29 settembre 2007

L'infame procura che infanga i nostri eroi


L’avevamo previsto, ma speravamo di sbagliarci. Invece la vergognosa campagna contro i bodyguard italiani rapiti in Iraq nel 2004, uno dei quali è morto da eroe nelle mani degli assassini iracheni, definiti in modo sprezzante “mercenari”, è arrivata alla sua logica e infame conclusione. La procura del tribunale di Bari ha chiesto il rinvio a giudizio di Salvatore Stefio (uno dei quattro ostaggi) per “arruolamento o armamento non autorizzato al servizio di uno stato estero”. La magistratura italiana non considera un reato arruolare terroristi per la rete di al Qaida in Iraq, ma processa gli italiani che sono andati laggiù per esercitare una funzione di supporto e di protezione come guardie del corpo di cittadini di un paese alleato. Naturalmente adesso ci spiegheranno che non si possono criticare i magistrati, che agiscono in base alla legge e non a un pregiudizio politico. E pensano anche che qualcuno ci creda ancora. Fabrizio Quattrocchi gridò ai suoi assassini: “Adesso vi faccio vedere come muore un italiano”. Quella frase ci commosse e ci inorgoglì, perché alludeva a una virtù patriottica, a un senso di appartenenza alla nazione che sembrava dimenticato. Ora viene da pensare, invece, guardate come è ridotta l’Italia, un paese che attraverso settori di un corpo dello stato, infanga i suoi eroi (Quattrocchi è stato insignito della medaglia d’oro al valor civile) e manda liberi i terroristi che ne insidiano la sicurezza. Oggi gli italiani hanno una ragione in più per vergognarsi di tollerare tutto ciò.
Il Foglio

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