L’Italia è il paese delle asimmetrie. E’ ormai da tempo che si discute, senza alcun costrutto, se sia opportuno reintrodurre nella Costituzione la norma sull’autorizzazione a procedere nei confronti dei parlamentari, norma presente nella stesura originale della carta fondamentale e poi incautamente rimossa durante il periodo delle cosiddette “mani pulite” (fino a che punto fossero pulite resta ancora da stabilire).
Da parte della magistratura, che grazie alla eliminazione di tale norma costituzionale poté distruggere tutti i partiti fatta eccezione del Partito Comunista, a lei particolarmente caro, si sta svolgendo una fiera opposizione, coadiuvata dalle truppe ausiliarie dei partiti di sinistra, adducendo il motivo che la legge deve essere uguale per tutti (senti chi parla…) e che ciascuno, quale che sia la sua posizione, deve essere giudicato dal suo giudice naturale, evidentemente identificato nella magistratura.
Il provvedimento ventilato permetterebbe ai parlamentari – rappresentanti eletti direttamente dal popolo, che secondo la Costituzione è il detentore della sovranità – di ottenere una sorta di via libera da parte del ramo del Parlamento cui essi appartengono prima di essere sottoposti a processo. Questo fatto indigna gli esponenti della magistratura che negano ai parlamentari il diritto di essere sottoposti ad una specie di primo processo da parte dei propri pari.
Ed è qui che notiamo la prima asimmetria: i parlamentari non dovrebbero poter essere giudicati in prima istanza dai propri pari, mentre, come è noto, i magistrati – cui si deve la più ostinata opposizione al provvedimento – godono del privilegio di essere sempre e comunque giudicati, in qualsiasi grado di giudizio, solo dai propri pari, senza alcun giudice terzo.
Un altro eclatante esempio di asimmetria è il seguente. E’ universalmente noto che fin dall’epoca dell’illuminismo si è teorizzato che i poteri dello stato sono tre: il potere legislativo (eletto direttamente dal popolo) che ha il compito di formulare le leggi; il potere esecutivo, che normalmente deriva dalle assemblee elette dal popolo, che ha il compito di gestire la politica del paese, ovviamente nel rispetto delle leggi e della Costituzione; ed infine il potere giudiziario, che non deriva le proprie prerogative dal consenso popolare ma unicamente da concorsi per titoli ed esami, che ha il compito unicamente di applicare le leggi votate dal parlamento.
Si dà il caso che in tempi recenti il potere (meglio sarebbe dire l’ordine) giudiziario, forte della necessaria autonomia assicurata dalla Costituzione, si sia più volte sostituito agli altri due poteri, pretendendo di dettare l’attività del Parlamento e del Governo, senza peraltro accettare alcuna ingerenza nella propria attività, non sempre rispettosa della legge, ed anzi in taluni casi caratterizzata da interpretazioni distorte, quando non addirittura aberranti, delle leggi nazionali, ottenendo quindi l’esatto contrario di quanto previsto dai rappresentanti del popolo.
Ci troviamo quindi di fronte ad un caso tipico: l’ordine giudiziario si arroga il diritto di legiferare – direttamente con pesanti interventi e dichiarazioni ed indirettamente attraverso l’interpretazione aberrante delle leggi esistenti – mentre d’altro canto rifiuta qualsiasi ingerenza non solo nel proprio operato, ma addirittura respingendo pervicacemente ogni tentativo di rendere più efficiente l’attività giudiziaria senza peraltro che si venga meno al dettato costituzionale circa l’indipendenza dell’ordine giudiziario dal potere politico.
Un altro esempio è quello da noi più volte citato. Com’è noto la legge punisce, anche in maniera grave, chi sottrae fondi all’erario rifiutandosi di compiere fedelmente il proprio dovere di contribuente: alludiamo agli evasori fiscali che cercano di riservare illegalmente a se stessi in tutto o in parte il frutto del proprio lavoro. C’è un’altra categoria di cittadini che sottrae ingenti somme all’erario senza che nessuna pena sia per loro prevista. Si tratta di tutti coloro che, collettivamente od individualmente, hanno la facoltà di spendere il pubblico denaro e lo sperperano in mille operazioni od investimenti inutili (spesso abbandonati appena terminati), in clientelismi a scopo elettorale (non si può in questo caso ravvisare un interesse privato in atti d’ufficio?), in parassitismi e malversazioni, generalmente ineccepibili dal punto di vista formale.
Ancora un esempio. Se un cittadino ritarda il puntuale pagamento di una somma dovuta all’erario incorre in gravi sanzioni pecuniarie. D’altro canto, se l’ente pubblico ritarda od omette di rimborsare al cittadino somme a lui dovute, non succede nulla.
E per finire non è ben chiaro in base a quale criterio debba esistere un trattamento fortemente diverso fra i lavoratori dipendenti pubblici – assolutamente garantiti in qualunque circostanza – e quelli privati, sui quali, anche in presenza dello statuto dei lavoratori, incombe sempre il pericolo della perdita del posto di lavoro.
Altri casi ancora si potrebbero citare, ma ognuno può completare la lista a proprio piacimento. In conclusione, ci troviamo di fronte a casi di asimmetria, come li abbiamo voluti chiamare, ma forse sarebbe meglio, in alcune circostanze, parlare non di asimmetria, ma di vera e propria schizofrenia, se non addirittura della evidente volontà di considerare il cittadino non la base stessa di uno stato moderno, ma alla stregua di un suddito soggetto all’incontrollato potere di chi si è impadronito dello scettro del comando ed il cui solo dovere è: “paga (e subisci) e taci”.
Il Bertoldo
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