Un articolo di Augusto Fei
La discussione in corso sulla sciagurata proposta di legge finanziaria presentata dal governo si sta svolgendo con insolita violenza. E’ certamente vero che tutte le finanziarie hanno sempre sollevato mugugni, per lo meno da parte di alcune categorie sociali, ma finora non si era mai vista una mobilitazione così generale di tutti contro tutti: persino una notevole parte della maggioranza di governo protesta per l’impianto della legge. Ed il governo non trova di meglio che reiterare bugie su bugie, preparandosi a fare marcia indietro quando le proteste vengono dalla sua stessa maggioranza o comunque dai propri sostenitori. Forse sarebbe stato meglio pensarci prima…
Ma c’è un aspetto particolare nell’impianto ideologico e concettuale della finanziaria che non è stato rilevato da nessuno (almeno così sembra) e che invece intacca i principi fondamentali della nostra società. E’ ben noto che quasi tutti, ma in particolare i partigiani della sinistra, i cosiddetti progressisti (e non si è mai capito bene che cosa intendano per “progresso”) considerano la Costituzione, soprattutto nella sua prima parte, nella quale si enunciano i sacri principi, come qualcosa di assolutamente intoccabile ed immodificabile, vero caposaldo del nostro vivere civile. Ebbene, l’articolo 53 della nostra sacra costituzione dice testualmente:
“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”
Ora è chiaro che da nessuna parte si parla di un sistema tributario destinato a ridistribuire il reddito fra i cittadini (come vorrebbe far credere l’attuale maggioranza), ma unicamente di come si deve partecipare al sostenimento della spesa pubblica. Ed inoltre non si dice affatto che ognuno deve contribuire in ragione della capacità contributiva “dichiarata” ma di quella effettiva. Quindi gli aumenti delle aliquote delle imposte sui redditi personali non obbediscono affatto al dettato costituzionale finché non si troverà il modo di accertare l’effettiva capacità contributiva di ogni soggetto.
Ma c’è di più. La costituzione parla di un sistema tributario informato a criteri di progressività in senso generale e non solo in alcune sue parti. Ora fra tutte le imposte statali e locali, l’unica che obbedisca a questo principio è l’IRPEF. Tutte le altre imposte o comunque prelievi a vario titolo (IVA, IRAP, ICI, accise, imposte di registro, IRPEG, imposte locali varie, contributi previdenziali e sociali, tickets sanitari e chi più ne ha più ne metta) non sono evidentemente progressive ma proporzionali. Ma il gettito dell’IRPEF rappresenta solo circa un terzo delle entrate tributarie dello stato: si può quindi affermare che il sistema tributario italiano non risponde affatto, se non in minima parte, ai criteri basilari prescritti dalla Costituzione.
Ne consegue quindi che il sistema tributario italiano è sostanzialmente illegale ed incostituzionale. Pertanto, o si modifica il sistema o si modifica la costituzione, se si vuole rientrare nella legalità costituzionale, con buona pace delle vestali che dichiarano che la costituzione è perfetta così come è e che tutte le leggi vi si conformano.
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