14 marzo 2012

Casta e Democrazia

Da qualche mese, com’è noto, il nostro paese è guidato da un governo che non è stato eletto da nessuno, costituito da tecnici, professori, alti funzionari, banchieri, senza alcun componente estratto dalla politica professionale. Questo fatto ha messo un po’ la sordina alle vivacissime critiche che fino a poco tempo fa venivano rivolte a quella che si è convenuto di chiamare “la casta”: tuttavia il problema esiste ancora e sarebbe opportuno cogliere la presente situazione di parziale e temporaneo accantonamento della politica politicante per riflettere seriamente sul fenomeno e cercare di approntare i rimedi che consentano, alla cessazione dell’incarico dei tecnici, di eliminare le distorsioni che durante molti decenni di lassismo e di interessata sordità hanno caratterizzato la nostra classe politica.
Abbiamo ritenuto non del tutto inutile esaminare quali siano le principali distorsioni e suggerire qualche timido e modesto intervento. Questo anche al fine di rimediare non solo al disamore che molti manifestano nei confronti della politica, ma addirittura a quella strisciante ostilità verso tutte le manifestazioni politiche, che non può che sfociare in un sostanziale avvilimento della democrazia stessa.
E’ ovvio che non si può abolire la politica partecipativa se non abolendo anche ogni espressione di democrazia e che l’esercizio del proprio diritto a partecipare alla vita politica non può essere riservato ai ceti abbienti. E’ però anche vero che, se si vuole veramente che in Italia ci sia democrazia, si deve rispettare il volere degli elettori. Vale la pena di ricordare a tale proposito che un referendum popolare – massima espressione della democrazia – ha sancito anni fa a grande maggioranza l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti. Esso è stato reintrodotto cambiandogli nome (rimborso elettorale). Qui non si tratta di un semplice spreco, si tratta di un vero e proprio abuso commesso proprio da coloro che dovrebbero essere i rigidi rappresentanti e custodi del volere del popolo, e che troppo spesso si occupano soprattutto di fare i propri interessi a spese altrui.
Non mi si venga a raccontare poi il solito ritornello della precarietà dell’impegno politico. Sono troppi coloro che sono eletti ininterrottamente, all’una o all’altra carica, per decenni, e che quando non riescono ad essere rieletti trovano collocamento in strutture pubbliche. Quanto poi al rischio di non elezione è forse il caso di ricordare, a laici e ad osservanti, la parabola del fattore infedele. Richiesto di rendere conto della sua amministrazione, cercò il favore dei debitori del padrone abbonando loro – a spese del padrone – parte del loro debito.
Del pari occorre seriamente considerare che, se è vero che le cariche elettive sono il sale della democrazia, si ha l’impressione che di sale ce ne sia talvolta un po’ troppo. Parlamento europeo, parlamenti nazionali, regionali, provinciali, comunali, circoscrizionali eccetera sembrano un po’ troppi. Per esempio è noto che esiste una miriade di comuni dal numero di abitanti assolutamente inadeguato, ciascuno però con il proprio consiglio comunale, giunta e sindaco. Ancora, le provincie solo un paio di decenni fa erano novanta. Con la realizzazione dell’ordinamento regionale, che ha assorbito quasi tutte le competenze provinciali, sono state create una decina di nuove provincie, in genere non solo del tutto inutili, ma addirittura insignificanti.
Un altro capitolo di costi ingiustificati della politica è rappresentato – corruzione a parte, che pure sembra essere sempre molto diffusa e prospera – dagli sprechi indiretti costituiti dalle assunzioni clientelari (forestali della Calabria, dipendenti regionali siculi eccetera), dalle numerose opere pubbliche avviate solo per motivi elettorali, senza che esse siano poi servite a qualcosa, se non a dare origine a spese del tutto incontrollate, inutili e parassitarie, e si potrebbe continuare nell’elenco degli sprechi di denaro pubblico fatti solo per motivi di interesse personale, anche se non necessariamente finanziario.
Quanto poi ai cosiddetti “vitalizi” riservati agli ex parlamentari, al di là di ogni altra considerazione di opportunità, c’è da rilevare una serie di curiose contraddizioni. Da un lato si considera sufficiente per un comune cittadino una pensione minima di qualche centinaio di euro, dall’altra, per quanto riguarda i parlamentari, si parte da livelli iniziali riferiti a chi ha esercitato la funzione elettiva anche per breve tempo, che corrispondono alla pensione di un buon dirigente privato dopo quarant’anni di contribuzione. Inoltre il comune pensionato che continui a svolgere un’attività lavorativa vede la propria pensione decurtata seriamente – cosa che peraltro sembra essere un incentivo al lavoro “nero” - mentre ciò non accade per il “vitalizio”, che anzi continua ad essere erogato nella sua totalità, anche se il beneficiario continua a svolgere attività remunerata, spesso addirittura in strutture pubbliche.
Un’ultima considerazione. A mio parere la politica non può e non deve essere una professione, ma solo un’attività che alcuni volonterosi svolgono mettendo a disposizione dei propri concittadini le proprie esperienze e la propria conoscenza della vita di tutti i giorni e di tutti i comuni mortali. Cosa possono sapere delle esigenze e delle necessità dei cittadini tanti che fin dalla prima giovinezza si sono occupati esclusivamente di politica e degli annessi giochi, e che pur pretendono di guidare il paese, non avendo mai lavorato un solo giorno?
Questa non è demagogia né qualunquismo. A noi sembra realismo. Chi infatti assumerebbe come capo di un’azienda una persona senza alcuna esperienza specifica e che non sa nulla né di amministrazione né del prodotto né di tutto ciò che costituisce la sostanza della società che sarebbe chiamato a gestire?
Forse un rimedio – anche se parziale – potrebbe consistere nel limitare a due sole legislature consecutive la permanenza in assemblee elettive (parlamento, consigli regionali e simili), dopo di che il politico dovrebbe restare fuori per almeno una o due legislature, peraltro senza poter occupare posti di qualsivoglia tipo in enti o strutture sia pur lontanamente collegati al settore pubblico. In altre parole trovandosi una occupazione – non una sinecura – non mantenuta a spese dei contribuenti. Non ignoriamo che l’ingegnosità italica, particolarmente vivace quando si tratta di farsi gioco delle leggi, troverebbe dei rimedi: anche i privati, in cambio di favori già concessi o promessi per il futuro potrebbero aiutare i tapini a sopravvivere, ma forse varrebbe la pena di provarci. Sempre che la “casta” sia disposta a porre volontariamente un limite alle proprie (il)legittime aspirazioni!
Il Bertoldo

2 commenti:

Il solito Anonimo ha detto...

Il governo in Italia non si elegge, ma è il parlamento che, eletto, vota la fiducia al governo.

Tuttavia è uso che il presidente della Repubblica dia l'incarico di formareil governo ad un membro del parlamento (in genere un esponente dello schieramento che ha vinto le elezioni) e difatti il buon Napolitano ha pensato bene di fare Monti senatore a vita e poi dargli l'incarico.

L'inganno sta nel fatto che noi abbiamo votato per degli schieramenti che al momento non esistono più e il presidente della repubblica avrebbe dovuto mandarci alle elezioni.

Purtroppo abbiamo un presidente della repubblica che se ne infischia della Costituzione e dei suoi doveri (tra i quali quelli di governo della magistratura) inventandosene altri mai esistiti.

baron litron ha detto...

un modo semplicissimo per evitare arrichimenti indebiti dei politici c'è: all'eletto si fa un marchio in fronte, universalmente riconosciuto. quindi gli si cuciono le tasche, in tutti i sensi. il rappresentante del popolo NON PAGHERA' MAI NULLA durante il suo mandato, tutti i conti di tutte le spese verranno coperti dal parlamento. non sarà retribuito, ma potrà alloggiare gratis ovunque,e mangiare gratis ovunque, e spostarsi gratis ovunque (in fondo è già così). verranno garantiti il mantenimento del posto di lavoro, se pubblico, l'amministrazione controllata dei beni, in qualsiasi caso, la possibilità di esercitare l'eventuale professione, come già avviene ora.
con una piccola ma significativa clausola: se gli si trova addosso un solo centesimo perde immediatamente il posto E la possibilità di candidarsi nuovamente.

funzionerebbe?