Alcuni giorni fa il
Presidente del Consiglio, intervenuto ad un convegno a Palermo, ha testualmente
affermato: “Il rigore dei conti pubblici, lo dico a scanso di equivoci, non è
in discussione. Questa deve essere una convinzione radicata in tutti i paesi.
Dobbiamo essere grati a chi ha tracciato la strada. E’ il caso della Germania”.
Ed ha aggiunto: “Le istituzioni europee hanno agito in modo tardivo, miope e
unidirezionale”. Queste dichiarazioni meritano certamente alcuni commenti.
Ricordiamo che poco
più di sei mesi fa il Presidente della Repubblica diede l’incarico al professor
Monti di costituire un governo di tecnici con il preciso incarico di mettere in
atto tutto quanto da essi ritenuto necessario per far uscire l’Italia dalla
grave crisi nella quale si trova da vario tempo, crisi resa manifesta ed
aggravata dal continuo aumento dello “spread”. In definitiva si trattava di
favorire una ripresa dell’economia che ridesse fiducia agli investitori
internazionali, sia grazie ad un riordino dei conti pubblici sia grazio al
rilancio dei consumi e della produzione.
Il nuovo governo,
formato da esimi professori, banchieri, alti funzionari pubblici, tutti privi
di esperienze politiche, interpretò l’incarico come l’autorizzazione a
sperimentare sul corpo del paese strane teorie suggerite (o piuttosto quasi
imposte) dalla Germania, potenza egemone in Europa. Quindi venne assunto come
impegno prioritario il raggiungimento in tempi brevissimi del pareggio di
bilancio. E ciò attraverso un generalizzato e pesante aumento dell’imposizione
fiscale, cui peraltro non ha fatto riscontro alcun provvedimento di revisione
dell’enorme spesa pubblica, troppo spesso inutile e parassitaria.
Inoltre, come
dimostra la citazione del premier riportata in apertura, non fu possibile
ottenere dalla Cancelliera l’accettazione delle necessarie modifiche alla
struttura di un’area monetaria comune: nuovi più ampi poteri alla Banca
Centrale, emissione di bonds comunitari, immissione di liquidità nel sistema
per favorire lo sviluppo, eccetera. Peraltro, al fine di salvare alcuni paesi
il cui tracollo avrebbe potuto causare la fine dell’area euro, fu deciso, in
mancanza dei necessari interventi della Banca Centrale e della garanzia
comunitaria ai debiti sovrani dei paesi aderenti all’area, un importante
intervento finanziario dei singoli paesi. Per l’Italia il gravame fu di molte
decine di miliardi di euro, pur in presenza di un forte debito pubblico.
La cura, com’era
prevedibile anche dai comuni mortali, ma non dai nostri governanti “tecnici”,
più convinti delle teorie che studiosi della realtà (“val più la pratica della
grammatica” recita un notissimo proverbio) non fece che aggravare la malattia.
La crisi si trasformò rapidamente in aperta recessione e l’incremento delle
imposte si è tradotto in una seria diminuzione delle entrate fiscali,
conseguenza del fatto che le risorse del paese che produce e lavora vengono
sperperate per finanziare una spesa pubblica improduttiva e per gratificare le
mire egemoniche e tutt’altro che solidali della Germania.
In conclusione si
deve per forza constatare che il governo nominato dalla Presidenza della
Repubblica al di fuori delle norme costituzionali ed in nome della grave
emergenza ha completamente disatteso il compito affidatogli, ha dimostrato
totale incompetenza ed incapacità ed ha preferito seguire pedissequamente le
istruzioni di un governo straniero, disinteressandosi completamente di agire
nel solo ed esclusivo interesse del proprio paese.
La maestrina sarà
soddisfatta: il compito a casa è stato svolto esattamente come lei voleva, per
la maggior gloria ed il maggior benessere del Reich.
Il Bertoldo
Nessun commento:
Posta un commento