Il debito è l’obbligo
giuridico di fornire a qualcuno una certa prestazione, in particolare di
restituire denaro. Colui che ha prestato il denaro e nei confronti del quale
corre l’obbligo della restituzione è il creditore.
Normalmente un
soggetto tende ad indebitarsi per far fronte a specifiche necessità, le più
comuni sono la mancanza temporanea di liquidità o l’intenzione di sviluppare
un’attività produttiva per la quale non si dispone della totalità delle somme
necessarie. E’ norma generale che si presta denaro solo a chi si ritiene che
sia in grado di restituirlo, altrimenti non di un prestito si tratta ma di un
dono, o di una elargizione a titolo benefico o di generosità gratuita.
Normalmente ogni prestito comporta il pagamento di un interesse, che
rappresenta il compenso a favore del creditore per il fatto di essersi privato
temporaneamente della disponibilità del denaro prestato ed a copertura del
rischio di eventuale insolvenza.
Tutto ciò si
riferisce ai rapporti fra privati. Completamente diverso è il caso in cui il
debitore sia uno stato. Contrariamente a quanto avviene in campo privato, la
maggior parte degli stati si indebitano per far fronte a spese che superano le
entrate, ma senza mettere in atto alcun provvedimento che faccia presagire, in
un’epoca più o meno lontana, che i debiti contratti potranno essere ripagati.
Cosa che può avvenire solo in due modi: o attraverso la cessione di beni di
proprietà statale oppure mettendo in opera politiche che consentano di disporre
di entrate superiori alle spese. Cosa che si può ottenere sia aumentando le entrate, attraverso un
inasprimento del prelievo fiscale, sia razionalizzando la spesa al fine di
ridurla senza intaccarne od anzi migliorandone la qualità.
Naturalmente se si
esagera nell’aumento del prelievo fiscale senza agire sulla spesa si otterrà
uno strangolamento dell’economia e, come inevitabile risultato, una riduzione
del gettito e quindi un aggravamento della situazione.
Naturalmente il
debito pubblico può essere misurato in due modi: in valore assoluto oppure in
rapporto al PIL. L’inflazione e la conseguente svalutazione della moneta può
portare ad una riduzione del valore “reale” del debito pubblico e quindi
sostanzialmente a defraudare i creditori. Essa può avere anche la conseguenza di
un apparente incremento del PIL – a causa dell’aumento dei prezzi – e quindi di
un miglioramento del rapporto debito/PIL.
Una cosa è certa. Se
il bilancio pubblico presenta costantemente un disavanzo il debito pubblico non
potrà che crescere ed affermare il contrario costituisce solo una grande
sciocchezza.
Vediamo ora cosa è
successo in Italia. Analizzando il rapporto debito/PIL notiamo che esso è quasi
sempre stato allarmante, fin dalla costituzione del Regno d’Italia. Esso ha
superato il valore di 100% solo in tre occasioni. Tra il 1887 ed il 1900,
quindi per 14 anni, poi tra il 1919 ed il 1925, periodo postbellico, per 7 anni
ed infine fra il 1991 ed oggi, per oltre vent’anni e, per ora, senza alcuna
prospettiva che possa ridursi significativamente in breve tempo. Con
l’aggravante che l’ammontare “ufficiale” del debito, calcolato unicamente in
base ad un bilancio di cassa, non tiene conto di una somma di circa 100
miliardi di debito pubblico nei confronti dei fornitori dello stato e dei
contribuenti, per un importo pari ad oltre il 5% del PIL nazionale.
Esaminando
l’andamento del rapporto debito/PIL negli ultimi 50 anni troviamo i seguenti
valori: 1961 = 35,5%, 1971 = 46,4%, 1981 = 61,5%, 1991 = 103,1%, 2001 = 110%,
ed infine 2011 = 120%. Come si vede, l’aumento è stato vertiginoso soprattutto
nel decennio 1981/1991. Chi erano gli uomini che hanno retto il governo in quel
periodo? Alcuni sono defunti: Fanfani, Cossiga, Craxi ed altri, ma alcuni non
solo sono tuttora in vita, ma continuano ad occupare seggi in Parlamento ed in
qualche caso pretendono ancora di dire la loro: De Mita, Amato, Ciampi,
D’Alema, Berlusconi, Prodi.
Quali le cause
dell’imponente debito pubblico e della sua fulminea crescita? A nostro parere
una scriteriata politica di welfare, un esagerato livello di parassitismo, di
spreco e di corruzione, senza che a ciò abbia fatto riscontro un miglioramento
sia pur modesto dell’efficienza del paese. Anzi, l’Italia è stata sempre più
preda di acquisizioni da parte di gruppi stranieri, anche a causa delle
sciagurate politiche fiscali e regolamentari e di una burocrazia stupida,
inefficiente ed inutilmente rigida, dedita unicamente alla conservazione del
proprio posto e del proprio potere.
In queste condizioni
è evidente che il compito che il governo “tecnico” è chiamato a svolgere è
improbo, e nessuna responsabilità gli può essere attribuita per il passato. Ciò
che invece gli deve essere contestato è l’incomprensibile linea di condotta
scelta, ossia una pedissequa obbedienza ai diktat della Germania, rinforzata
dal reverente assenso delle istituzioni europee, e soprattutto un esagerato
ricorso alla leva fiscale senza peraltro alcun reale intervento sul lato della
spesa. _
Il risultato si
incomincia a vedere: grave rallentamento dell’economia, totale sfiducia dei
cittadini, crisi economica, finanziaria e sociale le cui conseguenze non sono
prevedibili - ma che forse non sono sgradite al nostro partner Germania -
crescente difficoltà a trovare fonti di rifinanziamento del debito in scadenza,
con l’inevitabile ricorso alle residue liquidità bancarie. In definitiva, visto
che il pubblico italiano non appare in questo momento interessato all’acquisto
di titoli di stato, si è fatto ricorso ad un trucco, deviando forzosamente
verso l’investimento in titoli di stato i risparmi dei cittadini, che
dovrebbero invece essere utilizzati per finanziare l’economia.
Nelle attuali
condizioni sembra si possa trarre solo una desolante conclusione. Anche
ammettendo che si riesca a modificare radicalmente la struttura dello stato non
è prevedibile che in tempi ragionevoli una parte significativa del debito
pubblico possa essere rimborsata. I padri scialacquatori lasceranno a carico
dei propri figli per molti decenni una imponente massa di debiti: proprio il
contrario di quanto si legge nei romanzi, ove di solito sono i figli che sperperano il patrimonio paterno. Con
l’aggravante che, almeno nei romanzi, lo sperpero provoca piaceri – gioco,
donne, lusso, viaggi - sia pur effimeri. Nel caso italiano invece la
dilapidazione è avvenuta a beneficio di ladri, corrotti e parassiti, senza
alcun tornaconto per chi è stato costretto dalla legge ad essere depredato.
Il Bertoldo
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