31 maggio 2013

Ecco il nuovo....

Giorni fa, nel corso di un dibattito televisivo (“talk show”,  spettacolo di chiacchiere per la gente à la page) un neo deputato PD, giovane, belloccio e molto presenzialista, uno di quelli che dovrebbe rappresentare il “nuovo”nella politica italiana, ha solennemente affermato che nel nostro paese occorrono più uguaglianza e più meritocrazia: solo così sarà possibile uscire dalle nebbie di una gestione pluridecennale del tutto fallimentare.
C’è da rallegrarsi che un dotato giovane rappresentante del popolo abbia idee così precise, anche se forse un po’ più di coerenza non sarebbe stata di troppo. Vediamo infatti cosa vogliono dire queste due espressioni.
Per quanto riguarda l’uguaglianza ci sono tre interpretazioni possibili. La prima si riferisce a quanto stabilisce la Costituzione: “Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge”. Ciò non sempre è vero, ma in generale il principio è chiaro e definito molto bene.
Una seconda interpretazione riguarda l’uguaglianza dei punti di partenza, principio liberale per eccellenza. E’ anche il principio che presiede a tutti gli sport e che meglio di tutto è rappresentato nelle gare atletiche di velocità: tutti partono dallo stesso punto, e vince chi è più veloce, più in forma o più dotato. E qui vediamo anche applicato il principio meritocratico.
C’è infine una terza interpretazione, molto cara ai praticanti delle idee di sinistra, e naturalmente a tutti coloro che o non hanno alcuna qualità, o non hanno voglia né capacità di darsi da fare, ma vogliono comunque ottenere (ottenere, si badi bene, non conquistarsi) una gradevole sistemazione nella vita. E’ il principio della uguaglianza dei punti d’arrivo. Sarebbe come  se, in base a questa discutibile interpretazione dell’uguaglianza,  tutti i film ottenessero l’Oscar, tutti gli studiosi ottenessero il Premio Nobel e tutti i partecipanti ad una gara arrivassero primi.
Da quanto si è detto appare dunque evidente che l’uguaglianza dei punti d’arrivo è assolutamente contraddittoria rispetto al concetto di meritocrazia. Chi sarebbe più disposto a darsi da fare, a spremere le proprie capacità se poi alla fine sarebbe semplicemente equiparato ai pigri, ai meno dotati, ai fannulloni? Non sembra che l’applicazione di un criterio di uguaglianza di questo genere possa costituire un valido motivo per il progresso della società.
Se il ricordato parlamentare ha escogitato una ricetta miracolosa che consenta di avere una società al tempo stesso egualitaria nel senso di parità dei punti di arrivo e meritocratica sarebbe certamente degno del Premio Nobel, addirittura in varie specialità: per lo meno la pace e l’economia.

 Il Bertoldo

30 maggio 2013

Rigore

Da quasi cinque anni ormai il mondo intero è in sofferenza: con varie modalità tutti i paesi stanno patendo una crisi che non sembra avere fine, malgrado i messaggi ottimistici che ci vengono quasi quotidianamente propinati. L’Europa non fa eccezione, ed alcuni paesi europei sembrano soffrire più di altri: fra questi dobbiamo purtroppo inserire anche l’Italia.
Non passa giorno senza che i giornali, le televisioni, le radio ci diano notizie dell’aggravarsi della crisi: licenziamenti e conseguente disoccupazione, chiusure di aziende, fallimenti, diminuzione delle vendite, degli ordinativi, della produzione, restrizioni creditizie, insolvenze persino da parte dello stato. Oggi è peggio di ieri, e domani potrebbe essere peggio di oggi.
In questa atmosfera sembra che la parola magica sia una sola: rigore. Ma è necessario ricordare che questa parola può assumere due significati assai diversi fra di loro. Da un lato essa indica la stretta, potremmo dire rigorosa, osservanza delle regole convenute, dei patti sottoscritti, in definitiva del buonsenso. Dall’altro essa può essere intesa come sinonimo di sofferenza, punizione.
E’ mia convinzione che, nel caso della crisi che attanaglia l’Europa ed in particolare il nostro paese, essa debba essere intesa nel primo significato, e quindi debba essere applicata solo ai governi: rispettare rigorosamente gli impegni presi, oltre che il buonsenso.
Purtroppo invece la maggior parte dei governanti, per i loro interessi elettorali e di conservazione del potere, sembrano aver preferito applicare la parola ai loro governati, e nel senso di sacrificio, penitenza, sofferenza: le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, la situazione, con questo tipo di rigore, non solo non migliora, ma addirittura peggiora continuamente.
La crisi è certamente molto seria, tanto da far discutere in alcuni paesi sulla opportunità di lasciare l’Unione Europea. Non crediamo che questa sia la soluzione del problema: un’uscita non solo dall’euro, ma anche dalla stessa Unione Europea avrebbe ben prevedibili conseguenze deleterie. Svalutazioni a catena, con conseguente impoverimento generale, ripresa di un protezionismo esasperato, alla ricerca di protezione per le proprie economie e simili sciagure.
A nostro avviso la soluzione è certamente un’altra: rivedere razionalmente i trattati che regolano l’Unione, e che in genere sono non solo molto malfatti ed equivoci, ma non favoriscono affatto la necessaria integrazione dei partecipanti; una vera democratizzazione del sistema in senso chiaramente europeo, continentale, e non più grettamente nazionalistico e tale da evitare sperequazioni nelle rappresentanze dei vari paesi; adozione di politiche comuni e non tendenti solo a favorire i membri più forti a discapito degli altri più deboli.
Ma soprattutto occorre che le classi politiche dei singoli paesi smettano di considerare del tutto preminente il proprio interesse elettorale ed ideologico immediato e cerchino di affrontare i problemi in una visione globale e non più uno alla volta in maniera troppo spesso contraddittoria quando non del tutto controproducente.

Finché l’Unione non cesserà di occuparsi di cetrioli, fagiolini e banane per affrontare invece quelli che sono i veri problemi di un continente che per la prima volta si trova ad affrontare una serissima sfida da parte di paesi ritenuti fino ad ieri ininfluenti sul piano economico mondiale, per dedicarsi unicamente al fine di determinare principi di gestione economica, sociale e politica uniformi, il rischio del collasso sarà sempre dietro l’angolo.
Il Bertoldo

27 maggio 2013

Semplificazioni

L’Italia è comunemente ritenuta la patria del diritto. Se poi si tratti di diritto realmente applicato o semplicemente di diritto enunciato attraverso norme che vengono osservate o fatte osservare solo se ciò fa comodo, a sé, ai propri interessi od alla propria parte politica non è ben chiaro a nessuno. Tuttavia, forse in ossequio alla definizione citata, vige da noi un’abitudine inveterata. Ogni volta che si verifica un fatto che impressiona la pubblica opinione, si tratti di delitti, reati di vario genere, situazioni diverse da quelle cui siamo abituati, si chiede a gran voce che il fenomeno venga regolato o contrastato con una nuova legge. Naturalmente senza verificare se una legge in proposito esiste già e soprattutto se essa viene applicata da chi di dovere.
Ci troviamo quindi di fronte ad una sterminata produzione di leggi, di regolamenti  e di norme che hanno comunque valore di legge, emanate dallo stato, dalle regioni, dalle provincie e dai comuni.  D’altra parte bisogna riconoscere che le assemblee democratiche investite del potere legislativo debbono ben fare onore alla propria qualifica, e dobbiamo dire che senza ombra di dubbio esse “lavorano” molto, ed il loro indefesso lavoro è ulteriormente complicato, per quanto riguarda il Parlamento nazionale dal fatto che sono in funzione ben due Camere con gli stessi poteri, che sono particolarmente affezionate al gioco del pingpong. In fondo, il Parlamento non detiene forse il potere legislativo? E quindi lo esercita senza sosta (ed anche senza logica).
Accade così che si calcola che le norme aventi valore di legge siano in Italia circa centocinquantamila, contro dieci o quindici mila vigenti negli altri più importanti paesi europei. Peraltro, la sterminata produzione normativa sembra non essere ben nota neppure a chi è preposto alla predisposizione delle nuove norme, tanto che è abituale, nelle stesse, l’espressione “le disposizioni della presente legge sono applicabili ai soggetti di cui alla legge XXX e successive modificazioni” senza che queste ultime vengano mai precisate, per doverosa chiarezza. D’altra parte è noto che non è ammessa l’ignoranza della legge…
Qualche anno fa, in uno slancio di inabituale e lodevole razionalità, ci si rese conto che la situazione aveva ormai raggiunto un livello insostenibile, e si istituì un apposito ministero: il Ministero per la Semplificazione. All’inizio questo ministero sembrò darsi molto da fare e nel 2009 annunciò solennemente di aver proceduto alla abrogazione di ben ventinovemila leggi, per lo più risalenti a cento o duecento anni prima. Non è stato chiarito se fra le leggi abrogate figurasse anche l’Editto di Rotari, forse conservato per motivi culturali.
Da allora non si sono più avute notizie di ulteriori “semplificazioni”, ma da allora questa struttura innovativa sembra essersi dedicata a favorire l’informatizzazione di molte procedure. Finché si tratta di informatizzare alcune procedure interne alla macchina burocratica il proposito appare senz’altro lodevole, anche se si rileva che non solo le procedure non sembrano essere sempre efficienti, ma addirittura troppo spesso si deve constatare che i programmi  di uffici fra loro complementari non sono in grado di dialogare fra loro. A titolo di curiosità si può anche citare il fatto che, in un periodo di particolare entusiasmo per l’informatica, tutta la documentazione dell’attività delle Camere è sotto forma cartacea, con grande dispendio di tempo e di quattrini.
Tuttavia il processo di informatizzazione delle procedure mostra tutti i suoi limiti e le sue illogicità quando tocca direttamente il cittadino. Alcune operazioni necessarie oggi debbono essere svolte unicamente per via informatica: iscrizioni scolastiche, procedure con gli enti previdenziali, soprattutto le pensioni, eccetera. Non si tiene in alcun conto il fatto che non tutti i cittadini posseggono dei computer e comunque non tutti sono in grado di padroneggiare le complesse procedure previste.
A titolo di esempio, per ottenere informazioni dall’INPS in merito alle pensioni (e di solito i pensionati sono persone anziane, attive in periodi preinformatica) si devono affrontare procedure che devono essere state ideate da esperti di enigmistica, ed in genere non si riesce ad ottenere alcuna risposta a quanto si chiede.
A ben vedere si ha l’impressione che non ci sia alcuna reale intenzione di semplificare tutto l’apparato normativo e quindi la vita degli italiani. Troppi interessi verrebbero lesi da una vera razionalizzazione delle procedure burocratiche e del sistema stesso e dalla semplificazione della vita dei cittadini: come si giustificherebbe la pletorica abbondanza dei dipendenti pubblici senza i bizantinismi delle procedure e degli adempimenti richiesti ai cittadini contribuenti? E come sarebbero possibili certe interpretazioni cavillose quando non capziose delle leggi da parte di avvocati e, ciò che è peggio, da parte della magistratura?
Forse sarebbe il caso, prima di procedere in questo tipo di semplificazione, che si procedesse a semplificare la mentalità di chi provvede ad emanare norme a getto continuo. Ma c’è poco da sperare in questo senso…
 Il Bertoldo



24 maggio 2013

Baratro


Il Presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi, parlando oggi all’assemblea generale dell’associazione, dopo aver ricordato tutta l’infinita serie di dati negativi sull’andamento della nostra economia, ha concluso precisando che il nostro paese, e particolarmente le regioni settentrionali, cuore e motore della nostra economia, sono sull’orlo del baratro.
La sua dichiarazione non può che stupirci, dato che ci sembra di ricordare che circa un anno e mezzo fa qualcun altro fece la stessa constatazione, salvo poi, qualche mese dopo, dichiarare trionfalmente che, grazie al suo illuminato intervento ed alla sua energica e rigorosa azione, era stato possibile evitare la catastrofe.
L’impressione generale fu piuttosto che, dato il carattere dell’uomo non abituato ad arretrare, mai, in realtà, trovandosi sull’orlo del baratro, abbia decisamente fatto un passo avanti, tanto che l’attuale dichiarazione di Squinzi assomiglia più ad un understatement che ad una fotografia della realtà.
Com’è universalmente noto, tanto che diventa uggioso ripeterlo, l’unica cura che l’esimio Professore - nominato Senatore a Vita per i suoi “altissimi (de)meriti in campo sociale, scientifico, artistico e letterario”, come recita la Costituzione più bella del mondo - chiaramente per eseguire come un bravo scolaretto (lui che è invece un docente stimato) i compiti a casa assegnatigli dall’”amica” Germania, fu quella di sparare una bordata di nuove tasse, che ha messo in ginocchio il paese.
D’altra parte, lui è professore di Economia, non di Ragioneria, e non è suo compito sapere che i conti si possono migliorare sia aumentando le entrate che diminuendo le uscite. Col tempo, affascinato dalla prospettiva di continuare a primeggiare nel paese come già nell’università, ebbe l’indubbia obbiettività di criticare, anche aspramente, l’operato del proprio governo e decise di presentarsi alle elezioni.
Purtroppo per lui l’Italia non è un paese serio, ed alle urne gli elettori preferirono, fra i tanti pagliacci, quelli che fanno ridere piuttosto che quello che fa piangere.
 Il Bertoldo

22 maggio 2013

Perche'?

Il governo recentemente costituito, come del resto i precedenti, ha promesso di fare il possibile per il rilancio dell’economia e quindi per la risoluzione del problema del lavoro. Naturalmente viene sempre ricordato che mancano i mezzi e che occorre in ogni modo reperirli. Oggi il Presidente Enrico Letta partecipa ad una riunione a Bruxelles, dove intende chiedere la fine della procedura di infrazione per deficit eccessivo e quindi ottenere la possibilità di trovare altri finanziamenti. Finora, ogni volta che si è trattato di reperire fondi – anche per obbedire ai diktat della UE, o meglio della Germania - si sono aumentate le tasse, incuranti del disastroso effetto che ciò ha provocato a tutta l’economia.
In una normale famiglia, quando le risorse non sono sufficienti a mantenere l’abituale tenore di vita, si ricorre alla riduzione delle spese, che si tratti di alimentazione, arredo della casa, abbigliamento, tempo libero. In alcune famiglie “diversamente normali” in queste situazioni si ricorre al furto, alla truffa, alla rapina. Sembra che gli stati, e quello italiano in particolare, si possano annoverare fra i “diversamente normali”: se le entrate non bastano per coprire le spese, non si pensa neppure a ridurre quelle inutili o parassitarie, ma si “tosano” ulteriormente i cittadini, unica fonte conosciuta per equilibrare i bilanci.
Qualcuno si chiede come si possano tagliare le spese dell’amministrazione pubblica e quali possano essere definite “sprechi”. Lasciando da parte gli evidenti e del resto ben noti costi della politica (rimborso spese elettorali, vitalizi dopo poco tempo in carica, agevolazioni varie, affitti di centinaia di uffici per i parlamentari ed i loro portaborse, pletorica presenza di funzionari ben retribuiti, eccetera) ben altre sono le fonti di spreco che si potrebbero tagliare senza conseguenze.
Ne vogliamo citare alcune. In Calabria, con 600.000 ettari di foreste, ci sono ben 10.000 forestali (in Sicilia sono addirittura 27.000); in Canada, con oltre 120 milioni di ettari, ne esistono meno ed il loro costo complessivo è all’incirca la metà.
I dipendenti regionali della Sicilia, comprendendo anche quelli delle società controllate dalla regione, sono circa 28.000 (oltre ai forestali di cui si è detto) con un costo annuo di 760 milioni. Se a questo costo si aggiungono quelli del personale delle società partecipate e le pensioni degli ex dipendenti regionali si raggiungono i due miliardi. Sempre in Sicilia, il numero dei dirigenti regionali è pari a quelli di tutte le regioni a statuto ordinario messe insieme.
C’è da chiedersi poi perché molte regioni mantengano rappresentanze (una sorta di ambasciate) regionali in molti stati esteri ed alla UE: le relazioni internazionali non sono forse una prerogativa dello stato centrale? E per quale motivo il personale del Quirinale sia tre volte quello di Buckingham Palace, e perché Palazzo Chigi costi più del doppio della Cancelleria tedesca.
I casi sono due: o queste insensate assunzioni configurano una forma di clientelismo, ed allora si tratta evidentemente di un voto di scambio, oppure si tratta di una forma di ammortizzatore sociale anomalo: lo si dica chiaramente e comunque  lo non sia a vita, ma limitato nel tempo come accade per i dipendenti privati.
Ma non ci sono solo queste forme di spreco. Quotidianamente si ha notizia di vari tipi di infrastrutture (ospedali, scuole, carceri, campi sportivi, strade) costruite e mai terminati, oppure, una volta terminate, mai entrate in funzione. Dato che, come si usa dire, a parlar male si fa peccato ma spesso si indovina, viene il sospetto che le opere si costruiscano perché è possibile ottenerne qualche beneficio (tangenti nel caso più comune) ma a farle funzionare non si guadagna personalmente nulla e quindi si lascia perdere.
E poi, quale peggior spreco di una burocrazia inetta, capace solo di formulare procedure incomprensibili, costose e soprattutto destinate a far perdere tempo? E che dire dell’annosa questione dei cosiddetti “costi standard”, destinati ad evitare certi sprechi ed a limitare la corruzione, sempre annunciati e mai realizzati?
Retoricamente ci si domanda: perché non si affrontano questi problemi, e non si cercano le risorse necessarie per ridurre l’imposizione fiscale e rilanciare l’economia in questi settori anziché nelle tasche dei cittadini? La risposta è ovvia e tutti la conoscono, ma non è politicamente corretto esprimerla. Chi lo fa viene subito ed inevitabilmente additato come un nemico della politica, della democrazia, del diritto dei rappresentanti della volontà popolare (quale?) di fare ciò che essi sanno essere necessario al benessere del paese. Insomma, viene bollato come esponente dell’antipolitica, mentre al massimo può essere definito non come nemico della politica, ma come nemico di questa classe politica. In fondo, cosa c’è di più politico che criticare ciò che i politici in carica fanno?

Il Bertoldo


Esorcismo?

21 maggio 2013

Lavoro



Da anni il nostro paese sta attraversando una delle più gravi crisi che l’abbiano mai colpito. All’inizio un sostanziale ristagno dell’economia, poi una vera e propria recessione. Le conseguenze sono purtroppo non solo note, ma sentite da tutti. Diminuzione costante del PIL, sovraccarico di tasse e balzelli vari, fallimenti, disoccupazione crescente, addirittura suicidi di persone disperate per aver perso tutto e non sapere più a che santo votarsi per mantenere sé e la famiglia.
Ormai non ci sono più solo proteste di singoli lavoratori disoccupati che, intervistati da giornali e TV, reclamano lavoro; con sempre maggior frequenza si effettuano manifestazioni di cittadini esasperati. D’altro canto politici, sindacalisti, opinionisti di ogni colore mettono come prioritario il problema del “lavoro”, citando cifre preoccupanti sulla disoccupazione in generale e su quella giovanile e femminile in particolare. Si è arrivati persino a dire che lo stato deve lasciar perdere la questione IMU, tanto cara al centro destra, e concentrarsi sulla questione lavoro.
Il problema ovviamente esiste, è estremamente grave e richiede certamente di essere posto fra le priorità più urgenti. Ma, come troppo spesso (per non dire sempre) accade, ci si limita ad enunciare il problema senza identificarne le cause, l’unica via per trovare una soluzione. Non si può curare una malattia se non se ne conosce la causa al fine di individuare il rimedio più opportuno.
Le cause del grave fenomeno della disoccupazione sono assolutamente ovvie ed alla portata di tutti, purtroppo però non è politicamente corretto enunciarle. Cerchiamo di farlo razionalmente.
E’ nozione assolutamente evidente a chiunque che si lavora per produrre beni o fornire servizi (la regola non vale per molti settori della pubblica amministrazione dove vengono forniti “posti” e non “lavori”). Naturalmente i beni ed i servizi prodotti devono trovare degli acquirenti disposti a pagare un prezzo che copra per lo meno le spese della produzione, prime fra tutte la manodopera. Se non ci sono compratori è inutile lavorare per produrre e quindi se non c ‘è lavoro non ci sono retribuzioni, ed a catena se non ci sono soldi non si possono acquistare beni e servizi: si tratta in definitiva di un circolo vizioso.
Ma perché all’origine di tutto il processo i cittadini non dispongono dei mezzi necessari a far funzionare tutto il sistema? Le cause sono molte e diversificate, ma  quasi tutte riconducibili all’azione dei poteri pubblici. Un livello di prelievo fiscale che ormai ha superato il 50% di quanto si produce nel paese priva i cittadini di buona parte del frutto del loro lavoro. La cosa, pur esagerata, non sarebbe così tragica se i mezzi sottratti dallo stato alla libera disponibilità di chi produce fossero impiegati bene: purtroppo invece buona parte di essi viene sprecata in parassitismi, corruzione, sprechi, spese del tutto inutili, clientelismi vari, uno stato cosiddetto sociale che anziché provvedere ai bisogni del paese sperpera ingenti mezzi senza alcun beneficio per la popolazione proporzionato al suo costo.
D’altra parte, l’eccessiva imposizione fiscale che grava non solo sui singoli ma anche e soprattutto sulle imprese determina costi di produzione assolutamente fuori mercato, per cui hanno facile gioco altri paesi, diversamente e più efficientemente gestiti, ad invadere il nostro paese con le loro produzioni, meno costose.
Non ha alcun senso, per esempio, che in un paese con un tasso di disoccupazione molto alto ed in continuo aumento, come l’Italia, si applichi una tassa, l’IRAP (invenzione brevettata della sinistra, che la destra non ha osato modificare od eliminare) che colpisce fra l’altro anche i costi di manodopera.
E l’elenco delle responsabilità della politica nell’aggravarsi della crisi potrebbe continuare.
In buona sostanza, il problema del lavoro, com’è ovvio, non può essere risolto se non si rivede tutta l’organizzazione dello stato: in poche parole se non si provvede a tagliare in modo drastico i costi dell’amministrazione pubblica, se non si ingaggia una lotta serrata ed efficace contro gli sprechi, le malversazioni, i parassitismi. E si smetta una volta per tutte di far ricadere la responsabilità della crisi solo ed esclusivamente sui soliti evasori: ben altre sono le cause dello sfascio. L’evasione si combatte soprattutto se lo stato si decide a limitare le sue pretese ed a fornire servizi decenti. Non è un mistero che quanto più basso è il livello dell’imposizione e tanto più semplificato tutto il sistema, tanto meno conveniente è l’evasione.
Naturalmente non si vede per quale motivo la politica dovrebbe adottare i provvedimenti indicati, che la colpirebbero proprio nei suoi tutt’altro che limpidi interessi: clientelismo, parassitismo, corruzione, spreco ingiustificato di denaro pubblico e simili comportamenti. Va però ribadito il concetto che non ci sono altre strade per uscire dalla crisi e ridare il “lavoro” tanto agognato a chi l’ha perso o non riesce a procurarselo.

Il tornado di Oklahoma City

Mostro!


20 maggio 2013

Delegitimazioni


Ogni giorno apprendiamo che delinquenti colti sul fatto vengono lasciati liberi per “decorrenza dei termini” (a chi spetta l’onere di rispettare i termini?). Allo stesso modo non si puniscono malfattori colpevoli di gravi reati perché “poveretti”, cresciuti in famiglie disagiate, rom, nomadi, clandestini, miserabili eccetera. Per quanto riguarda la giustizia civile, assistiamo quotidianamente a società che falliscono, talvolta con il corollario di suicidi, per non essere riuscite ad ottenere giustizia in tempi ragionevoli, come peraltro prescrive la Costituzione.
Abbiamo notizia di un processo per danni di qualche decina di migliaia di euro, nel quale i testimoni sono stati sentiti dopo cinque anni, e la sentenza di primo grado è stata emessa ben sette anni dall’inizio del procedimento.
Sono poi notizia quotidiana le vicende giudiziarie di molti esponenti politici di idee non gradite a parte della magistratura. Andreotti, che probabilmente non ha mai neppure baciato i suoi parenti, incolpato di aver baciato un temibile capomafia e sottoposto ad un processo dispendiosissimo durato anni e concluso con l’assoluzione.. E soprattutto Berlusconi. Il suo è un palmarès di tutto rispetto. Probabilmente mai eguagliato né in Italia né all’estero. Oggetto di ben venticinque procedimenti giudiziari in meno di vent’anni, con un enorme dispendio di soldi e di personale, è risultato assolto otto volte, nove volte i procedimenti sono stati archiviati, in cinque casi i procedimenti si sono estinti per avvenuta prescrizione, ed in solo tre casi i processi sono in corso, in alcuni con sentenze di primo o secondo grado, quindi non definitive.
Non vogliamo essere eccessivamente severi, ma in qualunque organizzazione, salvo la magistratura italiana, un simile cumulo di insuccessi, per buona parte attribuibili ai “Saint Just all’amatriciana” della Procura di Milano ed in particolare alla dottoressa Ilda Boccassini, avrebbe comportato per lo meno dei provvedimenti a carico dei responsabili di un simile spreco di denaro pubblico e di diffamazione nei confronti degli inquisiti. Ma nella magistratura italiana ciò non avviene.
Comunque, di fronte alle critiche che piovono a proposito di simili comportamenti, ed in particolar modo per quanto riguarda gli interventi politicamente rilevanti  (nel dicembre 2011 la dottoressa Boccassini viene inclusa dalla rivista statunitense Foreign Policy al 57º posto nella lista delle personalità nel mondo che nel corso del 2011 hanno influenzato l'andamento del mondo nella politica, nell'economia, negli esteri) vari esponenti di rilievo della magistratura hanno solennemente affermato che queste critiche delegittimano la magistratura. I lettori possono autonomamente decidere chi in realtà, non con le parole ma con effettivi comportamenti, delegittima la magistratura.
Dobbiamo ritenere che ormai sia stato recepito come inno ufficiale della magistratura un famoso successo di Patty Pravo: “Nessuno mi può giudicare …”, dato che i giudici sono loro e non il popolo sovrano.
Il Bertoldo

08 maggio 2013

Lotte


Da decenni i programmi di tutti i governi che si sono succeduti, di destra, di sinistra o di centro, enunciano due punti comuni, sempre affermati come assolute priorità: la lotta alla corruzione e la lotta all’evasione. Evidentemente tutti questi seri ed inderogabili propositi non sono stati poi attuati con la dovuta energia e determinazione, altrimenti i fenomeni da combattere non sarebbero tanto cresciuti nel tempo.
A nostro avviso di semplici cittadini i due problemi sono fra loro strettamente correlati, anche se non risulta che ciò sia mai stato autorevolmente rilevato. Cominciamo con la corruzione. La corruzione è un reato. Lo commette il Pubblico Ufficiale che, per compiere un atto conforme alle proprie funzioni (o per averlo già compiuto) oppure per compierne uno contrario alle proprie funzioni, riceve denaro o un qualche altro vantaggio che non gli spetta. 
E’ evidente che quando il reato si compie mediante la corresponsione di denaro, chi corrompe lo fa con fondi “neri”: non è infatti pensabile che qualcuno si sogni di annotare nella contabilità ufficiale “versamento a XX per corruzione”. Quindi, oltre al reato di corruzione, abbiamo un primo episodio di evasione fiscale. Analogamente chi riceve il denaro non lo dichiarerà mai nella propria denuncia dei redditi: secondo episodio di evasione fiscale. Quindi in definitiva, a fronte di un atto di corruzione di 100, si dovrebbe calcolare un’evasione di 200 (100 da parte di chi paga con soldi frutto dell’evasione e 100 da parte di chi riceve).
Secondo stime ufficiali, l’entità dell’evasione ed elusione in Italia viene indicata in circa 180 miliardi di euro a fronte di un’evasione totale in Europa valutata in circa 1.000 miliardi di euro: si tratta di uno dei pochi esempi in cui l’Italia può vantare un primato indiscusso. D’altra parte la Corte dei Conti stima che l’ammontare della corruzione (reato tipico del settore pubblico come si è detto) si aggiri intorno a 60 miliardi di euro. Sembra che fra queste due valutazioni ci sia qualche sproporzione, ma dobbiamo per forza assumerle come dati di fatto.
Se queste stime sono attendibili, dobbiamo concludere che circa un terzo dell’evasione è imputabile a funzionari ed esponenti del settore pubblico, che peraltro rappresentano una ben più piccola parte della popolazione complessiva.
Un’ultima considerazione: quando la corruzione viene esercitata al fine di ottenere vantaggi nell’assegnazione di commesse pubbliche, si configura certamente anche un danno erariale, posto che per lo meno l’ammontare dell’atto corruttivo sarà senz’altro aggiunto al prezzo della fornitura.
Sta forse in queste modeste considerazioni il motivo per cui la dura lotta a corruzione ed evasione, sempre annunciata, non è stata mai realmente ed efficacemente svolta, se non nei confronti dei ristoratori o dei parrucchieri che non emettono lo scontrino fiscale? Per citare il Manzoni “ai posteri l’ardua sentenza”, perché noi non lo sapremo mai.
 Il Bertoldo

06 maggio 2013

Originalita'


Il neo Presidente del Consiglio, Enrico Letta, nei suoi due discorsi ai due rami del Parlamento, ha esposto, com’è naturale, le linee direttrici del programma del suo governo. Si tratta della enunciazione di una serie di problemi molto realistici che il governo intende affrontare al più presto al fine di fare uscire il paese dalla situazione di stallo, se non di vero e proprio degrado, in cui versa ormai da anni. Ovviamente non ha indicato se non sommariamente in che modo intende dare una soluzione: ciò dovrà essere deciso dal Parlamento.
Ma, come abbiamo già avuto modo di notare, uno dei nuovi ministri, la signora Cécile Kyenge, ministro per l’Integrazione, non pare soddisfatta del programma del governo di cui fa parte, ed ha deciso di farsi un suo programma aggiuntivo. Ella ha infatti dichiarato proprio ieri l’intenzione di presentare al più presto un progetto di legge per concedere automaticamente la cittadinanza italiana a tutti coloro che nascono o sono nati in Italia: in breve l’adozione dello “jus soli”.
A parte il fatto che questo provvedimento non figura nel programma presentato dal Premier e che la sua utilità per la risoluzione dei più gravi ed urgenti problemi del paese è quantomeno dubbia, se non controproducente, e soprattutto che esso non ha nulla a che vedere con l’integrazione cui si intitola il dicastero da lei presieduto, vale la pena di ricordare come lei stessa si sia contraddetta.
Nel corso della sua campagna elettorale la Kyenge ha infatti dichiarato che “Un bambino, figlio di immigrati, che è nato qui e che qui si è formato deve essere un cittadino italiano”. Tra i suoi obiettivi: “Priorità assolute: lo jus soli e il cambiamento della Bossi Fini”. Riesce difficile capire come un neonato possa essersi formato (immagino dal punto di vista culturale, risultato appunto dell’integrazione) prima di nascere.
Peraltro forse una spiegazione, se pur alquanto maliziosa, di quanto si propone la neo ministra soprattutto per quanto riguarda la libertà d’immigrazione c’è. E’ a tutti noto che molte organizzazioni ONLUS e molti medici privati hanno deciso di dedicarsi volontariamente all’assistenza sanitaria nei paesi più disagiati d’Africa e di altre zone arretrate.
La dottoressa Kyenge, che esercita la professione di medico oculista, ha pensato ad una soluzione innovativa: anziché recarsi nei paesi dove non è possibile avere un’assistenza sanitaria adeguata ha pensato di far venire liberamente nel nostro paese i cittadini di quelle stesse regioni. Molto più comodo per i medici e molto più interessante per i soggetti coinvolti. E’ un po’ la ripetizione su scala nazionale della visita ambulatoriale invece di quella domiciliare.
Questa sì che è creatività, segno di un’integrazione perfettamente riuscita!

Il Bertoldo

Ostia!



Un'esibizione aerea stava per tarsformarsi in una tragedia oggi pomeriggio all'aerodromo dei Cuatro Vientos, vicino a Madrid. Un velivolo che stava partecipando allo show si è schiantato contro un hangar dell'aeroporto che è subito andato in fiamme.

E adesso vogliamo sapere da Travaglio tutto sui provini di Giorgia Manuguerra


Vogliamo vedere, vogliamo spiare, vogliamo divertirci. Vogliamo partecipare anche noi alla festa della democrazia guardona. Ma siccome siamo un po’ porci e antropologicamente inferiori, e ci vergogniamo di essere arrivati tardi all’orgia del vedere, ci affidiamo prudenti anche noi alla scusa infingarda, come i vecchietti che ai giardini nascondono i giornaletti porno dentro al fascicolo di MicroMega: è la difesa della democrazia che ce lo chiede, bellezza. Li-ber-tà.
Girano sul Web, girano in tutte le redazioni, le mail dei grillini rubate dagli hacker del Pd (credibili come i nazisti dell’Illinois, ma viva la democrazia). Perché non le vediamo? Perché non le leggiamo? Perché non possiamo sbavare anche noi sul corpo esausto della democrazia? Abbiamo visto le girl incipriarsi nel cesso del Cav., abbiamo spiato le Olgettine raccontarsela tutta, sulle notti e le mattine. E adesso, introiettando golosi quella insana forma di pruderie che si chiama difesa della libertà d’informazione vogliamo vederla, anzi esigiamo che la vedano tutti, la grillina che si sgrilletta. Ne va della trasparenza. La deputata Giulia Sarti da Rimini, si chiama la poveretta: perché democrazia è sputtanare il peccatore prima ancora di aver visto il peccato (reato?). E anche le altre foto vogliamo, e i filmati, perché sappiamo  che ci sono. Lo sanno anche i neotartuffi delle redazioni, quelle che un tempo erano “senza bavaglio”, e adesso se la fanno sotto di fronte a una mail che parla dei cazzi dei Cinque stelle. Viva gli hacker del Pd.
E per la libido che ci infondono la critica politica e la difesa del corpo delle donne, vogliamo pure ridere di Giorgia Manuguerra, la grillina candidata al comune di Imperia che partecipò alle “Cupidinarie” con palpeggio di Rossano Rubicondi, un vero cazzone presidenziale, altro che Ro-do-tà, e non le passò. Vogliamo grufolare felici nel sospetto dei suoi provini politici. Se un qualsiasi cornuto può dire che il Cav. metteva le bombe di mafia, e l’Italia è autorizzata a sospettare che sia vero per vent’anni, allora vogliamo sospettare anche dei provini di Giorgia Manuguerra. Chi glieli ha fatti? E dove? Vogliamo lo streaming.
Abbiamo visto il topolone di Topolanek su tutti gli organi di informazione. Decine di milioni di visualizzazioni, per la democrazia. Abbiamo visto tutte le feste del Cav.. E le foto private di Villa Certosa. Ora vogliamo sollazzarci di codice penale come i pm del processo per concussione e prostituzione minorile, quando auscultavano Chiara Danese: “Baciavano il pene della statuetta di Priapo e simulavano rapporti orali”. Brivido caldo giuridico. Abbiamo dovuto subire come la presa del Palazzo d’Inverno Sandro Ruotolo che fibrillava fin nei baffi interrogando con Nadia Macrì: “…Eh… Senza prestazioni?”. Siamo o non siamo nel paese il cui l’autoerotismo dei giornali, sgrillettando da mane a sera le zone invereconde della Società Civile ha mostrato tutto?
E ora che sappiamo che Travaglio suggeriva tramite Pancho Pardi e la sgrillettata di Rimini i curricula da selezionare(la cricca? Il traffico di influenze?). Ora che possiamo anche noi (ir)ragionevolmente sospettare, e sentirci democratici porci con le ali. Invece ora l’Espresso scrive che, venuto in possesso di molti file riguardanti la vicenda, ha deciso di non pubblicarli, per rispettare la privacy. Lo stesso Espresso che titolava “Fermate Zappaddu”, come se volessero ammazzare un beagle e non invece fermare un turlupinatore della Privacy. E allora l’Espresso aveva “deciso di diffondere le ultime foto”, prima che si svegliasse dal coma profondo il garante della privacy, che “mostrano Silvio Berlusconi che intrattiene due ragazze in un padiglione della sua tenuta di Porto Rotondo”. Travaglio invece, dal giornale che con più fregola grufolò, ora sputa sui “topi di fogna annidati nella rete”. E tartufeggia su “una ragazza di 26 anni il cui unico torto è stata essere eletta”. E sentenzia sui maiali che infrangono due volte la legge”, sulla privacy e sulla riservatezza delle comunicazioni dei parlamentari. Perché allora, le ragazze il cui unico torto è aver fatto un provino con Lele Mora? Per farla più corta del sublime Manconi: Travaglio ha semplicemente la faccia come il culo. E noi invece, noi vorremmo divertirci, a questa porca festa della democrazia.

(Source: Il Foglio)

Boldrinate



"Chi ha sparato a Palazzo Chigi era disperato per perdita di lavoro. Urge dare risposte perché la crisi trasforma vittime in carnefici” ha twittato l’ex commissaria dell’Onu per i rifugiati politici, che soltanto da pochi giorni si è accorta che in Italia esiste la povertà e anche gli italiani ne soffrono.

Cara Presidente, ma oltre ai poveretti senza lavoro non se n'e' accorta che un imprenditore a settimana si suicida per la vergogna senza sparare ai politici e/o in alternativa sui carabinieri?

(Source FalceMartello)

Il tornado di Modena

Spettacolare. Dai danni, un F3.










02 maggio 2013

Programmi


Dopo un paio di mesi persi in sceneggiate del tutto inutili e deprimenti, finalmente, come tutti sanno, è stato costituito un nuovo governo che, al momento del voto di fiducia, ha potuto contare su un amplissimo consenso.
Da molte parti si è fatto notare che una maggioranza dei componenti del governo proviene da elementi della disciolta Democrazia Cristiana, alcuni accasati nel Partito Democratico, altri nel PDL, altri ancora nel partito Lista Civica. Uno solo fra i ministri proviene direttamente dalle schiere dell’ex Partito Comunista, poi PDS, DS, PD, Flavio Zanonato.
Seguendo le consolidate usanze democristiane la nuova compagine governativa è piuttosto numerosa: ventuno ministri, oltre al Presidente del Consiglio. Non sono ancora stati definiti i sottosegretari e c’è veramente da sperare che non si superi e neppure si eguagli il primato di uno dei governi Prodi (pure lui ex DC) costituito da oltre cento componenti.
Ci sembra peraltro che, in un governo il cui compito essenziale dovrebbe essere quello di far uscire il paese dalla gravissima crisi economica, sociale e finanziaria che lo opprime da vari anni, ci sia qualche dicastero di troppo. Non è ben chiaro a cosa possano servire, in un momento come questo, i ministeri dell’Integrazione, delle Pari Opportunità, dei Rapporti col Parlamento,  della Coesione Territoriale e simili.
Nei suoi discorsi di insediamento alla Camera ed al Senato il Presidente Enrico Letta ha indicato quale sia il programma del suo governo, basato su cose concrete come le riforme costituzionali, il fisco, il lavoro, i rapporti con l’Europa da una posizione un po’ meno supina di quella tenuta dal precedente governo “tecnico”. C’è solo da sperare che i buoni propositi vengano, almeno in buona parte, realizzati. Come dice una nota pubblicità, che il governo “non venda sogni, ma solide realtà”.
Tuttavia alcuni dei neo ministri si sono affrettati a completare od a correggere a modo loro il programma enunciato dal Premier. A titolo di esempio, il ministro per l’Integrazione, Cécile Kyenge, ha fatto tutta una serie di dichiarazioni che non solo non hanno nulla a che vedere con il programma governativo, ma sono certamente tali da provocare forti dissensi nella maggioranza composita che ha concesso la fiducia al nuovo governo: eliminazione del reato di immigrazione clandestina, abolizione della legge Bossi-Fini, libera circolazione per tutti gli extracomunitari, introduzione dello “jus soli”. Non sembra che si tratti di provvedimenti urgenti per il rilancio del paese.
Vale la pena di chiarirci un po’ il problema. L’arrivo nel nostro paese di uno straniero al fine di trovare un lavoro e di conseguenza migliorare la propria situazione sociale ed economica passa a nostro avviso attraverso tre fasi. Innanzi tutto l’arrivo vero e proprio, che deve avvenire regolarmente nel rispetto delle nostre leggi e non clandestinamente. Questa è la prima fase: l’immigrazione.
In un secondo momento il nuovo arrivato deve imparare la nostra lingua, assimilare la nostra cultura di base, conoscere ed adottare, nei limiti del possibile, i nostri costumi e le nostre usanze, condividere i nostri valori, inviare i propri figli, se ne ha, alle scuole italiane perché non crescano diversi dai loro coetanei italiani, rispettare le nostre leggi. E’ questa la seconda importantissima ed essenziale fase: l’integrazione.
Una volta pienamente integrato lo straniero, se lo ritiene opportuno, potrà chiedere di diventare cittadino italiano a tutti gli effetti, sostanziali e giuridici: è questa evidentemente la terza ed ultima fase: l’ottenimento della cittadinanza, che lo parifica ai propri nuovi concittadini del paese ospitante.
Nell’esternare le proprie intenzioni la signora Kyenge ha messo l’accento sul primo e sul terzo punto: l’immigrazione – da facilitarsi in tutti i modi – e la concessione della cittadinanza – senza particolari esigenze di vera integrazione -. Non ha detto una sola parola su come pensa di agire per realizzare la parte più importante e difficile di tutta la storia, l’integrazione. Dobbiamo quindi concludere che la neo Ministra per l’Integrazione considera la propria specifica funzione del tutto superflua ed inutile?
Un altro neo ministro, Dario Franceschini, titolare dei Rapporti col Parlamento, ha voluto dire la sua a proposito dell’IMU: secondo lui la rata di giugno, che sarà sospesa secondo le dichiarazioni del Presidente Letta, non verrà eliminata ma soltanto rimandata. Si tratta di un chiaro dissenso, se non addirittura di una smentita di quanto esposto nel programma di governo.
Tutto questo per dare ai cittadini l’idea di un forte sentimento di coesione all’interno della compagine governativa. E pensare che l’on. Franceschini è titolare del Ministero per i Rapporti col Parlamento ed il Coordinamento dell’Attività del Governo. Il Nostro non è particolarmente noto per le sue capacità, ma ci sembra che ritenere che le sue strambe dichiarazioni possano essere fondamentali e soprattutto un buon inizio per ben coordinare l’attività governativa sia un po’ troppo…

Il Bertoldo