In queste ultime settimane
in Italia è scattato un altro allarme in campo economico. Secondo l’ISTAT per
la prima volta da molti anni il tasso di disoccupazione ha superato il livello
medio dell’Europa, con circa il 10,5% complessivo. Ovviamente il tasso relativo
alle classi giovani è molto superiore. Per la precisione vale la pena di
ricordare che il tasso di disoccupazione è rappresentato dal rapporto fra le
persone in cerca di lavoro e la somma degli occupati e di coloro che sono in
cerca di lavoro. Dal calcolo sono esclusi coloro che, pur senza un lavoro,
hanno rinunciato a cercarne uno, mentre fra gli occupati sono inclusi anche
coloro che hanno lavorato solo qualche ora per settimana.
Ne consegue che il calcolo
non rappresenta affatto la reale situazione. Per esempio, non si tiene conto di
coloro che usufruiscono della Cassa Integrazione, che in realtà sono senza
lavoro ma sempre in forza al proprio datore di lavoro, né di coloro che, delusi
dalla lunga attesa infruttuosa, hanno rinunciato ad iscriversi alle liste dei
disoccupati, pur continuando a cercare una occupazione. Ed infine non si tiene
conto dei tanti che, pur risultando ufficialmente disoccupati, svolgono un
lavoro in “nero”.
Ma non è di questo che
intendiamo occuparci, in quanto vorremmo trattare non della disoccupazione ma
dell’occupazione. Esistono a nostro avviso tre tipi di occupazione:
l’occupazione produttiva, quella improduttiva ed in sostanza parassitaria ed infine quella
improduttiva e dannosa.
Sulla prima categoria non c’è
molto da dire: su di essa si regge tutta l’economia del paese ed il benessere
dei cittadini e costituisce il presupposto di ogni progresso economico e
sociale.
La seconda categoria è
costituita essenzialmente da coloro che l’ex ministro Brunetta definiva i
“fannulloni” nell’amministrazione pubblica e che peraltro prosperano in tutto
l’apparato politico e sindacale, ritenuti però elementi essenziali della
democrazia. L’occupazione improduttiva ed in fondo parassitaria non è assente
neppure nell’economia privata. A questo tipo di occupazione talvolta lo stato
fa ricorso, a spese dei cittadini, per superare particolari periodi di crisi,
fingendo di far svolgere lavori assolutamente inutili per dare una parvenza di
dignità ai lavoratori coinvolti: il cosiddetto scavare buche per poi riempirle
di nuovo.
Abbiamo infine
l’occupazione improduttiva e dannosa. Ci riferiamo sostanzialmente a tutto quel
sottobosco annidato nella pubblica amministrazione che, per giustificare la
propria esistenza, inventa continuamente nuove e spesso incomprensibili
procedure, in applicazione delle innumerevoli leggi, regolamenti, circolari e
simili strumenti di sopraffazione che costano ai cittadini non solo l’enorme
spesa per tutta l’organizzazione ma soprattutto moltissimo tempo e denaro per
adempiere gli obblighi stravaganti ed inutili imposti da questa classe
parassitaria. In buona sostanza possiamo definire questi oneri come
un’ulteriore e gravosa tassa, surrettizia
ed ignorata ufficialmente, imposta al paese.
In questo periodo in cui la
parola d’ordine del governo “tecnico” è il rigore, crediamo che un intervento
tendente a ridurre se non ad eliminare le sacche di occupazione improduttiva,
tanto più se dannosa, sarebbe non solo opportuno ma strettamente necessario
proprio per realizzare il rigore non solo sulle tasche dei cittadini ma anche e
soprattutto nell’organizzazione stessa dello stato che impone al paese quei
sacrifici che non sa realizzare in proprio.
Il Bertoldo
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