Da qualche mese ormai, di
fronte alla gravissima crisi che attanaglia buona parte del mondo ed in modo
particolare la cosiddetta “Eurolandia”, politici, economisti, imprenditori,
mezzi di comunicazione si interrogano – con opinioni spesso molto divergenti
fra di loro – sul futuro.
In particolare il dibattito
si è fatto molto più serrato e sostanzialmente pessimista alla luce della
situazione greca e di quella di altri paesi come Portogallo, Irlanda, Spagna ed
Italia, soffocati da debiti pubblici enormi, tassi di interesse esorbitanti,
livelli di imposizione fiscale del tutto incompatibili con una normale attività
di sviluppo. Ci si è posto il problema su ciò che potrebbe accadere se la
Grecia per prima e poi forse anche altri paesi decidessero o fossero costretti
ad uscire dalla zona euro. Vale la pena a questo punto innanzi tutto di
ricordare quali siano le caratteristiche di questa originale creazione – l’euro
– e come essa si inquadri nel più generale quadro dell’Unione Europea.
L’euro venne “inventato” col Trattato di
Maastricht nel 1991, e le condizioni per potervi partecipare erano in apparenza
abbastanza strette:
* un deficit pari o inferiore al 3% del prodotto interno lordo;
* un rapporto debito/PIL inferiore al 60%;
* un tasso di inflazione non superiore di oltre 1,5 punti percentuali
rispetto a quello medio dei tre stati membri a più bassa inflazione;
* tassi d'interesse a lungo termine non superiori di oltre 2 punti
percentuali rispetto alla media dei tre stati membri a più bassa inflazione.
Non
venne prevista tuttavia la creazione di una vera Banca Centrale, con le
caratteristiche tipiche delle banche centrali: finanziatore di ultima istanza,
garante dei finanziamenti agli stati (cosa quest’ultima ovvia, dato che nasceva
una moneta senza stato), possibilità di emettere bonds propri garantiti
dall’insieme dei paesi partecipanti. Quindi l’euro nasceva per così dire zoppo.
D’altra parte non erano previste particolari sanzioni – naturalmente non
finanziarie – per la non osservanza delle condizioni imperative, fino
all’esclusione.
Alcuni
dei paesi che furono ammessi – fra questi l’Italia e il Belgio, ed in un
secondo tempo la Grecia – non soddisfacevano affatto alcune o tutte delle
condizioni, ma furono ammessi ugualmente, in base a quali ragionamenti non è
ben chiaro.
La
circolazione dell’euro ebbe inizio nel 2002 e subito apparve chiaro che la
Germania si arrogava il diritto di guidare a proprio beneplacito l’intera area.
Per qualche tempo tutto parve filare liscio, ma recentemente, a seguito della
grave crisi finanziaria del 2008, scoppiata negli USA ma diffusasi rapidamente
in tutto l’Occidente, le magagne vennero fuori. I paesi che erano stati ammessi
senza averne i requisiti, e che nulla avevano messo in opera per rientrare nei
parametri previsti, mostrarono subito i loro problemi: fra questi anche
l’Italia che aveva continuato nella propria politica di finanza allegra,
incurante di quanto molti indicatori economico finanziari stavano mettendo in
luce, pensando che la pacchia sarebbe continuata, pur in assenza di quello
strumento di sopravvivenza – malsano e sostanzialmente disonesto ma efficace –
costituito dalle periodiche svalutazioni.
Qualche
cifra può illustrare lo svolgersi degli avvenimenti. L’Italia, che nel decennio
precedente l’entrata in circolazione dell’euro aveva registrato costantemente
crescite del PIL interno al 2,5/3% annuo, nell’ultimo decennio non è più
cresciuta. L’inflazione “reale” – non quella ufficialmente dichiarata – ha
fatto strage dei redditi medio bassi. Nel decennio precedente l’entrata in
vigore dell’euro l’Italia aveva accumulato un attivo della bilancia dei
pagamenti correnti pari a 53 miliardi di euro, mentre la Germania, nello stesso
periodo, segnava un deficit di 126 miliardi. Nel decennio euro le posizioni si sono
non solo invertite, ma hanno mostrato cifre da capogiro. L’Italia ha accumulato
un deficit di 388 miliardi, mentre la Germania presentava un attivo di ben
1.790 miliardi.
Queste
cifre fanno riflettere: non è che in fondo, con la creazione dell’euro, la
Germania ha sostanzialmente inteso colonizzare, a proprio esclusivo vantaggio,
il resto d’Europa? Il sospetto è avvalorato dal fatto che in questi ultimi
tempi la Germania, per voce della sua Cancelliera, pretende di imporre la
politica di risanamento dei bilanci dei paesi in difficoltà – cosa che avrebbe
dovuto costituire una delle norme basilari del Trattato di Maastricht -
ordinando feroci terapie di austerità che non possono che determinare il
decesso del malato.
Un
altro elemento di perplessità è costituito dall’enorme divario fra gli
interessi richiesti dal mercato sui debiti dei vari paesi dell’area euro: si va
da circa l’1.50% per i bonds tedeschi ad oltre il 6% per quelli spagnoli ed
italiani, in palese violazione di una delle condizioni di base per
l’appartenenza all’area euro. In questo caso la Germania si oppone a qualsiasi
intervento comunitario che riporti la situazione sul corretto binario. Senza
parlare del debito greco assimilato ormai a carta straccia.
Come
può sopravvivere unitariamente un’area economica con queste enormi differenze ?
E’ evidente che solo una seria revisione delle norme che reggono l’eurozona –
cui peraltro è ferocemente contraria la Germania, per voce della Cancelliera
Merkel e del suo Obersturmfuhrer
Schaeuble, Ministro delle Finanze – può consentire di creare quella zona
economica – non limitata al solo Reich tedesco - coerente ed in grado di competere seriamente
sui mercati mondiali che i fondatori dell’UE avevano immaginato.
In
caso contrario si rischia di dover assistere ad uno stillicidio di uscite
dall’area euro, prima la Grecia – il cui peso economico è pressoché nullo – poi
forse la Spagna, e chissà l’Italia. C’è chi teme gravissime conseguenze per
tutta l’area se la Grecia decidesse o fosse costretta ad uscire: data la scarsa
rilevanza di quel paese non lo crediamo. Comunque è nostra opinione che se
effettivamente tutta l’area entrasse in crisi forse l’unica soluzione, in
mancanza di consenso da parte della Germania ad una seria e razionale revisione
della struttura, sarebbe quella di abbandonare questa bislacca e monca
realizzazione: ognun per sé, senza diktat più o meno prepotenti da parte di chi
intende esercitare autonomamente e senza consenso generalizzato l’egemonia in Europa.
Il Bertoldo
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