24 febbraio 2010

Ancora sulla tempesta


Vale forse la pena di riprendere l’argomento della grave crisi che attanaglia praticamente tutti i paesi sviluppati, e per contagio anche buona parte di quelli sottosviluppati od in via di sviluppo, per azzardare qualche considerazione sulle possibilità di ripresa dell’economia.
La classica ricetta keynesiana per l’uscita dalle crisi economiche prevedeva l’avvio di un massiccio programma di investimenti pubblici a carattere infrastrutturale che, attraverso l’immissione nel sistema di importanti capitali, consentisse da un lato la creazione di nuovi posti di lavoro e dall’altro la realizzazione di opere che, per loro stessa natura, favorissero il successivo sviluppo del paese. Per inciso va notato che l’enorme dimensione dell’intervento pubblico degli scorsi anni per sanare la situazione finanziaria di banche ed altre istituzioni non ha avuto alcun impatto sull’occupazione, se non quello di evitare un ulteriore aggravamento della disoccupazione.
Per riprendere il concetto keynesiano va osservato che l’adozione di un eventuale programma di massicci investimenti pubblici presenta, al momento attuale, alcuni gravissimi problemi di difficile soluzione.
Innanzi tutto va rilevato che qualunque programma di questo tipo deve rispettare tutta una serie di norme burocratiche di garanzia che, per loro stessa natura, non ne favoriscono la rapidità e la flessibilità. Basti citare a questo proposito, per il nostro paese, che per quanto riguarda la ripresa di un programma nucleare, come previsto dal programma della coalizione di governo, a due anni dall’insediamento del nuovo governo non si sono ancora definiti neppure i criteri che dovranno essere adottati per la scelta delle localizzazioni.
Quindi è prevedibile che l’impatto, per quanto riguarda la tempestività degli interventi, sarebbe nullo o quasi, a meno che si decida di adottare improbabili procedure d’urgenza il cui principale risultato potrebbe essere quello di favorire l’arbitrio e forse anche la corruzione. Non va neppure trascurata a questo proposito la frequente ed aprioristica opposizione di enti locali ed organizzazioni pseudo ambientaliste a qualunque operazione che riguardi il territorio, si tratti di ferrovie, strade, centrali elettriche e quant’altro.
D’altra canto l’altro principale ostacolo è costituito dal finanziamento delle opere. Esse possono infatti essere finanziate o con risorse proprie del sistema pubblico o mediante il ricorso all’indebitamento. Risorse proprie in questo momento non ce ne sono davvero, come è stato mostrato in precedenza, dato il pessimo ed in qualche caso disastroso evolversi dei bilanci pubblici; né è da pensare, nell’attuale situazione, ad un aumento delle entrate fiscali, già ad un livello insostenibile in periodi normali. Illusorio anche pensare a rapidi risultati nella lotta all’evasione: le garanzie offerte da uno stato di diritto non consentono la veloce soluzione degli eventuali ricorsi dei soggetti coinvolti
Non è a più forte ragione sostenibile il ricorso all’indebitamento pubblico, che, come si è visto, è ormai quasi dappertutto giunto a livelli non compatibili con una ragionevole speranza di rimborso. Il rimborso può avvenire infatti solo in tre modi: un bilancio in attivo (chimera irraggiungibile), la cessione di cespiti di proprietà pubblica, destinandone il ricavato alla riduzione del debito, oppure attraverso l’inflazione che sostanzialmente svaluti i debiti espressi in moneta deprezzata. Comunque l’eccessivo ricorso all’indebitamento ha spesso conseguenze gravissime, come stanno a dimostrare il caso della Grecia, ed i pericoli incombenti sull’affidabilità finanziaria di Spagna, Portogallo ed Irlanda.
C’è infine da considerare un altro importante aspetto, che riguarda apparentemente solo la sfera privata, ma le cui ripercussioni sulla politica generale possono essere dirompenti. Buona parte della popolazione, trovatasi a lottare con redditi minori che in passato e soprattutto impressionata dalle cupe prospettive future, tende naturalmente a ridurre in maniera notevole l’accumulo di risparmio e soprattutto acquisisce abitudini meno dispendiose nei propri acquisti, accontentandosi di prodotti di buona qualità ma di costo inferiore. In ciò favorisce inconsciamente i consumi di beni prodotti in paesi ove il costo della manodopera è inferiore a quello dei paesi sviluppati, mettendo ulteriormente in crisi il sistema produttivo nazionale.
Appare pertanto logico, ancorché sconfortante, ritenere che la minore disponibilità di risparmio privato e la maggiore oculatezza nella spesa da parte dei consumatori, uniti agli altri fattori indicati sopra, non siano elementi atti a favorire a breve la ripresa economica, tanto spesso annunciata come imminente se non già in atto e tanto spesso smentita dai fatti.
Il Bertoldo

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