20 novembre 2009

Fare o Durare?

Alcuni giorni fa il presidente del Senato, Renato Schifani, ha dichiarato che se la maggioranza non è sufficientemente compatta per svolgere i propri compiti, a seguito di tutta una serie di diatribe interne, esiste pur sempre il rimedio del ricorso a nuove elezioni, per consentire al popolo sovrano di decidere cosa ritiene meglio per il paese. L’esternazione ha provocato immediatamente una varietà di commenti. Il più umoristico è stato quello del neo segretario del PD, Bersani, che ha affermato che le dichiarazioni del Presidente del Senato mostrano chiaramente che il PDL è ormai in fase di disfacimento: verrebbe proprio da dire “senti chi parla”, dopo il consistente esodo dal suo partito di alcuni esponenti di rilievo.
A porre un termine alla polemica è intervenuto il Presidente del Consiglio che ha dichiarato che la maggioranza è compatta e che l’impegno preso con gli elettori è di governare il paese per tutta la durata della legislatura e così sarà. Purtroppo la situazione non è così netta come il premier vorrebbe presentarla e vale la pena di esporre una serie di considerazioni in merito.
Silvio Berlusconi, come si è visto, ha ribadito il concetto che il mandato ricevuto dagli elettori è di governare per cinque anni, e che lui intende mantenere l’impegno. Ha però trascurato di ricordare che il mandato è stato conferito in base ad un programma ben preciso che a tutt’oggi non si è neppure iniziato a realizzare, dopo un anno e mezzo di legislatura.
Per memoria vale la pena di ricordare alcuni punti innovativi ed essenziali proposti agli elettori e da questi approvati col proprio voto: abolizione delle province e di alcune centinaia di enti del tutto inutili, riforma del sistema del bicameralismo perfetto, riduzione sostanziale del numero dei parlamentari, riforma profonda della giustizia, semplificazione delle procedure burocratiche, eliminazione di alcune decine di migliaia di leggi del tutto inutili quando non contraddittorie, riduzione dei costi della politica e delle amministrazioni pubbliche in modo da consentire una sensibile riduzione del prelievo fiscale ed il conseguente rilancio dell’economia, realizzazione di un vero federalismo fiscale che elimini le enormi sacche di parassitismo localistico esistenti, eccetera.
E’ ben vero che il governo in carica ha realizzato bene e rapidamente alcune cose importanti: l’intervento in Abruzzo, la soluzione del problema rifiuti di Napoli, l’eliminazione dell’ICI sulla prima casa, un inizio di riferma della scuola. Va tuttavia rilevato che i primi due interventi non figuravano evidentemente nel programma di governo, e si è trattato di interventi che non potevano che ricevere l’approvazione di tutta la maggioranza per la loro evidente necessità.
I problemi veri si sono presentati quando si è trattato di dare l’avvio alle riforme promesse: qui ogni singola corrente della maggioranza ha posto le sue condizioni spesso sotto forma di veri e propri veti: la Lega, alcuni ex AN, fra i quali si sono distinti i finiani capeggiati dal loro leader che non ha esitato ad assumere posizioni non lontane da quelle dell’opposizione, alcuni esponenti di un meridionalismo a vocazione parassitica, ed altri talvolta importanti esponenti politici. La conseguenza di tutto ciò è stata la paralisi di ogni processo riformatore, e l’adagiarsi nel solito tran tran, limitandosi a polemizzare ad ogni piè sospinto con l’opposizione su questioni del tutto marginali, e spesso addirittura facendo mancare al governo le maggioranze necessarie per l’approvazione di provvedimenti anche importanti.
A questo punto si pone un dilemma: è più importante riuscire a far durare il governo fino al termine della legislatura, senza fare nulla di ciò che era stato promesso, oppure si dovrebbe osare di più, proporre serie riforme in tempi brevi e, se la maggioranza si sbriciola su questi temi, sciogliere le Camere e ripresentarsi agli elettori, perché esprimano il proprio giudizio?
In sostanza si ripropone il ben noto dubbio amletico: “essere coerenti con le proprie promesse, a costo di dover tornare a consultare il popolo sovrano, oppure non essere coerenti, privilegiando la permanenza sulle proprie comode poltrone?”.
Noi crediamo che gli elettori siano veramente stanchi del continuo ripetersi delle desuete liturgie da prima repubblica e dell’imitazione pedissequa dei sistemi della sinistra che, durante la propria permanenza al governo del paese, non è riuscita a combinare niente, mentre ha aggravato la situazione economica e finanziaria del paese con l’imposizione di nuovi stravaganti tributi ed ha gettato le basi per la propria disfatta alle elezioni. Forse il centro destra si propone di subire la stessa sorte, oppure ritiene, forse erroneamente, che, sia pur nella totale inazione, il proprio marchio sia pur sempre il male minore e che quindi gli elettori continueranno a votarlo anche turandosi il naso, come disse una volta l’indimenticabile Montanelli?
Il Bertoldo

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