Da anni in Italia è acceso il dibattito sulla necessità di riorganizzare e riformare il sistema giustizia. Non solo i privati cittadini, la stampa, i politici, ma addirittura gli organi di vertice della magistratura, in occasione delle stanche liturgie per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, sollevano il problema, dichiarandolo urgente, improcrastinabile, essenziale eccetera. Tuttavia, ogni volta che qualcuno, laico o chierico non importa, osa suggerire l’adozione di qualche provvedimento teso a risolvere almeno uno dei tanti problemi del settore, non ci si limita a criticarlo ed a fare proposte diverse, ma l’infelice viene additato al pubblico disprezzo come attentatore non solo e non tanto alla indipendenza ed inappellabilità della magistratura, ma addirittura come attentatore alla sacralità della Costituzione.
In realtà sarebbe interessante andare a vedere che cosa la costituzione prevede in questo campo.
L’art. 1 stabilisce che “L’Italia è una Repubblica democratica….La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Risulta dalla lettura degli altri articoli e dalla prassi ormai pluridecennale che tale sovranità viene esercitata attraverso la libera elezione di rappresentanti del popolo, che la esercitano in nome e per conto del popolo stesso. Non risulta da alcuna parte che tale sovranità possa essere conferita mediante lo svolgimento di concorsi pubblici per esami, né che coloro i quali abbiano superato più o meno brillantemente tali esami possano esercitare per conto del popolo la sovranità a vita, senza possibilità alcuna di sostituzione o rinnovamento.
Da quanto sopra consegue non solo che l’ordine giudiziario è soggetto alla Costituzione, come è ovvio, ma che non dispone di alcun potere di legiferare e non può pretendere di sovrapporsi al potere legislativo od a quello esecutivo, non disponendo di alcuna investitura popolare. Ha unicamente la possibilità di accusare e giudicare secondo quanto disposto dalle leggi democraticamente emanate dal Parlamento i singoli soggetti, sempre rispettando ovviamente tutti i diritti dei cittadini, elettori od eletti che siano.
L’art. 111 stabilisce che “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge ….. La legge ne assicura la ragionevole durata”. In realtà, l’interpretazione della “ragionevole durata” da parte di buona parte della magistratura varia fra i dodici ed i quindici anni, sia in campo penale che in campo civile. Come si possa considerare ragionevole una durata pari ad un quarto/un quinto della vita adulta di un individuo è molto arduo da comprendere. Per dare qualche termine di paragone citiamo il fatto che il Colosseo fu costruito in soli quattro anni, e la Cappella Sistina fu affrescata da Michelangelo nello stesso lasso di tempo. D’altra parte Albert Einstein mise a punto la sua teoria della relatività ristretta, pubblicata nel 1905 e che ha rivoluzionato la fisica in un tempo di poco più lungo.
E’ comunque evidente che molto tempo viene perso – e pagato dai cittadini – se ogni ordinanza, sentenza e quant’altro emani dai tribunali normalmente si dilunga per ottocento – millecinquecento pagine. Anche qui citiamo qualche dato di confronto: tutte le opere di Shakespeare occupano meno di milleduecento pagine nell’edizione ufficiale dell’Oxford University Press, e la Divina Commedia occupa mediamente circa 600 pagine, compresi alcuni brevi commenti.
Infine l’art. 15 della Costituzione stabilisce che “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”. Da questo testo sembra potersi dedurre che le violazioni della libertà e segretezza delle comunicazioni possono essere effettuate solo da ed a favore dell’autorità giudiziaria, e che l’autorizzazione a tali violazioni non elimina il diritto alla segretezza delle proprie comunicazioni, ma semplicemente che da esse l’autorità giudiziaria possa trarre elementi utili per perfezionare indagini.
Se ciò è vero, la diffusione di elementi conosciuti solo attraverso la violazione del diritto alla segretezza costituisce evidentemente un reato, che, salvo diversa prova, non può che essere ascritto a chi di tali notizie deve essere custode e responsabile. Sembra inoltre si possa ragionevolmente affermare che, sempre per rispettare il dettato costituzionale che considera inviolabile – salvo l’eccezione già citata – il segreto della corrispondenza e delle comunicazioni, quanto venuto a conoscenza delle autorità giudiziarie attraverso l’autorizzata violazione non possa comunque essere usato se non come elemento che faciliti le indagini, ma non possa costituire prova da utilizzare pubblicamente in fase processuale.
Quanto elencato sopra – ed altro che si potrebbe facilmente aggiungere – dimostra con estrema chiarezza in quanta stima venga tenuta la Costituzione da parte di larga parte della magistratura, per la quale uno solo è il precetto sacro e da rispettare comunque: quello che si riferisce alla totale indipendenza della magistratura stessa.
Il Bertoldo
1 commento:
Beh, non ci sono solo i magistrati a difendere strenuamente la costituzione ma anche il pd e la sinistra, che hanno organizzato per domani una manifestazione apposta, per difendere la carta dagli "insulti" e dalle grinfie di Berlusconi.
Contemporaneamente alcuni presidenti di regione, Vendola (exPRC) in testa, hanno già decretato che i medici che oseranno denunciare, in base alla possibilità offerta dalla legge in discussione, i clandestini che si rivolgeranno a loro per cure, perderanno la convenzione con la regione. Alla faccia del rispetto del parlamento, tanto invocato dal pd e dalla sinistra quando si approvano leggi su cui non sono d'accordo!
E poi si dice che la gente non collabora con le forze dell'ordine. Bell'insegnamento si dà; quando conviene a lorsignori l'omertà è un dovere.
Claudio
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