Siamo nell’anno in cui si celebra il centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia, e siamo sottoposti ad un’orgia di apparente spirito unitario. Il nostro Presidente Giorgio Napolitano, tanto loquace quanto specializzato in retorici e non particolarmente originali messaggi, quasi quotidianamente ricorda ai suoi concittadini il valore della conquistata unità, la necessità di non lasciarsi travolgere dallo spirito di contesa, e simili risapute banalità. Il tutto accompagnato da uno spreco di esecuzioni dell’inno nazionale e del “va’ pensiero”.
Tutto ciò potrebbe anche essere commovente ed atto a risvegliare negli italiani il senso di appartenenza ad una stessa comunità, il patriottismo ed il desiderio di operare tutti insieme nell’interesse del paese al fine di uscire da una situazione di evidente crisi, più che economica, di valori, come si usa dire adesso. Ma purtroppo dobbiamo paradossalmente constatare che mai come in questo momento è in atto un processo di segno contrario al senso di unità. Crediamo sia opportuno avvalorare questa tesi con una serie di esempi.
Sul piano culturale è in atto una forte azione tendente a rivedere l’iconografia tradizionale della storia unitaria ed a far rilevare tutto ciò che di discutibile – e sempre nascosto – ci sia stato nell’operazione unitaria. Quindi ci troviamo immersi nella polemica fra gli ammiratori del regno borbonico, così inopinatamente distrutto e conquistato dall’invasore piemontese, e chi invece si rifà alle glorie dei padri della patria. Tutto ciò è causa di una evidente divisione culturale e manca completamente un riesame onesto ed obbiettivo del processo unitario, tale da superare la simmetrica divisione fra “tutti i buoni di qua e tutti i cattivi di là”, che non porta a nulla se non a riattizzare le tradizionali divisioni ed antagonismi fra il nord ed il sud d’Italia.
Ciò che appare strano in questa situazione è che la polemica coinvolge unicamente i settentrionali da un lato ed i “laudatores” del regno borbonico dall’altro. Ad essa non prendono parte le popolazioni del centro Italia, in particolare i toscani, sempre pronti a partecipare a qualsiasi rissa intellettuale, che pure non erano affatto male amministrati sotto il granducato.
Sul piano politico va ricordata la polemica sul federalismo. C’è chi afferma che il progetto federalista in via di attuazione penalizzerà gravemente le regioni meridionali a tutto vantaggio del settentrione, chi invece se lo augura perché permetterà anche al sud di intraprendere una condotta virtuosa, di svilupparsi come si deve in un momento come l’attuale e consentirà a tutto il paese di riprendere il cammino della crescita. Non sembra che queste particolari giustificazioni siano suffragate – dalle due parti – da serie argomentazioni ed è evidente che questa polemica, basata su un progetto di falso federalismo, non è certo un sintomo di sentimento unitario.
C’è poi da ricordare, sempre sul piano politico, la contrapposizione, che va ben al di là del fisiologico, fra la maggioranza e l’opposizione, basata non su argomenti almeno apparentemente razionali o quantomeno ideologici e su una corretta e doverosa dialettica, ma unicamente sull’opposizione o sul sostegno ad una persona che, vedi caso, con tutti i suoi difetti, ha una tara d’origine: non appartiene al ceto politico professionale.
Infine, per non allungare troppo il brodo, come si dice volgarmente, ricordiamo che ci troviamo di fronte ad un gravissimo conflitto istituzionale. Un ordine dello stato – non un potere – costituito da persone non elette dal popolo ma unicamente vincitrici di concorsi, in alcuni casi palesemente truccati, dotato di assoluta immunità – che spesso sconfina nell’impunità - ed autoreferenzialità, pretende di contrastare le prerogative del Parlamento, questo sì un potere eletto democraticamente dai cittadini, sostituendosi sostanzialmente ad esso e cerca di arrogarsi il potere di legiferare, abbandonando il proprio compito istituzionale che è quello di applicare le leggi che i rappresentanti del popolo hanno deliberato autonomamente e con pieno diritto nelle forme stabilite dalla Costituzione.
Lasciando al lettore il compito di identificare altri numerosi esempi di comportamenti in contrasto con lo spirito unitario che almeno in questa ricorrenza dovrebbe animare tutti i cittadini, ci sembra di poter concludere che se l’Italia è fatta, gli italiani, dopo centocinquant’anni, sono ancora da fare, ammesso che quest’ultimo ed auspicabile compito sia realizzabile in un paese che non è mai stato unito dalla caduta dell’impero romano in poi. Recuperare in centocinquant’anni le divisioni consolidate in mille cinquecento anni non appare un’impresa facile.
Il Bertoldo
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