03 dicembre 2009

Maggioranze e Minoranze

Domenica scorsa, in un referendum, la maggioranza della popolazione svizzera ha approvato la proposta di proibire la costruzione di nuovi minareti nel paese, oltre ai quattro che già esistono. Tutti i sondaggi effettuati alla vigilia prevedevano un risultato completamente diverso, come del resto era stato insistentemente richiesto da tutti i mezzi di informazione, dalla intellighenzia di tendenze sinistrorse e persino dal governo. In solo quattro cantoni sui ventiquattro che compongono la confederazione il risultato è stato a favore della costruzione dei minareti.
Naturalmente il fatto ha avuto una risonanza internazionale enorme, come se si trattasse di un vero e proprio attentato alle libertà di tutti. In primo luogo c’è da notare la reazione negativa dei rappresentanti dell’ONU, che sono scesi in campo in difesa della libertà religiosa, cosa che non hanno mai fatto in occasione degli incendi e delle devastazioni di chiese ed istituzioni cristiane, accompagnati spesso da stragi ed atti di violenza.
Peraltro va ricordato che il sistema democratico implica che la volontà della maggioranza debba prevalere e che le minoranze non abbiano alcun titolo per imporre le loro decisioni quando esse siano state respinte e rifiutate dalla maggioranza dei cittadini. Ogni altra interpretazione che asserisca che il popolo non è in grado, per la propria inadeguatezza culturale, di decidere cosa è bene per se stesso rappresenta una forma di tirannia.
Non è certo il caso di ripetere quanto in tutta la stampa internazionale si è già letto pro e contro (in genere più contro che pro) la decisione democratica del popolo svizzero, ma vale la pena di svolgere alcune riflessioni di carattere più generale sulla vicenda e sulle reazioni che essa ha suscitato.
Innanzi tutto va rilevato che l’affermazione secondo cui il divieto di costruire minareti costituisca un attentato alla libertà di religione è del tutto falsa e tendenziosa. Infatti non risulta che i musulmani si servano dei minareti (che sono delle torri) per pregare: essi infatti si inginocchiano per terra rivolti verso la Mecca. Quindi il minareto non è un luogo di culto e la sua assenza non configura una impossibilità di pregare, ma si tratta invece di un simbolo, come tale va considerato ed in quanto simbolo esso è stato rifiutato dal popolo svizzero che a ragione non ritiene che tale simbolo appartenga alla cultura della Svizzera e dell’Europa.
D’altra parte è evidente che tutta la vicenda viene trattata non in chiave di rispetto del diritto di ciascuno a professare la propria fede, ma unicamente come un argomento politico. Ed è tanto più paradossale che proprio i più accesi sostenitori della libertà religiosa per gli islamici siano proprio colo che la vorrebbero negare ai cristiani e che non cessano di tuonare contro l’ingerenza delle gerarchie religiose cristiane nella vita dei singoli individui.
Comunque, al di là delle osservazioni che precedono, è opportuno fare un discorso ben più serio.
L’attuale società occidentale europea può considerarsi divisa in vari elementi. Una élite di sinistra, culturalmente dominante – anche se fortunatamente non dominante sul piano politico – e totalmente autoreferenziale, che si ritiene in possesso del diritto innato ed esclusivo di decidere ciò che è vero, giusto e buono per tutti. Si tratta di una élite assolutamente avulsa dal suo tempo, incapace di vedere il futuro e di immaginare un programma di vero sviluppo morale, intellettuale e sociale, timorosa solo di perdere il proprio fasullo primato, e disposta a qualunque compromesso pur di tenere a distanza l’altro gruppo sociale, per ora maggioritario, che detiene il potere politico ma in realtà è incapace di utilizzarlo secondo un grande disegno.
Questo secondo gruppo sociale, interno all’Europa, vive anch’esso nel passato, si è adagiato nel proprio benessere, è alieno dall’assumersi qualsivoglia responsabilità, ma vive nel timore che altri gruppi, esterni, possano insidiare il suo quieto vivere. Nel suo agire non si riscontra alcun elemento di autentico desiderio di mantenere il proprio vero o presunto primato, ma unicamente un tentativo di autodifesa che consiste essenzialmente nel cercare di tenere lontano l’avversario.
La nostra società in questo particolare momento storico si trova poi ad affrontare un terzo gruppo sociale, ormai fermamente radicato in Europa, pur se evidentemente del tutto minoritario: quello costituito dalle masse di diseredati – di “barbari” avrebbero detto i Greci ed i Romani –, provenienti da altri continenti, che premono per partecipare al nostro benessere. Essi appartengono in generale a culture, società, religioni completamente diverse e, in modo abbastanza irrazionale, pretendono di godere gratuitamente dei benefici di cui essi ritengano che noi godiamo e che essi stessi sono stati incapaci di procurarsi autonomamente, mantenendo peraltro la propria individualità, i propri costumi, e richiudendosi generalmente in clan chiusi ed incapaci di integrarsi e soprattutto niente affatto desiderosi di farlo. In sostanza si ha l’impressione che non siano loro che debbono integrarsi alla nostra cultura, ma siamo noi che dovremmo adottare la loro.
Questo attacco – che ne ricorda altri già avvenuti in passato – provoca sgomento nel popolo e nessuna capacità o volontà di reazione da parte delle élite di sinistra di cui già si è detto, che per incapacità dialettica definiscono tale paura con l’infamante e del tutto gratuito epiteto di razzismo. Anzi, l’impressione che si ricava dagli avvenimenti – quello dei minareti non è che l’ultimo ed in definitiva il meno importante – è che ci si trovi davanti ad un non dichiarato ma assolutamente chiaro desiderio di rifiutare ogni faticosa ed onerosa forma di difesa, in una parola accettare supinamente la resa in presenza di avvenimenti che non si è in grado di fronteggiare. E ciò non fa che accrescere la preoccupazione ed in definitiva il pessimismo per il futuro del nostro continente e della sua cultura, in una parola della nostra civiltà.
Come bene aveva sentenziato anni fa il celebre storico Arnold Toynbee nella sua famoso opera ”Le civiltà nella storia”, le civiltà non muoiono mai per gli assalti dall’esterno ma unicamente per suicidio causato dall’incapacità sopravvenuta di continuare a progettare un futuro innovatore e coerente con la propria storia e la propria cultura.
Il Bertoldo

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