28 febbraio 2008

La Rapina

Tutti i partiti proclamano nei loro programmi elettorali l’intenzione di alleggerire il carico fiscale che sta soffocando l’Italia, mentre d’altro canto, senza alcun rispetto per l’intelligenza degli elettori, promettono nuove spese per i giovani, le famiglie, il rilancio dell’economia, i meno abbienti, i lavoratori, le infrastrutture, e chi più ne ha più ne metta, ma si guardano bene dal fare alcun accenno, che non sia di estrema genericità, al problema di come ridurre le spese per lo più inutili ed improduttive
Storicamente fu con la promulgazione della Magna Charta che in Inghilterra per la prima volta si realizzò un sistema fiscale equilibrato. Di quel documento è universalmente nota la regola “no taxation without representation”, a cui si fa risalire l’origine, in qualche modo, della democrazia in occidente. Tuttavia l’aspetto più significativo di tale documento sta nel fatto che per la prima volta vennero chiaramente divise le funzioni di chi spende e di chi tassa. Infatti al sovrano restava in esclusiva il potere di spendere, mentre al parlamento restava in esclusiva il potere di imporre tasse: si realizzava in tal modo un sistema dialettico estremamente chiaro ed efficiente. Il re non poteva spendere a proprio piacimento senza il consenso dei rappresentanti dei contribuenti, che a loro volta non avevano alcun interesse a spremere i propri mandanti per finanziare spese che non risultassero nell’interesse di tutti e non solo di chi le spese le deliberava.
Col tempo il potere del parlamento, per una serie di vicende storiche che non è il caso di ricordare, i due poteri si riunirono di nuovo nello stesso soggetto, il sovrano, con conseguenze deleterie. Dopo la fine dei sovrani assoluti tali poteri riuniti passarono ai parlamenti, che inizialmente si comportarono in modo prudente, ma che col tempo, come possiamo constatare oggi praticamente in tutti i paesi del mondo, hanno ripreso le pessime abitudini tipiche dei sovrani assoluti: spese senza controllo e conseguente tassazione sempre più somigliante ad un vero e proprio saccheggio delle ricchezze dei cittadini.
Una recente forma di tassazione, recepita ormai praticamente dappertutto, che costituisce nella sua essenza una vera e propria limitazione della libertà individuale e che è fonte di abusi incontrollati è costituita dalla tassazione dei redditi. Essa infatti, per sua propria natura, rende necessaria una sempre maggiore intrusione dello Stato nella vita dei cittadini: grazie ad essa quasi tutti gli stati moderni sono diventati veri e propri stati di polizia, nei quali viene negata ai cittadini una libertà fondamentale, quella di poter difendere la propria “privacy” e di disporre a proprio piacimento della propria sfera privata. Si è giunti addirittura, attraverso forme di vero e proprio spionaggio, al controllo minuzioso di tutti i movimenti di denaro, e troppo spesso queste invadenti indagini vengono persino ad essere rese di pubblico dominio.
Un ulteriore aggravamento dell’arbitrio dello stato è costituito dal principio della progressività dell’imposta sul reddito, che per quanto riguarda l’Italia è addirittura sancito da norme costituzionali. Se a prima vista può essere considerato giusto che chi più ha debba partecipare in misura maggiore di chi meno possiede a finanziare le necessità comuni dello stato, va tuttavia rilevato che la determinazione delle aliquote progressive da applicare a ciascuna classe di reddito costituisce un arbitrio intollerabile.
In base a quale criterio si può stabilire che sia giusto che ad un determinato livello di reddito si debba applicare una aliquota del 30 o del 50 o del 95% ? E poi, quando si decide di ridurre le aliquote o di modificarne la progressività, significa forse che le precedenti aliquote non erano giuste ? ed in tal caso, come è possibile riparare ad una riconosciuta ingiustizia ? A queste domande non c’è evidentemente nessuna risposta, se non quella di escogitare sistemi diversi che tengano conto finalmente, in modo non solamente fittizio, dei diritti dei cittadini alla propria libertà e del diritto del paese a progredire sulla via del benessere.
Sarebbe veramente ora che si cessasse dal considerare giusta e corretta la parafrasi del vecchio motto: “tassa ed impera”. Chi impera non deve poter tassare e chi tassa non deve poter imperare.
Il Bertoldo

Nessun commento: