Terminato, con soddisfazione generale (di chi ha vinto di più e di chi ha perso di meno), il rito delle elezioni regionali è ritornato in pole position il tormentone che ormai da decenni affligge il nostro paese: le riforme. Questa parola magica rispunta fuori ogni qual volta qualche esponente politico o qualche forza politica vuol dare l’impressione di avere grandi progetti, al contrario, ovviamente, dei propri avversari, notoriamente incapaci di tanta immaginazione. Naturalmente è convinzione di chi parla continuamente di riforme che, come diceva una vecchia pubblicità, “basta la parola”: precisare meglio di cosa si stia parlando sarebbe solo espressione di pignoleria del tutto innecessaria su argomenti così profondi.
La speranza dei cittadini, in questa occasione, è che finalmente qualcosa si muova, anche se l’esperienza ormai consolidata invita alla prudenza. Va detto che questa volta ci si è spinti fino a fare un elenco, sia pur generico, delle questioni che si vorrebbero risolvere e, come era da aspettarsi, si sono immediatamente messe in evidenza infinite scuole di “pensiero”, con i loro distinguo sottilissimi, con la precisazione di ordini di priorità discordanti, e via elencando.
Gli argomenti più “gettonati” sono più o meno sempre gli stessi: ammodernamento della Costituzione (come ed in che punti?), riforma della giustizia (se ne parla da anni ma mai nulla è stato fatto, e quando un referendum ha introdotto il criterio della responsabilità dei giudici esso è stato immediatamente disatteso), elezione diretta del Presidente della Repubblica, riduzione del numero dei parlamentari, eliminazione del bicameralismo perfetto, federalismo (fiscale soprattutto), riforma fiscale.
Su quest’ultimo argomento si sono spesi fiumi di inchiostro, senza mai toccare il vero nocciolo del problema. Infatti, quando si parla di riforma del fisco si tratta di stabilire nuove norme per quanto riguarda le modalità del prelievo dello stato dalle tasche dei cittadini. Si precisa però sempre che, data la pesante situazione di indebitamento dello stato, per il momento non è possibile pensare ad un alleggerimento delle aliquote se non in misura molto modesta. Ora tutto ciò è assolutamente vero e mette in evidenza che la vera riforma necessaria non è quella del prelievo, ma quella della spesa. Fintanto che il sistema pubblico continuerà a spendere ed a scialacquare senza alcun ritegno il frutto del lavoro degli italiani (almeno di quelli che lavorano) qualunque tipo di riforma fiscale avrà l’effetto dei cosiddetti pannicelli caldi.
Tuttavia, quando si parla, sia pur sottovoce, di prendere seri provvedimenti per ridurre la spesa pubblica ed i conseguenti parassitismi e malversazioni, ciò che avrebbe l’effetto immediato di permettere una riduzione seria del prelievo fiscale, tutti i partiti, le corporazioni, le comunità locali insorgono per bloccare qualunque mossa in tal senso. Dobbiamo quindi dedurne che le leggi di spesa non siano in effetti mirate ad accrescere il benessere dei cittadini e l’efficienza della macchina pubblica, ma siano delle vere e proprie leggi “ad personas”?
Il Bertoldo
2 commenti:
forse leggi pro-casta?
Non c'è ancora chiarezza su come pensano di attuare il federalismo fiscale. Quello che si sa è che sarà un procedimento lungo, ma in Italia questa non è una novità. Tuttavia per capire meglio pericoli e vantaggi che ne potrebbero derivare, consiglio "il sacco del Nord" di Luca Ricolfi, libro pieno di dati sulla contabilità nazionale e spunti di riflessione sul paese Italia.
Grazie. senz'altro leggero questo libro.
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