24 maggio 2012

Antipolitica


Il risultato non troppo a sorpresa delle elezioni amministrative ha dato la stura ad una serie di commenti, da parte di tutti gli schieramenti politici, che sembrano dimostrare che nessuno ha capito niente di ciò che sta accadendo da un paio di decenni. Tralasciamo ogni considerazione sulle dichiarazioni “a caldo”: c’è chi ha vinto, e se ne rallegra, chi ha “non vinto” e se ne rallegra, chi invece ha perso, lo dichiara, ma ha già in mente rivoluzionarie soluzioni per ribaltare molto presto l’evidente insuccesso. Quello che non si è capito è che l’unico partito veramente maggioritario nel paese è quello dell’astensione: e non si dica che questa è una manifestazione dell’antipolitica, com’è ormai diventato abituale affermare.
La realtà è ben diversa: non di antipolitica si tratta, ma di avversione ai partiti esistenti, fossilizzati attorno ad esecrabili giochi di potere e di interesse. Si parla continuamente di democrazia, della necessità di dar voce al popolo, e simili banalità, ma si evita accuratamente di riconoscere la vera essenza del nostro sistema politico. Non di democrazia si tratta ma di un vero e proprio sistema oligarchico. Cos’è infatti l’oligarchia? “Un regime politico in cui il potere è esercitato da pochi, generalmente operanti nell'interesse proprio e a danno della maggioranza”, come lo definisce il Grande Dizionario Italiano di Aldo Gabrielli.
I pochi di cui si parla sono i mummificati esponenti dei partiti tradizionali, presenti nelle stanze del potere da decenni, che si sono dimostrati ampiamente incapaci di risolvere qualunque problema del paese. Ed ogni volta che si presenta una faccia nuova in questi partiti, si tratta sempre di qualcuno cooptato dai senatori e che si inserisce immediatamente nell’andazzo generale. Capita che i dinosauri della politica dichiarino solennemente che occorrono facce nuove, giovani, ma comunque essi non ci pensano minimamente a togliersi di mezzo.
Invece i cittadini, nauseati dall’andazzo pluridecennale, sono desiderosi di facce e discorsi veramente nuovi. E’ così che si spiega la trionfale accettazione di Berlusconi venti anni fa: oggi ridotto anche lui a rottame della politica, perché attaccato non solo dagli avversari politici e dalla magistratura, ma addirittura da coloro che erano saliti sul suo carro al momento del successo e poi l’hanno abbandonato, tradito, per meschini interessi di carriera e forse anche d’altro genere.
Ed allo stesso modo si spiega il successo odierno di Beppe Grillo, un guitto il cui unico, ma impagabile pregio, è di dire senza peli sulla lingua, spesso in maniera un po’ troppo esuberante,  quello che i cittadini pensano. Un successo ottenuto senza un chiaro programma politico, se non un cumulo di luoghi comuni, ma che ha il  vantaggio di essere non solo facilmente compreso, ma di dare la chiara impressione di non essere frutto delle fumose elucubrazioni dei mandarini della politica tradizionale.
Analogamente può essere classificato l’iniziale consenso nei confronti del governo dei “tecnici”, dimostratosi poi quasi inetto come i suoi predecessori.
Solo un generale sussulto seguito dalla messa a riposo dei dinosauri potrebbe portare un salutare mutamento della politica italiana in senso veramente democratico. Ma chi può credere o per lo meno sperare che ciò avvenga?
Il Bertoldo

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