13 ottobre 2009

Rivoluzione

La rivoluzione (dal tardo latino revolutio, -onis, rivolgimento) può essere definita come un mutamento improvviso e profondo che comporta la rottura di un modello precedente e il sorgere di un nuovo modello. Questa la definizione comunemente accettata. Quello a cui stiamo assistendo in Italia in questo momento è esattamente il contrario: con mezzi del tutto antidemocratici ed illiberali si cerca di provocare l’interruzione di un movimento che tende ad innovare il modello esistente, al fine di mantenere le peggiori caratteristiche del modello precedente.
A questo movimento che cerca di bloccare ogni tentativo di modifica dello status quo partecipano evidentemente tutte le varie sfaccettature della sinistra, partiti, sindacati, stampa, televisione lottizzata, molti dei cosiddetti intellettuali, e soprattutto la magistratura forte di un potere esagerato e di una sostanziale completa immunità ottenuti non per investitura popolare (“la sovranità appartiene al popolo” art. 2 della Costituzione) ma semplicemente per concorso, spesso truccato.
Gli ultimi esempi sono sotto gli occhi di tutti: la Corte Costituzionale che smentisce se stessa pur di colpire il “nemico”; un magistrato del Tribunale di Milano (cui spetta il titolo di vincitore del Guinness dei Primati, inteso naturalmente in senso zoologico) che in un attacco di megalomania condanna il solito “nemico” ad una pena così grave da mettere in pericolo l’esistenza delle sue aziende e delle migliaia di lavoratori che in esse prestano la loro opera, senza curarsi delle disposizioni di legge, della coerenza, della giustizia che pur professa di amministrare “in nome del popolo”!
Ormai si può dire che sia le forze di sinistra sia tutto lo stuolo dei loro fiancheggiatori di cui si è detto si ispirino ai principi del giacobinismo che tanto danno ha fatto in Francia due secoli fa, e che sboccò, inevitabilmente, nella dittatura: chiunque non la pensa come noi, o lo fa in maniera tiepida, è un nemico del popolo – naturalmente senza curarsi di ciò che il popolo stesso pensi in quanto esso è ritenuto troppo rozzo per capire – e come tale va abbattuto senza pietà in quanto non può godere di alcuna attenuante per ciò che rappresenta. La colpa imperdonabile di tali soggetti è quella di esistere.
Il momento è estremamente grave e solo un più deciso atteggiamento, senza tentennamenti né distinguo, delle forze veramente riformatrici – e che per ciò stesso possono essere definite le sole veramente progressiste – potrà fermare la deriva populista e vetero marxista che cerca di risuscitare movimenti ed idee ormai definitivamente condannati dalla storia e dagli stessi popoli che sulla propria pelle li hanno sperimentati.
Il Bertoldo

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