05 giugno 2012

Diktat


Da qualche lettore dei miei scritti mi vengono poste alcune domande: perché critichiamo in continuazione i diktat della Germania? E per quale motivo la Germania  dovrebbe lasciar fare e continuare ad essere la locomotiva efficiente che tira dei vagoni scalcagnati? Quest’ultima domanda è certamente condivisa da molti tedeschi e merita una risposta che chiarisca, nei limiti del possibile, la situazione.
Innanzi tutto rispondiamo sul perché critichiamo i diktat della Germania (sarebbe più corretto dire i diktat della Cancelliera Merkel). Forse non tutti ricordano che alla UE partecipano ben ventisette paesi e la cosiddetta Eurozona comprende diciassette paesi, di diversissime dimensioni e sviluppo: si va da Malta e Cipro a Germania, Francia ed Italia. In virtù di quale delega la Cancelliera si arroga il diritto di dettare le norme di comportamento di tutti gli altri?
Nessuno nega che la Germania sia un paese prospero e bene amministrato – anche se l’esistenza di un debito pubblico vicino al 90% del PIL non è proprio conforme ai principi di Maastricht - e che le decisioni importanti debbano essere prese all’unanimità e pertanto ciascun partecipante. Germania compresa, gode di un diritto di veto – anche se questo è il modo migliore per far sì che non si prendano decisioni perché c’è sempre qualcuno che non è d’accordo – ma non è pensabile, proprio in virtù della conclamata razionalità dei tedeschi, che non si siano resi conto fin dall’inizio  che il sistema era zoppo e non avrebbe potuto funzionare.
E qui veniamo alla seconda domanda. Perché la Germania dovrebbe farsi carico dei problemi dei paesi meno avveduti? Non dimentichiamo che sia l’UE, sia a più forte ragione l’eurozona prendono origine da un’idea di cooperazione e di unità. Ciò significa che i singoli partecipanti non possono più considerarsi del tutto autonomi nel loro agire come se queste organizzazioni non esistessero.
Abbiamo visto in una precedente occasione come il paragone fra i conti commerciali d’Italia e Germania, prima e dopo la creazione dell’euro, abbiano messo in luce l’enorme vantaggio accumulato dalla Germania, che ha addirittura invertito l’andamento precedente. Ciò non può essere solo la conseguenza della saggia gestione della politica tedesca, ma suggerisce il sospetto che la creazione della moneta unica sia stata furbescamente dimensionata sull’interesse del Reich, senza tener conto della situazione globale dei paesi aderenti.
In tutti i paesi esistono regioni più o meno virtuose, e sempre entrano in funzione meccanismi di solidarietà che consentono di mantenere una certa armonia fra le varie parti e quindi garantiscono la compattezza dell’unione. Se la Germania intende rafforzare l’Unione Europea e l’Unione Monetaria, che dopo tutto le ha permesso di conseguire ottimi risultati, deve accettare il principio di solidarietà, anche se ciò apparentemente le potrà costare qualcosa. A questo proposito ricordiamo che essa non si oppose ai vantaggiosi finanziamenti della BCE alle banche europee finchè ciò permise al proprio sistema bancario di fronteggiare i problemi derivanti dalla grande esposizione in titoli dei paesi ora deplorati: Grecia, Portogallo, Spagna Italia. Sistemata la cosa fu tutto un susseguirsi di “nein”.
In queste condizioni, non sembra che ci siano troppe alternative. O la Germania è convinta di avere un particolare diritto nella gestione dell’euro, ed allora deve decidersi a considerarlo come la propria moneta, avente corso legale – forse per motivi di vassallaggio – anche in molti altri paesi d’Europa, ed quindi dovrebbe dire chiaramente che chi non è d’accordo con questa impostazione è libero di andarsene. Oppure accetta di assumersi quei doveri di solidarietà che una unione di paesi liberi comporta, e che essa stessa, partecipando alla UE ed all’eurozona, si è implicitamente impegnata a rispettare. Non dimentichiamo che oltre il 40% delle esportazioni tedesche sono dirette verso i tanto deprecati ed indisciplinati “paesi del sud”.
Cosa verosimilmente potrebbe succedere se qualche paese decidesse di uscire dall’euro o fosse costretto a farlo? Gli scenari ipotizzabili sono evidentemente molto vari. Ciò che è certo è che le rinate monete nazionali subirebbero ben presto una più o meno pesante svalutazione, con influssi benefici per la ripresa delle esportazioni e con sicuri problemi per i paesi abituali esportatori verso gli “indipendenti”. Se lo stesso trattamento possa venire applicato anche al debito pubblico è tutto da vedere. Certamente ci sarebbe una forte spinta all’emissione di moneta, per finanziare la spesa pubblica e per ricapitalizzare le banche, oltre che per immettere la necessaria liquidità nell’economia, con conseguenze evidentemente inflattive ma al tempo stesso favorevoli ad un rilancio dell’economia e dell’occupazione.
Peraltro è certo che da parte dei governi dovrebbe essere perseguita comunque una decisa politica di aggiustamento dei conti pubblici, favorita sicuramente dal rilancio dell’economia, cui dovrebbe aggiungersi una riduzione del carico fiscale ed una completa serie di vere riforme, ormai attese senza esito da decenni: riforma della pubblica amministrazione, della magistratura, del welfare, della struttura stessa dello stato. Se questi indispensabili passi non venissero compiuti le prospettive non potrebbero che essere nere.
Il Bertoldo

1 commento:

Mauro ha detto...

Penso che fino a che acconsentiremo ad avere in Calabria 12000 forestali mentre in Trentino sono 400, oppure ad avere le spese del Quirinale superiori a quelle di Buckingam Palace la Germania ha tutto il sacrosanto diritto a puntare i piedi quando vogliamo infilare le mani nel suo portafoglio.