20 settembre 2011

Parliamo dell'Euro

L’euro, la moneta unica di buona parte dei paesi aderenti all’Unione Europea, venne ideata e teorizzata negli anni novanta del secolo scorso. Inizialmente aderirono undici paesi, cui in seguito se ne aggiunsero altri sei, per un totale, ad oggi, di diciassette paesi.
Le condizioni per aderire all’Eurozona vennero fissate in un convegno a Maastricht in Olanda e sembrano abbastanza strette, ma come vedremo non ci sono condizioni senza eccezioni. I requisiti per l’adesione furono fissati così: debito pubblico non superiore al 60% del PIL, deficit annuale non superiore al 3% del PIL, inflazione inferiore al 3%, tasso di interesse non superiore all’1,5% rispetto alla media degli altri paesi. La circolazione effettiva dell’euro iniziò nel 2002.
Fin dall’inizio ci furono delle eccezioni: i debiti pubblici di Italia e Belgio si aggiravano intorno al 100%. Il Presidente Prodi in particolare insistette molto per essere ammesso più che altro perché una radicale diminuzione degli interessi sul debito pubblico italiano avrebbe permesso di mostrare una, più che altro fittizia, virtuosa diminuzione del deficit annuale. Come è noto, oggi il debito italiano raggiunge il 120% del PIL, a riprova delle virtù taumaturgiche dell’adozione dell’euro.
Noi non siamo eminenti economisti come sono ritenuti gli sponsors dell’euro compreso il nostro Presidente della Repubblica, ma ci permettiamo di rilevare alcuni aspetti che ci sembrano contraddittori quando non addirittura illogici ed assolutamente dannosi.
La moneta, oltre ad assolvere il ruolo di misuratore del valore e di mezzo necessario al realizzarsi degli scambi, costituisce un elemento fondamentale per la realizzazione ed il controllo delle politiche economiche, fiscali e sociali dei vari paesi. Infatti i governi possono intervenire in vari modi sulla moneta, in base alle politiche economiche e sociali che si prefiggono di realizzare: modificandone il valore sul piano internazionale (svalutazione o rivalutazione), influendo sulla sua quantità per favorire o frenare lo sviluppo o le tendenze inflazionistiche (immissione o ritiro di liquidità dal mercato) ed in numerosi altri modi.
Che senso ha avuto che un certo numero di governi rinunciasse ai propri poteri in campo monetario senza peraltro che si prevedesse alcun tipo di coordinamento delle politiche economiche e fiscali? Sarebbe come se in un paese le forze di polizia fossero unificate, ma restassero in vigore dei codici penali, stradali eccetera diversi per ogni regione. Il caos, come poi è successo in campo monetario, è inevitabile.
D’altra parte, che senso ha imporre dei limiti precisi all’indebitamento dei paesi aderenti (il famoso 60% del PIL) e poi permettere dei deficit di bilancio non superiori al 3% annuale? In dieci anni, al 3% annuale, un paese in regola al momento dell’ammissione, si troverebbe esposto in maniera intollerabile, ed a quel punto qual è il solo rimedio previsto? Una pesantissima multa, che non farebbe che aggravare il già quasi insopportabile deficit del paese in questione.
Non sarebbe stato molto più ragionevole imporre regole che prevedessero il raggiungimento del pareggio di bilancio e la riduzione dell’indebitamento?
E poi, come è possibile che in una organizzazione che si richiama al sistema democratico – e che peraltro non è affatto democratica – gli organi di governo dell’organizzazione stessa deleghino la gestione di una funzione fondamentale come la funzione monetaria ad una banca – la Banca Centrale Europea – che per sua natura non deriva i suoi poteri da alcuna investitura popolare ma è piuttosto l’espressione di interessi che non sono quelli della comunità ma quella di alcuni paesi od alcuni poteri più forti ed influenti degli altri?
Già al momento della determinazione del valore dell’euro nei confronti delle valute che esso avrebbe sostituito non si è tenuto alcun conto dell’effettivo potere di acquisto di ciascuna moneta, ma soltanto di una più o meno fittizia valutazione che i mercati avevano dato in proposito, dando origine in molti casi a gravissimi fenomeni inflattivi che ancora adesso stiamo scontando e che sono forse la causa non ultima dell’enorme disagio che l’economia continentale sta subendo attualmente.
In conclusione ci sembra ragionevole concludere che l’aspirazione, nobile di per sé, a favorire una sempre maggiore integrazione fra i paesi europei, dimenticandosi di quel fondamentale principio democratico che dovrebbe costituire la base di ogni tentativo di unificazione e soprattutto la fretta nel fingere che le economie dei paesi partecipanti cominciassero ad unificarsi (non dimentichiamo che l’Unione Europea nacque come Comunità Economica Europea) ha dato frutti i buona parte contrari alle aspettative.
Vale la pena di ricordare due adagi popolari: quello sulle buone intenzioni di cui è lastricata la via dell’inferno e quello sulla fretta che causò la nascita dei gattini ciechi.
Il Bertoldo

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