03 novembre 2011

Stato Sociale

STATO SOCIALE

Lo stato ha come sue funzioni fondamentali di garantire la difesa del paese, la sicurezza dei cittadini, l’amministrazione della giustizia, l’emanazione di leggi che assicurino una pacifica convivenza, la gestione della moneta. Com’è facile constatare tutti i giorni, lo stato italiano non sembra in grado di assolvere in maniera decente a questi suoi compiti basilari. Alla gestione della moneta ha già definitivamente rinunciato con l’adesione all’area euro, quanto a giustizia e sicurezza dei cittadini, la situazione è sotto l’occhio di tutti e non è certo consolante.
Tuttavia con l’affermarsi di uno stato garantito da una costituzione e con il diffondersi del diritto di voto a tutti i cittadini è sembrato giusto e doveroso che lo stato si facesse carico di assicurare un certo benessere ed il diritto alla salute ed alla sopravvivenza a tutti, soprattutto ai più deboli e bisognosi. E’ nato così quello che si è convenuto di definire Stato Sociale (welfare state per gli anglofoni).
Evidentemente nell’elaborazione del concetto di stato sociale si sono scontrate due concezioni opposte. Da un lato la teoria che lo stato, supremo organo, dovesse farsi carico di tutte le esigenze dei propri cittadini, con la massima larghezza di obbiettivi: lo stato, unico soggetto autorizzato a decidere tutto ed in sostanza unico titolare di quanto esiste e si produce nel paese. Protezione dalla culla alla tomba. Una simile concezione dei compiti dello stato comporta ovviamente la necessità di disporre di grandi mezzi finanziari, che non possono essere reperiti che nelle tasche di chi produce o attinti dal sistema indebitandosi in maniera esagerata.
L’altra concezione dello stato sociale mette piuttosto l’accento sul senso di responsabilità degli individui, che debbono provvedere autonomamente e nella misura del possibile alle proprie esigenze presenti e future, lasciando allo stato l’onere di intervenire solo nei casi più gravi. In buona sostanza si può dire che un sistema addossa tutta la responsabilità allo stato, mentre l’altro la addossa in primis al singolo cittadino.
Naturalmente ciò che nella realtà si è effettivamente realizzato è un sistema che, ove più ove meno, mescola le due concezioni. Per quanto riguarda l’Europa, i settori nei quali lo stato ha ritenuto proprio dovere intervenire sono la previdenza, la salute ed i sussidi ai veramente bisognosi. Tutto il problema, non solo dello stato, ma di tutti i cittadini che in ultima analisi devono sopportarne il costo, sta nelle misure adottate effettivamente, che possono gravare oltre misura sul prodotto nazionale fino al punto di costituire un grave freno allo sviluppo generale e quindi, di riflesso, sulla possibilità di continuare ad erogare i benefici previsti.
L’ufficio studi della UE ha redatto un documento che esamina la situazione previdenziale nei vari paesi europei e ne proietta le previsioni al 2060. Questa parte ci sembra piuttosto velleitaria, in quanto prevedere quale sarà la situazione fra cinquant’anni non sembra rientrare tra le possibilità umane. Pensiamo solo ai cambiamenti enormi avvenuti dal 1960 ad oggi: sviluppo allora inimmaginabile dell’elettronica, automazione industriale, emergere di nuove possibilità di comunicazione e di trasporto, allungamento delle prospettive di vita, movimenti migratori di massa e praticamente incontrollati, emergere prepotente di paesi allora del tutto ignoti dal punto di vista economico eccetera. Per fare solo qualche esempio, nel 1960 per vedere la televisione si scendeva al bar sotto casa, oggi la si vede su un telefonino portatile, ed è possibile tenere video conferenze con interlocutori dall’altra parte del mondo. E ancora, si può viaggiare in zone del tutto sconosciute guidati dai segnali che pervengono dai satelliti artificiali, e mille altri esempi che ciascuno può elencare e ricordare.
A questo proposito è interessante osservare quale sia la situazione in Italia. Complessivamente la spesa sociale assorbe circa un quarto del PIL, superiore a quella di tutti gli altri paesi, eccetto Francia e Belgio. La quota più forte è assorbita (14% del PIL) dalle pensioni, per vari motivi. Innanzitutto la bassa età alla quale si va in pensione. Vengono poi altri problemi: il collegamento – fino a qualche anno fa – del livello della pensione ai redditi percepiti in età lavorativa e non ai contributi versati; la erogazione di pensioni di anzianità – ambito che dovrebbe essere riservato alle compagnie di assicurazione -; le troppe pensioni di invalidità erogate spesso per motivi elettorali o comunque parassitari; le pensioni erogate a persone che nulla hanno mai versato per la previdenza (grazie alla finzione dei “contributi figurativi) e mille altre distorsioni che da un lato provocano un ingente prelievo fiscale, giunto a livelli non più sopportabili dal paese, e dall’altro non consentono di erogare a tutti gli aventi diritto delle pensioni dignitose.
L’altro settore dello stato sociale che assorbe ingenti somme (circa il 6% del PIL) è la sanità. Non è sensato erogare tutto il servizio, con sprechi enormi, gratuitamente ed a tutti, e di una qualità che spesso, soprattutto nelle regioni meridionali, è meno che mediocre, sebbene sia più costosa che altrove. E non è certo l’introduzione del ticket sulle prestazioni sanitarie a sistemare la faccenda.
Ci sono poi i sussidi erogati essenzialmente a chi è senza lavoro. Il concetto è certamente valido, ma troppi sono i casi di disoccupati a vita, che in realtà svolgono attività in nero quando non addirittura delittuosa.
E’ evidente a chiunque che senza interventi mirati e di rottura di questa situazione non sarà in alcun modo possibile ridurre il carico fiscale e quindi far ripartire lo sviluppo. E tanto meno sarà possibile ridurre l’indebitamento pubblico, giunto ormai a livelli pericolosi, sia per la tenuta del sistema, sia per il grave impatto che potrebbe avere sui conti pubblici un aumento anche di un solo punto dei tassi di interesse.
Se di quanto il paese produce circa la metà viene prelevato dallo stato che di per sé non produce altro che servizi scadenti e costosissimi non sarà in alcun modo possibile far ripartire l’economia. Essa infatti richiede forti investimenti privati per migliorare la produttività e battere la concorrenza dei cosiddetti “emergenti” che sono ormai ben emersi e minacciano ogni giorno di più il nostro quadro economico e di conseguenza il nostro benessere e così facendo renderanno impossibile mantenere lo standard di welfare al quale ci siamo di buon grado abituati, avviandoci verso una sicura anche se lenta decadenza.
Il Bertoldo

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