Ha suscitato grande clamore, e non solo in Italia, la bizzarra sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con la quale veniva in sostanza ingiunto al governo italiano di eliminare l’esposizione del Crocifisso dalle aule delle scuole pubbliche. Ciò a seguito della richiesta di una madre, cittadina italiana ma di nascita finlandese, che ha sostenuto che la vista di quel simbolo cristiano impediva ai propri figli la libertà di essere educati dai propri genitori secondo i criteri da questi ultimi ritenuti idonei. Accogliendo il ricorso la Corte ha, come è noto, stabilito che effettivamente il Crocifisso esposto nelle aule costituiva un grave attentato alla libertà di scelta educativa dei genitori, condannando lo stato italiano, oltre che alla eliminazione di tale “simbolo”, anche al pagamento di un indennizzo per il danno morale subito dalla ricorrente.
Naturalmente la sentenza ha riscosso il plauso non solo di buona parte dei cosiddetti agnostici, atei eccetera, ma soprattutto dei radicali, che com’è noto ritengono di essere gli unici depositari delle idee liberali, ma che in realtà, specie in questi ultimi tempi, si sono segnalati soprattutto per la loro ostinata e praticamente maniacale opposizione a tutto ciò che sa, anche lontanamente, di cristianesimo, ormai quasi giunta allo stesso livello della altrettanto maniacale opposizione antiberlusconiana, elevata a programma unico delle sinistre.
La vicenda, al di là delle affermazioni e delle polemiche che essa ha suscitato, merita alcune considerazioni. Innanzi tutto l’ostinata protesta della signora italo-finlandese (dopo aver percorso infruttuosamente tutti i gradi di giudizio in Italia è ricorsa alla Corte Europea) mostra chiaramente che la scarsa integrazione culturale e la mancata accettazione delle tradizioni del paese ospitante non è solo caratteristica degli immigrati dal terzo mondo.
Va poi rilevato un paradossale aspetto di questa storia. Infatti sia la ricorrente sia la Corte hanno espresso la convinzione che qualunque accenno ad un simbolo cristiano costituisce un grave ed intollerabile attentato alla libertà di pensiero e di espressione. Vale la pena di ricordare in proposito che tali libertà sono esclusivamente retaggio tradizionale di quei paesi che, bene o male, derivano la propria civiltà dalle cosiddette radici cristiane. Solo nell’area di diffusione del cristianesimo, pur fra tanti errori anche gravi commessi in nome della religione, si sono sviluppate idee di libertà e democrazia, del tutto assenti in altre culture, e se anche in alcuni altri paesi non di area cristiana esse hanno attecchito è stato a seguito di una importazione culturale, voluta od imposta, dal mondo occidentale.
A titolo di esempio, se la signora in questione avesse sollevato la stessa questione in un paese di cultura musulmana, invece di un indennizzo per danni morali si sarebbe buscata, nel caso più favorevole, una buona dose di frustate.
Infine risulta evidente che, in nome della libertà di pensiero, sinonimo di tolleranza per le convinzioni altrui, si è dato, con questa vicenda, una buona dimostrazione di assoluta intolleranza.
Il Bertoldo
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