11 gennaio 2010

Lavoro nero e lavoro negro


Nei giorni scorsi, e sono continuati per qualche tempo, sono avvenuti in Calabria, a Rosarno, dei fatti estremamente preoccupanti. Una manifestazione di protesta dei numerosi immigrati, per lo più clandestini, che vivono e lavorano nella zona è degenerata in un conflitto armato, con l’intervento delle forze di polizia, che ha provocato circa una trentina di feriti. Si è assistito ad episodi di caccia all’immigrato, con relativi pestaggi, ed alla fine l’autorità preposta al mantenimento dell’ordine pubblico non ha trovato altra soluzione che trasferire gli immigrati stessi in altre località, in particolare a Crotone ed in Puglia.
Quanto avvenuto si presta a tutta una serie di considerazioni, che toccano vari argomenti, non solo di carattere politico ma soprattutto di costume.
Innanzi tutto conviene ricordare l’incosciente leggerezza con cui è sempre stato trattato a tutti i livelli il problema degli immigranti clandestini. Il consentire a delle masse di diseredati di installarsi senza alcun controllo nel nostro paese ha provocato la creazione di nuclei di potenziali schiavi o di potenziali delinquenti. Quando la densità di questi poveracci raggiunge certi livelli è inevitabile che da un lato essi siano portati a protestare – dato il loro numero e le loro condizioni di vita – e dall’altro si favorisce il nascere di sentimenti di intolleranza, razzisti e xenofobi, fra i cittadini che si vedono costretti a convivere con loro. Solo un controllo stretto degli arrivi e della loro regolarità può porre le condizioni per una pacifica convivenza ed integrazione.
Una seconda riflessione si impone e si riferisce alle condizioni di vita a cui questi immigrati sono sottoposti: trattandosi di irregolari si ritiene che essi possano essere sfruttati e maltrattati senza problemi: lavoro durissimo, paghe miserabili, nessuna protezione sociale, alloggi indecenti e fatiscenti. Guai a chi protesta, altrimenti intervengono punizioni anche corporali ed eventualmente l’espulsione, cosa che essi temono più di ogni altra.
Quello che merita particolare attenzione è il fatto che le regioni meridionali, ed in particolare la Calabria, soffrono di una altissima percentuale di disoccupati: perché, in queste condizioni, si deve ricorrere all’importazione di manodopera straniera? Evidentemente perché i tipi di lavoro disponibili non sono graditi ai giovani del posto, più portati all’impiego pubblico, a vita e non controllato. Ma che il lavoro disponibile debba essere svolto unicamente in barba a tutte le leggi è chiaramente un atteggiamento intollerabile.
Se si tratti di un problema di carattere culturale o più probabilmente della presenza della malavita organizzata non tocca a noi stabilirlo. Ciò che è inaccettabile è che le istituzioni preposte all’osservanza delle leggi di ogni tipo siano così pigre ed assenti: magistratura, forze dell’ordine, sindacati, enti previdenziali, fisco. Per quale motivo, a fronte di una diffusa e ben nota situazione di illegalità, le istituzioni siano del tutto inerti è un problema che dovrà essere al più presto risolto se non dalle istituzioni locali, spesso coinvolte in fatti non propriamente limpidi, per lo meno dal governo centrale.
Un’ultima osservazione vale la pena di fare. La propensione di buona parte delle popolazioni locali al piagnisteo per la mancanza o l’insufficienza di “posti” di comodo, di prebende, di aiuti nazionali in relazione alle richieste, in definitiva la tendenza a vivere in modo parassitario, sia a carico dello stato che a carico degli “schiavi” – che tuttavia sono sgraditi quando si permettono di protestare - e la conseguente tendenza alla pigrizia, alla mancanza di iniziativa, sono certamente alla base delle condizioni di estremo sottosviluppo delle regioni meridionali.
Purtroppo le istituzioni nazionali, ovviamente influenzate dalla massiccia presenza di esponenti meridionali, continuano a far finta di considerare giustificate le lamentele delle regioni del sud, oltre a tutto inquinate dalla massiccia presenza di potenti organizzazioni criminali, e continuano da oltre mezzo secolo a frenare lo sviluppo del paese sottraendo alle regioni più dinamiche i mezzi necessari a vivacizzare l’economia nazionale ed a riportarla al livello che le spetterebbe in Europa e nel mondo.
Il Bertoldo

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