10 aprile 2012

Trasparenza

In queste ultime settimane, su iniziativa della magistratura, sono scoppiati due scandali che hanno rappresentato, e continuano a rappresentare, un invito a nozze per tutti i mezzi di comunicazione – stampa, radio, TV, internet – e per tutti i moralisti da strapazzo che pullulano non solo fra i politici. Si tratta dei casi dei tesorieri della ex-Margherita e della Lega, che si sarebbero appropriati di più o meno ingenti somme di pertinenza dei rispettivi partiti, somme provenienti dai cosiddetti “rimborsi elettorali”, per uso proprio o per uso privato di alcuni esponenti degli stessi partiti. La cosa ha suscitato, com’era prevedibile, un’ondata di indignazione ed ha provocato una nuova fase di notorietà ad alcuni magistrati già ben conosciuti per le loro indagini clamorose e generalmente finite in nulla. Non abbiamo alcuna remora a ritenere che fra quelle accuse ve ne siano alcune, se non tutte, rispondenti a verità: dopo tutto non esistono partiti di assoluta onestà e soprattutto gli uomini, in politica e altrove, sono da sempre soggetti alle tentazioni, soprattutto se si tratta di quattrini. Tuttavia questi fatti suscitano in noi tutta una serie di interrogativi ai quali non riusciamo a trovare risposta. Cercheremo di esporli semplicemente e con ordine. Un referendum di alcuni anni fa, approvato da una maggioranza schiacciante di elettori, pose fine al finanziamento pubblico dei partiti. Passato qualche mese il Parlamento decise di infischiarsene della volontà dei cittadini ed escogitò una furberia per continuare a versare soldi pubblici nelle casse dei partiti, enti privati. Per un ipocrita senso di pudore il nuovo sistema venne chiamato “rimborso elettorale” ed è basato sul numero di voti che ogni partito raccoglie nelle varie tornate di elezioni. Si partì con ottocento lire per ogni voto raccolto (pari a 40 centesimi di euro) per finire attualmente con 5 euro per voto (pari a circa 10.000 lire), con uno scandaloso incremento di ben 12,5 volte, alquanto superiore al tasso di inflazione (che per quanto riguarda per esempio la rivalutazione delle pensioni viene invece sostanzialmente ridotto o sospeso del tutto). Non risulta che i partiti, destinatari di queste pubbliche sovvenzioni, siano tenuti a dimostrare l’uso fatto di queste somme, chiaramente superiori di molto alle effettive spese elettorali. Quindi se ne dovrebbe dedurne che essi possono farne insindacabilmente l’uso che credono, e che la magistratura, salvo il caso di una denuncia esplicita da parte di qualche esponente del partito, non ha alcun titolo per interessarsene, e quindi l’apertura di queste indagini appare del tutto abusiva e con ogni verosimiglianza motivata unicamente da ragioni extra giudiziarie, politiche o di interesse personale dei magistrati coinvolti. D’altra parte il fatto che non sembra essere compito della magistratura indagare su quanto i partiti fanno dei propri proventi o patrimoni è provato da due episodi particolarmente significativi. Uno riguarda l’IDV, di cui si è detto che i fondi statali per rimborso elettorale anziché dal partito venissero incamerati da una fondazione di proprietà del segretario, Di Pietro, e dai suoi famigliari. L’altro si riferisce all’uso di beni del partito AN che il segretario destinò, con vendite fittizie mediante società offshore, al proprio cognato. Nei due casi, pure in presenza di esplicite denuncie, la magistratura decise che non era il caso di interessarsi della cosa. Due pesi e due misure? Tralasciando i casi specifici è di certo il caso di ricordare che, a seguito dello scandalo Lega, è stato tutto un agitarsi in Parlamento in vista di una nuova legge (è ormai costume che ogni volta che si presenta un qualsiasi problema si invochi una nuova legge ad hoc, che si aggiungerà alle innumerevoli leggi già esistenti, in tal modo accrescendo ulteriormente la confusione e le difficoltà di applicazione a tutto vantaggio dei furbastri e dei loro azzeccagarbugli). Nel breve spazio di qualche ora sono stati depositati ben diciotto disegni di legge, tutti naturalmente con carattere di urgenza, ispirati all’ideale della “trasparenza”, senza peraltro che venisse indicato cosa si intenda in questo caso con la parola magica, data la ben nota propensione dei nostri concittadini, anche se eletti nostri rappresentanti, ad interpretare nel modo più confacente ai propri interessi qualunque disposizione di legge. Ciò che salta subito agli occhi è che sembra che nessuno di questi progetti preveda la cosa più naturale e semplice per evitare gli abusi lamentati: ridurre drasticamente, se proprio non li si vuole eliminare, i cosiddetti “rimborsi elettorali”, definizione che, com’è noto, cela una distribuzione del tutto abusiva dei fondi pubblici a soggetti non sottoposti ad alcuna regola o controllo. Parafrasando il detto latino, “hic (et sic) manebimus optime”…. Il Bertoldo

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