso, si badi bene, non annullato – e nient’altro. Frattanto continuano le polemiche sull’argomento: non ci sono i soldi, ma sì, si possono trovare e tutti a dire la loro, sempre senza alcun costrutto.
Senza entrare in polemica, ma solo per cercare di chiarirci le idee, cerchiamo di capire cosa c’è negli argomenti degli uni e degli altri. Innanzitutto pensiamo che la denominazione di questa legge sia già da sola inventata per trarre in inganno la gente: una Imposta Comunale Unica non sembra una definizione corretta per ben due motivi. In primis, una cospicua quota del gettito non va ai comuni ma allo stato centrale. E poi oltre all’IMU i comuni riscuotono la TARES: perché quindi “comunale” e “unica”? Spunta nuovamente qui l’inveterata abitudine dei politici e dei burocrati di battezzare le nuove tasse con nomi che evochino solidarietà: vedere le accise sui carburanti che si intitolano ai vari terremoti, inondazioni, sciagure che hanno funestato l’Italia e che continuano anche dopo che l’emergenza è passata. Parafrasando il divino poeta, si tratta della solita “estorsione fiscal che mai non resta”.
In secondo luogo c’è una diatriba se si tratti di una imposta patrimoniale. A noi sembra che sia sì una imposta patrimoniale, ma con ben due maggiori difetti. Essa si applica solo sul patrimonio investito in immobili, lasciando da parte tutti quei mezzi investiti in titoli (compresi quelli di stato) o in altro modo. E poi colpisce il valore lordo dell’immobile, senza tener conto dei gravami che incidono su di esso: mutui e finanziamenti vari, per cui il patrimonio effettivamente impegnato dal cittadino è quasi sempre inferiore al valore del bene immobile.
Ma ci sono anche altre caratteristiche. Per esempio da parte di alcuni si propone di esentare una quota fissa di imposta: chi dice trecento, chi propende per cinque o sei cento euro. Tutto bene, se non fosse che i comuni hanno una certa libertà nella fissazione delle aliquote, per cui un’esenzione poniamo di 500 euro ha un peso ben diverso se l’aliquota è, pur nei limiti, più  o meno alta.
C’è poi che, con intuito assolutamente innovativo, propone di legare la tassazione non solo al valore dell’immobile, ma anche al reddito dichiarato dal proprietario. In questo modo si otterrebbe non solo un’inedita contaminazione fra imposta patrimoniale ed imposta sui redditi, ma si favorirebbero, anche su questo fronte, gli evasori, che si dichiara continuamente di voler strenuamente combattere. Infatti chi dichiara un basso reddito, magari barando, verrebbe beneficato.
Per concludere: se c’è bisogno di quattrini, lo si dica apertamente e non si cerchino sotterfugi penosi, mettendo anche di mezzo i comuni o le disgrazie nazionali (alle disgrazie e sciagure provocate dall’insipienza, voracità e parassitismo politici non risulta che si intitolino nuovi prelievi fiscali). I comuni dovrebbero disporre di proprie risorse esclusive di cui rendere conto ai propri cittadini, e senza più trasferimenti dallo stato. Un po’ di chiarezza e trasparenza non guasterebbe proprio.
Il Bertoldo 


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