25 maggio 2011

Parole e fatti

Da vario tempo ormai i principali esponenti politici di ogni parte del mondo, sostenuti da una buona parte dei cosiddetti “media”, cercano di convincerci che ormai la crisi che ha attanagliato soprattutto il mondo occidentale è risolta e che le economie hanno ripreso la crescita, sia pure non ancora ad un ritmo soddisfacente. A sostegno di questa fantasiosa tesi si cita il fatto che l’economia mondiale lo scorso anno è cresciuta di oltre il 4%; purtroppo, come tutte le medie statistiche, questo dato è inficiato dal fatto che le economie dei principali paesi emergenti, Cina, India e Brasile in primo luogo, sono cresciute di percentuali intorno al 7/8% ed oltre, ciò che sta a significare che le economie dei paesi sviluppati sono cresciute molto meno, quando non hanno addirittura segnato una crescita negativa. Vedere in proposito i casi ben noti di Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna e la crisi della moneta europea.
Per limitare il discorso al nostro paese, c’è da rilevare che la crescita del PIL per il 2010 si è limitata all’1%, ed a tali livelli si prevede che si manterrà anche nell’anno in corso e nel seguente. Il fatto è deplorato da tutti: Banca d’Italia, governo, opposizione, e tutti coloro che pretendono di esprimere pareri, non sempre ragionevoli, in proposito. In genere si preferisce accusare l’egoismo degli evasori, l’inerzia dello stato nei confronti della disoccupazione e dei precari, l’insufficiente (?) tassazione dei ricchi, la mancanza di solidarietà. In sostanza ci si limita ad elencare i problemi, reali od immaginari che siano, senza fornire alcun serio esame delle loro cause e di conseguenza evitando di proporre seri programmi per eliminarli.
A nostro avviso le cause dell’insufficiente sviluppo italiano vanno cercate in una serie di fatti che in generale ci si guarda bene dal citare, forse perché potrebbero non piacere ad una parte dell’elettorato.
Innanzitutto un livello di tassazione di confisca, che evidentemente non solo scoraggia l’investimento nuovo, ma non consente neppure l’accumulo di risorse, attraverso la costituzione di riserve, da impiegare nello sviluppo imprenditoriale. Se non si trattasse di un’affermazione ritenuta blasfema verrebbe da dire che le uniche possibilità di accumulo consistono nell’evasione, e non ci sembra che questo sia un concetto che depone a favore dell’etica nazionale e soprattutto dell’etica di chi ci governa, di destra o di sinistra che sia.
Un’altra causa va ricercata nello sterminato numero di dipendenti pubblici che non solo costano in termini di stipendi, pensioni, uffici, spese generali eccetera – e per carità di patria glissiamo sulle opportunità di corruzione o malversazione che questa situazione comporta - ma soprattutto sono attivi solo nel cercare di giustificare la propria presenza, inventando con inusitato attivismo tutta una serie di procedure burocratiche che appesantiscono in modo vergognoso la gestione non solo delle aziende ma anche dei privati. Tutto ciò ha dato origine ad una caterva di disposizioni aventi valore di legge che, malgrado l’istituzione di un apposito ministero per la semplificazione legislativa, non accenna a diminuire ma ha piuttosto tendenza ad aumentare.
Terzo elemento di freno allo sviluppo è costituito da una magistratura inefficiente e borbonica. Non vogliamo qui ritornare sulle questioni che oppongono ormai da lungo tempo la magistratura all’attuale maggioranza ed al suo leader. Vogliamo solo mettere in evidenza che non è tollerabile, in un paese che pretende di essere civile, che per qualunque procedimento riguardante i rapporti senza carattere penale fra i cittadini, occorrano anni quando non decenni prima che sia possibile far valere i propri diritti. Quante iniziative imprenditoriali sono giunte al fallimento o quanto meno alla liquidazione per le ingiustificabili lentezze di una magistratura pigra, incapace e dedita soprattutto alla conservazione dei propri spesso ingiustificati privilegi?
Infine occorre ricordare il costume ormai generalizzato di considerare che il posto fisso, possibilmente a vita – come del resto è norma inviolabile per l’impiego pubblico – sia un diritto assoluto. Ecco quindi la lotta, ovviamente solo a parole, al precariato, senza chiedersi se la precarietà a termine di molte occupazioni non sia una conseguenza diretta di quello Statuto dei Lavoratori che viene sempre sbandierato come una fondamentale conquista sociale.
A ciò si aggiunga il rifiuto ormai generalizzato di ogni tipo di occupazione che non comporti una vita a tavolino, con il corollario dell’esigenza di una laurea purchessia, da conseguire spesso in molti più anni del necessario ed il proliferare di facoltà universitarie del tutto inutili, sia come specializzazione che come sede. Naturale conseguenza di questa ormai invalsa attitudine mentale, la necessità di ricorrere a manodopera non qualificata proveniente da paesi ampiamente sottosviluppati, con tutte le conseguenze negative che ciò comporta sia per l’ordine pubblico che per lo svilupparsi di una spesso ingiustificata forma di più o meno velata xenofobia.
A nostro parere se non si affronteranno questi veri problemi, e per risolverli occorreranno probabilmente dei decenni, il nostro paese è votato ad un lento ma inesorabile declino.
Il Bertoldo

Nessun commento: