Da prima delle ultime
elezioni l’argomento principe di molti dibattiti, comizi, programmi di partiti
ha riguardato l’IMU. E’ indispensabile toglierla proclamano alcuni, almeno
sulla prima casa, al fine di lasciare maggiori mezzi finanziari alle famiglie e
così incrementare i consumi, senza i quali non ci può essere ripresa.
No, bisogna lasciarla, eventualmente
modulandola diversamente, proclamano altri, per consentire di alleggerire le
imposte sul lavoro e così, solo così, potremo avere sul serio una ripresa
dell’economia.
Si sono svolte le elezioni,
si sono persi due mesi per mettere insieme un governo che riunisce gli uni e
gli altri, il governo è in carica ormai da più di un mese, ma nulla è stato
finora fatto in questo campo. Per il momento si è solo sospeso il pagamento
della prima casa – sospeso, si badi bene, non annullato – e nient’altro.
Frattanto continuano le polemiche sull’argomento: non ci sono i soldi, ma sì,
si possono trovare e tutti a dire la loro, sempre senza alcun costrutto.
Senza entrare in polemica,
ma solo per cercare di chiarirci le idee, cerchiamo di capire cosa c’è negli
argomenti degli uni e degli altri. Innanzitutto pensiamo che la denominazione
di questa legge sia già da sola inventata per trarre in inganno la gente: una
Imposta Comunale Unica non sembra una definizione corretta per ben due motivi.
In primis, una cospicua quota del gettito non va ai comuni ma allo stato
centrale. E poi oltre all’IMU i comuni riscuotono la TARES: perché quindi
“comunale” e “unica”? Spunta nuovamente qui l’inveterata abitudine dei politici
e dei burocrati di battezzare le nuove tasse con nomi che evochino solidarietà:
vedere le accise sui carburanti che si intitolano ai vari terremoti,
inondazioni, sciagure che hanno funestato l’Italia e che continuano anche dopo
che l’emergenza è passata. Parafrasando il divino poeta, si tratta della solita
“estorsione fiscal che mai non resta”.
In secondo luogo c’è una
diatriba se si tratti di una imposta patrimoniale. A noi sembra che sia sì una imposta
patrimoniale, ma con ben due maggiori difetti. Essa si applica solo sul
patrimonio investito in immobili, lasciando da parte tutti quei mezzi investiti
in titoli (compresi quelli di stato) o in altro modo. E poi colpisce il valore
lordo dell’immobile, senza tener conto dei gravami che incidono su di esso:
mutui e finanziamenti vari, per cui il patrimonio effettivamente impegnato dal
cittadino è quasi sempre inferiore al valore del bene immobile.
Ma ci sono anche altre
caratteristiche. Per esempio da parte di alcuni si propone di esentare una
quota fissa di imposta: chi dice trecento, chi propende per cinque o sei cento
euro. Tutto bene, se non fosse che i comuni hanno una certa libertà nella
fissazione delle aliquote, per cui un’esenzione poniamo di 500 euro ha un peso
ben diverso se l’aliquota è, pur nei limiti, più o meno alta.
C’è poi che, con intuito
assolutamente innovativo, propone di legare la tassazione non solo al valore
dell’immobile, ma anche al reddito dichiarato dal proprietario. In questo modo
si otterrebbe non solo un’inedita contaminazione fra imposta patrimoniale ed
imposta sui redditi, ma si favorirebbero, anche su questo fronte, gli evasori,
che si dichiara continuamente di voler strenuamente combattere. Infatti chi
dichiara un basso reddito, magari barando, verrebbe beneficato.
Per concludere: se c’è
bisogno di quattrini, lo si dica apertamente e non si cerchino sotterfugi
penosi, mettendo anche di mezzo i comuni o le disgrazie nazionali (alle
disgrazie e sciagure provocate dall’insipienza, voracità e parassitismo
politici non risulta che si intitolino nuovi prelievi fiscali). I comuni
dovrebbero disporre di proprie risorse esclusive di cui rendere conto ai propri
cittadini, e senza più trasferimenti dallo stato. Un po’ di chiarezza e
trasparenza non guasterebbe proprio.
Il Bertoldo
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