28 gennaio 2011

Tributi e Saccheggi

Il Tributo è una prestazione patrimoniale coattiva, consistente in beni in denaro o in natura, che deve essere corrisposta allo Stato o ad un altro ente pubblico per effetto dell'esercizio della facoltà di prelievo coattivo da parte dell'ente in questione.
In epoca classica, il tributo era la somma di denaro corrisposta allo Stato dai cittadini, dagli stranieri, dai popoli alleati e soprattutto dai popoli vinti. Presso i Greci i tributi erano inizialmente straordinari e malvisti; presso i romani il tributo veniva riscosso secondo il censo e solo nel caso in cui i redditi demaniali non fossero bastati alle spese di guerra. Esso veniva anche rimborsato se il bottino di guerra lo avesse consentito.
Va ricordato che il bottino di guerra consisteva essenzialmente nell’appropriarsi del tesoro del sovrano sconfitto e nel risultato del saccheggio delle città conquistate, quest’ultima parte a carico dei cittadini del paese perdente e di eventuali patrimoni sacri custoditi nei templi. Inoltre una grossa fetta del bottino di guerra, costituito in definitiva dai tesori razziati e dagli abitanti presi come schiavi, veniva incamerata dal generale comandante la spedizione. In conclusione si potrebbe concludere che lo stato viveva del saccheggio delle ricchezze altrui, e solo qualora queste ultime venissero a mancare o si rivelassero insufficienti faceva ricorso ai propri cittadini: banalmente si potrebbe dire che i propri cittadini venissero considerati soggetti da saccheggiare solo in seconda istanza.
La situazione è radicalmente cambiata nel mondo contemporaneo: oggi sono i cittadini ad essere considerati i soggetti da saccheggiare in prima istanza; l’ultimo episodio di pubblico bottino di guerra crediamo sia stato la decisione del trattato di Versailles nel 1919 che ingiungeva alla Germania sconfitta di smantellare buona parte delle proprie industrie pesanti per cederle agli Alleati vincitori. Questa insana clausola non fu l’ultima causa del sorgere del nazismo e dello scoppio della spaventosa seconda guerra mondiale.
Naturalmente oggi si cerca di mascherare pudicamente il saccheggio indiscriminato di quanto i cittadini producono con motivazioni altamente morali: la necessità di assistere i bisognosi, di assicurare servizi a tutti “dalla nascita alla morte”, e simili commoventi atti di solidarietà sociale. La realtà è ahimè alquanto diversa ed assistiamo quotidianamente allo spreco, allo scialo, al parassitismo più sfacciato, quando non direttamente al furto, cui fa riscontro la fornitura di servizi che non di rado sarebbero inaccettabili in un paese del terzo mondo.
Uno degli ultimi esempi di “buonismo e socialità” lo ha dato l’onorevole Rosy Bindi, nelle inattese vesti di Rosyn Hood: aumentare le tasse ai “ricchi” (ma chi è ricco secondo lei?) per diminuirle ai “poveri”. Se tale proposito fosse vero e realizzabile sarebbe un assoluto inedito; infatti non è mai successo a memoria d’uomo (ma la Rosy è donna…) che ad un aumento di alcuni tributi abbia fatto seguito una diminuzione di altri.
Altro esempio significativo ce lo ha fornito l’on. Giuliano Amato, l’autore di un famoso scippo notturno dai conti correnti degli italiani: ha proposto un’imposta straordinaria piuttosto pesante a tutti per ridurre il debito pubblico, indifferente al fatto che anche lui, come esperto finanziario del defunto PSI, ha contribuito attivamente agli sprechi che hanno dato origine ad un debito pubblico ben superiore al 100% del PIL. Ecco un altro esempio di quanto si diceva: lo stato fa quello che vuole (o meglio ciò che più aggrada, per i propri interessi, a chi lo gestisce) e la fattura viene addebitata ai cittadini/sudditi, secondo quanto recitava la definizione medievale francese del servo “taillable et corvéable à merci” (soggetto a taglie e lavoro obbligato e non pagato secondo il buon volere del signore).
La verità è che tutta l’impostazione odierna del sistema fiscale obbedisce a delle regole ben precise di affermazione e consolidamento dello statalismo e del centralismo, per certi aspetti non dissimile dagli usi oppressivi dell’ancien régime: nella nostra società si parla continuamente di libertà, della sacralità dell’individuo e dei suoi diritti (i cosiddetti diritti civili) quando non addirittura di liberalismo, ma in realtà chi detiene l’assoluta supremazia è lo stato ed i cittadini sono relegati al solo rango di sudditi.
Gli esempi sono innumerevoli, ma se ne possono citare alcuni particolarmente significativi: il cittadino che evade è bollato come un delinquente, il funzionario od il politico che, in nome dello stato spreca le risorse pubbliche o se ne appropria discretamente non è mai o molto raramente sanzionato; la “privacy” del cittadino è sacra per le cose insignificanti e protetta spesso con disposizioni comiche ed assurde, ma viene violata continuamente dalla magistratura, in nome dell’interesse non dimostrato dello stato; il diritto di proprietà, sanzionato dalla Costituzione, è violato da infinite leggi che ne limitano il godimento: leggi sullo sfratto, sulla cosiddetta utilità pubblica eccetera; il ritardo da parte del cittadino di assolvere ai propri impegni fiscali è severamente punito, il ritardo dell’ente pubblico ad assolvere i propri impegni è prassi quotidiana, tutt’al più giustificata con “problemi burocratici” come se la burocrazia non fosse direttamente dipendente dall’ente pubblico stesso. E si potrebbe continuare.
In queste condizioni, non si può che concludere che il sistema fiscale odierno, in tutti i paesi, sia improntato non a criteri di giustizia – parola grossa – o quantomeno di razionalità, ma a criteri di spoglio e di rapina nei confronti di chi, faticosamente e spesso rischiosamente, lavora e produce per il bene proprio e quello generale. Tutto però in nome della socialità e della solidarietà.
Il Bertoldo

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