11 giugno 2012

Occupazione



In queste ultime settimane in Italia è scattato un altro allarme in campo economico. Secondo l’ISTAT per la prima volta da molti anni il tasso di disoccupazione ha superato il livello medio dell’Europa, con circa il 10,5% complessivo. Ovviamente il tasso relativo alle classi giovani è molto superiore. Per la precisione vale la pena di ricordare che il tasso di disoccupazione è rappresentato dal rapporto fra le persone in cerca di lavoro e la somma degli occupati e di coloro che sono in cerca di lavoro. Dal calcolo sono esclusi coloro che, pur senza un lavoro, hanno rinunciato a cercarne uno, mentre fra gli occupati sono inclusi anche coloro che hanno lavorato solo qualche ora per settimana.
Ne consegue che il calcolo non rappresenta affatto la reale situazione. Per esempio, non si tiene conto di coloro che usufruiscono della Cassa Integrazione, che in realtà sono senza lavoro ma sempre in forza al proprio datore di lavoro, né di coloro che, delusi dalla lunga attesa infruttuosa, hanno rinunciato ad iscriversi alle liste dei disoccupati, pur continuando a cercare una occupazione. Ed infine non si tiene conto dei tanti che, pur risultando ufficialmente disoccupati, svolgono un lavoro in “nero”.
Ma non è di questo che intendiamo occuparci, in quanto vorremmo trattare non della disoccupazione ma dell’occupazione. Esistono a nostro avviso tre tipi di occupazione: l’occupazione produttiva, quella improduttiva ed  in sostanza parassitaria ed infine quella improduttiva e dannosa.
Sulla prima categoria non c’è molto da dire: su di essa si regge tutta l’economia del paese ed il benessere dei cittadini e costituisce il presupposto di ogni progresso economico e sociale.
La seconda categoria è costituita essenzialmente da coloro che l’ex ministro Brunetta definiva i “fannulloni” nell’amministrazione pubblica e che peraltro prosperano in tutto l’apparato politico e sindacale, ritenuti però elementi essenziali della democrazia. L’occupazione improduttiva ed in fondo parassitaria non è assente neppure nell’economia privata. A questo tipo di occupazione talvolta lo stato fa ricorso, a spese dei cittadini, per superare particolari periodi di crisi, fingendo di far svolgere lavori assolutamente inutili per dare una parvenza di dignità ai lavoratori coinvolti: il cosiddetto scavare buche per poi riempirle di nuovo.
Abbiamo infine l’occupazione improduttiva e dannosa. Ci riferiamo sostanzialmente a tutto quel sottobosco annidato nella pubblica amministrazione che, per giustificare la propria esistenza, inventa continuamente nuove e spesso incomprensibili procedure, in applicazione delle innumerevoli leggi, regolamenti, circolari e simili strumenti di sopraffazione che costano ai cittadini non solo l’enorme spesa per tutta l’organizzazione ma soprattutto moltissimo tempo e denaro per adempiere gli obblighi stravaganti ed inutili imposti da questa classe parassitaria. In buona sostanza possiamo definire questi oneri come un’ulteriore e gravosa tassa, surrettizia  ed ignorata ufficialmente, imposta al paese.
In questo periodo in cui la parola d’ordine del governo “tecnico” è il rigore, crediamo che un intervento tendente a ridurre se non ad eliminare le sacche di occupazione improduttiva, tanto più se dannosa, sarebbe non solo opportuno ma strettamente necessario proprio per realizzare il rigore non solo sulle tasche dei cittadini ma anche e soprattutto nell’organizzazione stessa dello stato che impone al paese quei sacrifici che non sa realizzare in proprio.
Il Bertoldo

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