Il Presidente del Consiglio, terminata la convalescenza dopo la nota aggressione, ha ripreso le sue funzioni ed in tale occasione ha formalmente dichiarato che entro l’anno si dovrebbero completare due importanti riforme: la riforma della giustizia – sia attraverso modifiche alla Costituzione, sia mediante leggi normali – e la riforma del fisco. Sulla questione giustizia si è già scatenata da tempo la cagnara delle opposizioni che ritengono la magistratura sacra ed inviolabile e comunque sostengono che ogni tentativo di razionalizzare e sveltire l’attività giudiziaria sia un provvedimento “ad personam” (come è ormai invalso dire) e quindi da respingere senza nemmeno sapere in cosa consista.
Sulla questione fiscale il Presidente del Consiglio si è spinto a dichiarare che il suo obbiettivo è quello di ridurre il carico fiscale diretto, in particolare attraverso l’introduzione di due sole aliquote, del 23 e del 33 percento, sui redditi dichiarati. E qui si è avuta, da parte delle opposizioni e della CGIL, una reazione che dal punto di vista logico è del tutto assurda, ma che rientra bene nella loro mentalità di dire no a tutto ciò che viene proposto dall’attuale maggioranza. Infatti, di fronte ad un progetto di riduzione del prelievo fiscale, che gioverebbe soprattutto ai lavoratori dipendenti costretti a dichiarare integralmente i propri redditi, c’è stato un sinistro coro generale di rifiuto e di riprovazione, con la scusa che si trattava di un provvedimento assolutamente demagogico. Fortunatamente non si è detto – almeno per ora – che si tratta solo di un provvedimento tendente a far pagare meno tasse a Berlusconi stesso.
Va detto che questo atteggiamento, apparentemente anomalo, risponde bene non solo all’odio manifestato di continuo nei confronti del Premier, ma soprattutto alla mentalità ormai inveterata delle sinistre. Infatti la loro concezione economica, chiaramente di ispirazione sovietica, vede nello stato l’unico proprietario di tutto ciò che esiste o si produce nel paese, e quindi l’unico ente che abbia il diritto di stabilire cosa farne. D’altra parte, una delle idee fisse del sinistrismo è che il reddito prodotto debba essere redistribuito, ovviamente secondo criteri del tutto arbitrari ed insindacabili; ne consegue che uno degli obbiettivi fondamentali sia quello di rendere più poveri i ricchi. (non dimentichiamo che tempo fa Massimo D’Alema dichiarò pubblicamente che il suo augurio era di vedere Berlusconi ridotto in miseria), esclusi naturalmente gli “amici”.
D’altra parte nel lessico della sinistra il significato della parola “redistribuzione” è molto simile a quello di “parassitismo” nel linguaggio comune. Infatti lo stato “prende” non solo agli individui ricchi – che spesso sono quelli che più producono e creano più posti di lavoro – ma anche alle regioni più attive per distribuire alle regioni inefficienti, per mantenere sterminate legioni di dipendenti pubblici e di politicanti locali, per sussidiare finti invalidi, per mandare in pensione di anzianità o di vecchiaia persone ancora perfettamente valide, per alimentare con fondi pubblici, e quindi di spettanza dei cittadini attivi, aziende decotte ma protette dai sindacati, e simili indecenti comportamenti.
Da quanto detto si deduce che, dal punto di vista delle sinistre e della CGIL, il sindacato più integralista, la possibilità che si riesca a ridurre il prelievo sui redditi costituisce una inaccettabile stortura, e non importa se per il rifiuto della proposta debbano soffrire soprattutto i lavoratori: l’importante è che non si cambi nulla (tutti ricordano che il precedente ministro dell’economia del governo di sinistra, Tomaso Padoa Schioppa, ebbe a dichiarare che “le tasse sono una cosa bellissima”) nella impostazione punitiva del fisco.
Il Bertoldo
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