31 maggio 2010

Recite

In teatro si possono effettuare tre tipi di recite: con un preciso copione, oppure a soggetto, ossia seguendo solo un canovaccio in base al quale gli attori costruiscono lo spettacolo, ed infine improvvisando, cosa che avviene quando, senza alcun accordo precedente, gli attori inventano lì per lì una situazione e la sviluppano secondo l’estro e la capacità di corrispondere fra loro.
Nella politica italiana sembra che i vari soggetti – i partiti – pur presentando al momento delle elezioni dei copioni spesso molto dettagliati, interessanti ed impegnativi, poi, una volta insediati al potere – o all’opposizione – si attengano alla formula della totale improvvisazione, svolgendo una vicenda che sovente nulla ha a che vedere con il copione a suo tempo presentato e reclamizzato. In sostanza si potrebbe dire che tutti i partiti presentino una pubblicità ingannevole, in definitiva frodando i propri clienti.
Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti: tutti da decenni promettono riforme atte a modernizzare ed adeguare ai tempi la costituzione, diminuzione del carico fiscale, meno burocrazia, rapidità e correttezza della giustizia, abolizione dei parassitismi, e mille altre cose. Nulla viene mai realizzato, forse per conservare gli stessi argomenti per la prossima tornata elettorale, altrimenti non saprebbero più cosa dire.
Per citare un caso specifico, di cui si è discusso in questi giorni, ricordiamo che nel proprio programma elettorale la coalizione del centro destra aveva promesso l’abolizione delle province, con la conseguente realizzazione di importanti economie. Appena svolte le elezioni, la Lega ha dichiarato che “le province non si toccano”. Anch’essa evidentemente fa ormai parte a pieno titolo della congrega di partiti che essa ha sempre criticato: conservare ed anzi accrescere i posti di potere parassitario, attuare il nepotismo più smaccato, e simili comportamenti.
In occasione della grave crisi in corso il governo sembra intenzionato a proporre un provvedimento tendente a ridurre i costi del settore pubblico: fra i provvedimenti ipotizzati parrebbe sia stata proposta una timida riduzione del numero delle province che si attuerebbe mediante la soppressione di tutte quelle che contano meno di 220.000 abitanti (perché ci si sia fissati su questo numero non è dato sapere) che però non siano in regioni a statuto speciale e non siano confinanti con stati esteri.
In Italia il numero totale di province è di 110 (solo pochi decenni fa era di 90); quelle con meno di 220.000 abitanti sono ben 22 delle quali 9 sono di recente costituzione, 6 sono di confine e 7 appartengono a regioni a statuto speciale. Pertanto le provincie che dovrebbero essere abolite sarebbero solo 9, per lo più collocate nel centro sud. Da quanto esposto risulta che anche se quanto ventilato e poi in parte rimangiato in successive dichiarazioni venisse effettivamente attuato, la diminuzione in numero delle provincie rappresenterebbe solo l’8% del totale delle province italiane: si può forse affermare che il copione è stato rispettato?
Ma c’è di più. Per quale motivo verrebbero escluse le province di confine? C’è forse qualche pericolo di guerra con i nostri vicini? E perché dal provvedimento sarebbero escluse le province appartenenti alle regioni a statuto speciale (la Sardegna è quella che ha costituito più nuove province negli ultimi anni), forse perché quasi tutte sono ora amministrate da coalizioni di centro destra? Ed infine perché, a più di sessant’anni dalla nascita della repubblica, debbono ancora esistere delle regioni a statuto speciale?
Sembra sempre meno probabile che questo provvedimento vada in porto. Comunque, a parte ogni eventuale ricorso alla Corte Costituzionale, quanto tempo ci vorrà perché l’operazione sia portata a termine? Nuova ripartizione delle competenze, chiusura di uffici legati all’esistenza delle province, rispetto dei diritti degli eletti che accamperanno diritti acquisiti con l’elezione, voce del popolo sovrano, nuova attribuzione dei comuni interessati fra le province limitrofe, con le prevedibili faide campanilistiche, e chi più ne ha più ne metta. Come un provvedimento del genere, che trascura l’operazione generale di eliminazione delle province, possa dare un beneficio valutabile nel biennio di cui si occupa la manovra allo studio del governo non è dato sapere. E comunque è opportuno ricordare che all’attuale governo, se non ci sono intoppi, restano solo tre anni prima delle prossime elezioni politiche.
Pensiamo che invece di recitare improvvisando sarebbe bene che il governo e la maggioranza che lo sostiene si decidessero a rispettare il copione che essi stessi hanno proposto agli elettori. Altrimenti, è inutile lamentarsi se i cittadini perdono fiducia nella politica, come l’hanno già persa nella burocrazia e nella magistratura. E sarà certamente una fortuna se questi continui inganni orditi dalla classe politica di destra, di sinistra o di centro a proprio esclusivo beneficio, non provocheranno problemi sociali ben più gravi.
Il Bertoldo

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