02 giugno 2012

Euro


Da qualche mese ormai, di fronte alla gravissima crisi che attanaglia buona parte del mondo ed in modo particolare la cosiddetta “Eurolandia”, politici, economisti, imprenditori, mezzi di comunicazione si interrogano – con opinioni spesso molto divergenti fra di loro – sul futuro.
In particolare il dibattito si è fatto molto più serrato e sostanzialmente pessimista alla luce della situazione greca e di quella di altri paesi come Portogallo, Irlanda, Spagna ed Italia, soffocati da debiti pubblici enormi, tassi di interesse esorbitanti, livelli di imposizione fiscale del tutto incompatibili con una normale attività di sviluppo. Ci si è posto il problema su ciò che potrebbe accadere se la Grecia per prima e poi forse anche altri paesi decidessero o fossero costretti ad uscire dalla zona euro. Vale la pena a questo punto innanzi tutto di ricordare quali siano le caratteristiche di questa originale creazione – l’euro – e come essa si inquadri nel più generale quadro dell’Unione Europea.
 L’euro venne “inventato” col Trattato di Maastricht nel 1991, e le condizioni per potervi partecipare erano in apparenza abbastanza strette:
* un deficit pari o inferiore al 3% del prodotto interno lordo;
* un rapporto debito/PIL inferiore al 60%;
* un tasso di inflazione non superiore di oltre 1,5 punti percentuali rispetto a quello medio dei tre stati membri a più bassa inflazione;
* tassi d'interesse a lungo termine non superiori di oltre 2 punti percentuali rispetto alla media dei tre stati membri a più bassa inflazione.

Non venne prevista tuttavia la creazione di una vera Banca Centrale, con le caratteristiche tipiche delle banche centrali: finanziatore di ultima istanza, garante dei finanziamenti agli stati (cosa quest’ultima ovvia, dato che nasceva una moneta senza stato), possibilità di emettere bonds propri garantiti dall’insieme dei paesi partecipanti. Quindi l’euro nasceva per così dire zoppo. D’altra parte non erano previste particolari sanzioni – naturalmente non finanziarie – per la non osservanza delle condizioni imperative, fino all’esclusione.
Alcuni dei paesi che furono ammessi – fra questi l’Italia e il Belgio, ed in un secondo tempo la Grecia – non soddisfacevano affatto alcune o tutte delle condizioni, ma furono ammessi ugualmente, in base a quali ragionamenti non è ben chiaro.
La circolazione dell’euro ebbe inizio nel 2002 e subito apparve chiaro che la Germania si arrogava il diritto di guidare a proprio beneplacito l’intera area. Per qualche tempo tutto parve filare liscio, ma recentemente, a seguito della grave crisi finanziaria del 2008, scoppiata negli USA ma diffusasi rapidamente in tutto l’Occidente, le magagne vennero fuori. I paesi che erano stati ammessi senza averne i requisiti, e che nulla avevano messo in opera per rientrare nei parametri previsti, mostrarono subito i loro problemi: fra questi anche l’Italia che aveva continuato nella propria politica di finanza allegra, incurante di quanto molti indicatori economico finanziari stavano mettendo in luce, pensando che la pacchia sarebbe continuata, pur in assenza di quello strumento di sopravvivenza – malsano e sostanzialmente disonesto ma efficace – costituito dalle periodiche svalutazioni.
Qualche cifra può illustrare lo svolgersi degli avvenimenti. L’Italia, che nel decennio precedente l’entrata in circolazione dell’euro aveva registrato costantemente crescite del PIL interno al 2,5/3% annuo, nell’ultimo decennio non è più cresciuta. L’inflazione “reale” – non quella ufficialmente dichiarata – ha fatto strage dei redditi medio bassi. Nel decennio precedente l’entrata in vigore dell’euro l’Italia aveva accumulato un attivo della bilancia dei pagamenti correnti pari a 53 miliardi di euro, mentre la Germania, nello stesso periodo, segnava un deficit di 126 miliardi. Nel decennio euro le posizioni si sono non solo invertite, ma hanno mostrato cifre da capogiro. L’Italia ha accumulato un deficit di 388 miliardi, mentre la Germania presentava un attivo di ben 1.790 miliardi.
Queste cifre fanno riflettere: non è che in fondo, con la creazione dell’euro, la Germania ha sostanzialmente inteso colonizzare, a proprio esclusivo vantaggio, il resto d’Europa? Il sospetto è avvalorato dal fatto che in questi ultimi tempi la Germania, per voce della sua Cancelliera, pretende di imporre la politica di risanamento dei bilanci dei paesi in difficoltà – cosa che avrebbe dovuto costituire una delle norme basilari del Trattato di Maastricht - ordinando feroci terapie di austerità che non possono che determinare il decesso del malato.
Un altro elemento di perplessità è costituito dall’enorme divario fra gli interessi richiesti dal mercato sui debiti dei vari paesi dell’area euro: si va da circa l’1.50% per i bonds tedeschi ad oltre il 6% per quelli spagnoli ed italiani, in palese violazione di una delle condizioni di base per l’appartenenza all’area euro. In questo caso la Germania si oppone a qualsiasi intervento comunitario che riporti la situazione sul corretto binario. Senza parlare del debito greco assimilato ormai a carta straccia.
Come può sopravvivere unitariamente un’area economica con queste enormi differenze ? E’ evidente che solo una seria revisione delle norme che reggono l’eurozona – cui peraltro è ferocemente contraria la Germania, per voce della Cancelliera Merkel e del suo Obersturmfuhrer  Schaeuble, Ministro delle Finanze – può consentire di creare quella zona economica – non limitata al solo Reich tedesco -  coerente ed in grado di competere seriamente sui mercati mondiali che i fondatori dell’UE avevano immaginato.
In caso contrario si rischia di dover assistere ad uno stillicidio di uscite dall’area euro, prima la Grecia – il cui peso economico è pressoché nullo – poi forse la Spagna, e chissà l’Italia. C’è chi teme gravissime conseguenze per tutta l’area se la Grecia decidesse o fosse costretta ad uscire: data la scarsa rilevanza di quel paese non lo crediamo. Comunque è nostra opinione che se effettivamente tutta l’area entrasse in crisi forse l’unica soluzione, in mancanza di consenso da parte della Germania ad una seria e razionale revisione della struttura, sarebbe quella di abbandonare questa bislacca e monca realizzazione: ognun per sé, senza diktat più o meno prepotenti da parte di chi intende esercitare autonomamente e senza consenso generalizzato  l’egemonia in Europa.

Il Bertoldo

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