Il risultato non
troppo a sorpresa delle elezioni amministrative ha dato la stura ad una serie
di commenti, da parte di tutti gli schieramenti politici, che sembrano
dimostrare che nessuno ha capito niente di ciò che sta accadendo da un paio di
decenni. Tralasciamo ogni considerazione sulle dichiarazioni “a caldo”: c’è chi
ha vinto, e se ne rallegra, chi ha “non vinto” e se ne rallegra, chi invece ha
perso, lo dichiara, ma ha già in mente rivoluzionarie soluzioni per ribaltare
molto presto l’evidente insuccesso. Quello che non si è capito è che l’unico
partito veramente maggioritario nel paese è quello dell’astensione: e non si
dica che questa è una manifestazione dell’antipolitica, com’è ormai diventato
abituale affermare.
La realtà è ben diversa:
non di antipolitica si tratta, ma di avversione ai partiti esistenti,
fossilizzati attorno ad esecrabili giochi di potere e di interesse. Si parla
continuamente di democrazia, della necessità di dar voce al popolo, e simili
banalità, ma si evita accuratamente di riconoscere la vera essenza del nostro
sistema politico. Non di democrazia si tratta ma di un vero e proprio sistema
oligarchico. Cos’è infatti l’oligarchia? “Un regime politico in cui il potere è
esercitato da pochi, generalmente operanti nell'interesse proprio e a danno
della maggioranza”, come lo definisce il Grande Dizionario Italiano di Aldo
Gabrielli.
I pochi di cui si parla sono i mummificati esponenti dei partiti
tradizionali, presenti nelle stanze del potere da decenni, che si sono dimostrati
ampiamente incapaci di risolvere qualunque problema del paese. Ed ogni volta
che si presenta una faccia nuova in questi partiti, si tratta sempre di
qualcuno cooptato dai senatori e che si inserisce immediatamente nell’andazzo
generale. Capita che i dinosauri della politica dichiarino solennemente che
occorrono facce nuove, giovani, ma comunque essi non ci pensano minimamente a
togliersi di mezzo.
Invece i cittadini, nauseati dall’andazzo pluridecennale, sono
desiderosi di facce e discorsi veramente nuovi. E’ così che si spiega la
trionfale accettazione di Berlusconi venti anni fa: oggi ridotto anche lui a
rottame della politica, perché attaccato non solo dagli avversari politici e
dalla magistratura, ma addirittura da coloro che erano saliti sul suo carro al
momento del successo e poi l’hanno abbandonato, tradito, per meschini interessi
di carriera e forse anche d’altro genere.
Ed allo stesso modo si spiega il successo odierno di Beppe Grillo, un
guitto il cui unico, ma impagabile pregio, è di dire senza peli sulla lingua,
spesso in maniera un po’ troppo esuberante,
quello che i cittadini pensano. Un successo ottenuto senza un chiaro
programma politico, se non un cumulo di luoghi comuni, ma che ha il vantaggio di essere non solo facilmente
compreso, ma di dare la chiara impressione di non essere frutto delle fumose
elucubrazioni dei mandarini della politica tradizionale.
Analogamente può essere classificato l’iniziale consenso nei confronti
del governo dei “tecnici”, dimostratosi poi quasi inetto come i suoi
predecessori.
Solo un generale sussulto seguito dalla messa a riposo dei dinosauri
potrebbe portare un salutare mutamento della politica italiana in senso
veramente democratico. Ma chi può credere o per lo meno sperare che ciò
avvenga?
Il Bertoldo
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