A seguito di alcune recenti scandalose pronunce di carattere chiaramente politico della Magistratura – annullamento del cosiddetto Lodo Alfano, con palese contraddizione della Suprema Corte nei confronti di una sua precedente decisione, condanna di Fininvest al pagamento di una esorbitante somma alle società dell’ingegnere Carlo Debenedetti, la immediata promozione del giudice autore di tale sentenza – il governo ha manifestato l’intenzione di provvedere quanto prima a realizzare le riforme necessarie per ricondurre tutta l’amministrazione della giustizia su binari più corrispondenti ad uno stato di diritto quale dovrebbe essere il nostro.
Fra le riforme ventilate, l’annosa questione della divisione delle carriere fra magistratura inquirente e magistratura giudicante e la reintroduzione di una qualche forma di temporanea protezione di alcune alte cariche istituzionali, o forse anche di tutti i componenti del parlamento, contro le incursioni della magistratura tendenti a vanificare, per via giudiziaria, le scelte democratiche degli elettori.
Com’era da prevedere abbiamo assistito ad una immediata levata di scudi dei principali organi rappresentativi dell’ordine (non del potere) giudiziario, che, come è sua inveterata abitudine, imbastisce un preventivo processo alle intenzioni, senza attendere affatto la pronuncia dei rappresentanti del popolo, cui appartiene costituzionalmente “la sovranità”. E’ chiaro che si cerca di abusare dalle giuste protezioni che la Costituzione riserva alla Magistratura, mettendole al di sopra di quanto comunque la stessa Costituzione pone alla base del nostro ordinamento, ossia l’esclusiva potestà legislativa del Parlamento elettivo, cui deve comunque inchinarsi anche la magistratura nel proprio quotidiano operare.
Non c’è alcun dubbio che tutti, magistrati compresi, godano del diritto di critica nei confronti di quanto la politica si propone di fare od effettivamente fa, ma sembra un tantino esagerato invocare diritti che non sono riconosciuti tali da nessuna disposizione di legge. In particolare si è espressa la massima indignazione nei confronti di una ipotetica sottomissione dei Pubblici Ministeri al potere esecutivo, sull’esempio di quanto avviene in Francia. Ciò appare tanto più fuori luogo quando si rifletta al fatto che, in effetti, buona parte della magistratura si è spontaneamente sottomessa non al potere politico liberamente scelto dagli elettori, ma ad una ben definita parte politica, peraltro largamente minoritaria nel paese.
C’è da auspicare che, ben al di là della separazione delle carriere all’interno della Magistratura, si provveda quanto prima a separare nettamente l’attività giudiziaria da quella politica, impedendo che gli appartenenti all’ordine giudiziario svolgano contemporaneamente attività politica: chi desidera entrare in politica deve assolutamente dimettersi dalla magistratura, al fine di evitare nel modo più assoluto ogni sfacciata manifestazione di parzialità per motivi politici, come oggi assai comunemente avviene, senza che gli organi di governo della magistratura pensino minimamente di intervenire per ristabilire una sia pur leggera parvenza di imparzialità.
Il Bertoldo
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