Il Presidente della
Repubblica, Giorgio Napolitano, in uno dei suoi quotidiani, e non sempre
originali, interventi ha perentoriamente invitato (o forse sarebbe meglio dire
ordinato) i Presidenti delle Camere a darsi una mossa per varare una nuova
legge elettorale, data la scarsa accettazione e democrazia del cosiddetto
“porcellum”.
Naturalmente i Presidenti
di Camera e Senato si sono affrettati ad allinearsi al dettato presidenziale
ed hanno assicurato che ogni cura e precedenza sarà posta affinché, prima delle
prossime elezioni, sia varata una nuova legge elettorale più rispondente alla
necessità di far perlomeno credere agli elettori che “la sovranità appartiene
al popolo”, come recita la sacra Costituzione.
Anche quasi tutti i
partiti, grandi e piccoli, hanno applaudito l’intervento presidenziale e
ciascuno ha fatto a gara per far conoscere al mondo di essere stato il primo a
porre il problema ed a formulare brillanti proposte per un più corretto
coinvolgimento dei cittadini nella scelta dei propri rappresentanti. E qui si
sono sprecate le più svariate ipotesi, in generale non particolarmente
originali, in quanto ispirate al passato od ai sistemi in uso in altri paesi.
Legge elettorale alla francese (doppio turno, come nelle amministrative), alla
tedesca (parte maggioritaria e parte proporzionale), alla spagnola,
all’israeliana, con o senza premio di maggioranza, preferenze sì o preferenze
no, e chi più ne ha più ne metta.
Non è mancato
evidentemente, chi ha nostalgicamente proposto di tornare alla proporzionale
pura, che tanta soddisfazione ha dato alla Democrazia Cristiana in passato,
lasciando agli eletti il compito di scegliere con chi allearsi e quale
programma attuare, con tanti saluti alla sovranità popolare.
Non mancano i partiti che
propongono una sorta di istituzionalizzazione delle primarie, considerandole un
elemento indispensabile della democrazia.
Non è chiaro come, fra
tante proposte formulate non da coalizioni ma da singoli partiti, sarà
possibile in tempi brevi mettere insieme una proposta ragionevole, chiara ed
accettabile da una maggioranza parlamentare. A noi sembra che, prima di
occuparsi di formulare una nuova legge elettorale, che ciascuno propone nella
speranza di esserne avvantaggiato, sarebbe necessario dedicarsi ad un sincero e
completo esame degli scopi che si vogliono ottenere, tralasciando evidentemente
gli interessi personali.
Pensiamo infatti che, prima
di definire le modalità con le quali dovranno svolgersi d’ora in poi le
elezioni, al fine di rendere il paese più seriamente ed onestamente governabile
e soprattutto perché la sovranità popolare non sia una vuota e forse derisoria
espressione retorica, sarebbe necessario apportare alcuni sostanziali ritocchi
alla Costituzione, integrandoli con apposite disposizioni di legge.
Innanzitutto è da ritenere
urgente che venga eliminata la disposizione costituzionale dell’art. 67 che
recita “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed
esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Non si capisce per quale
motivo un parlamentare eletto nelle liste di un partito possa poi disconoscere
il voto e quindi la fiducia degli elettori e passare ad altro schieramento. Chi
non se la sente più di condividere le scelte del partito che lo ha fatto
eleggere può liberamente uscire dal suo gruppo, ma dovrebbe anche lasciare
obbligatoriamente il suo incarico parlamentare: in una parola deve dimettersi.
In secondo luogo non è più
ammissibile che un qualsiasi rappresentante della classe politica sieda in
Parlamento ininterrottamente per decenni. Tanto per citare qualche esempio,
basti ricordare il recordman assoluto Andreotti, e poi Fini, Bersani, Casini e
cento altri. E’ a nostro parere necessario che venga posto un limite al numero
di legislature concesso, ed una volta terminato l’incarico deve essere
assolutamente vietata la possibilità di ricoprire qualsiasi incarico, gratuito
o retribuito, in società od enti a partecipazione pubblica.
Infine, com’è già stato
deciso dal popolo “sovrano”, ma poi del tutto disatteso dalla classe politica nella
sua interezza, deve essere eliminata qualsiasi forma di finanziamento pubblico
ai partiti, sotto qualunque fantasiosa definizione. Un partito, se ha una sia
pur modesta accettazione fra il pubblico, provveda a finanziarsi direttamente
presso i propri simpatizzanti, come avviene in altri paesi.
A questa proposta vengono
abitualmente fatte due obiezioni. Innanzi tutto si dice che in questo modo
sopravvivranno solo i partiti dei ricchi: una grande sciocchezza, dato che
innumerevoli associazioni benefiche, e gli stessi sindacati non ricevono
sussidi se non eventualmente a fronte di prestazioni. D’altra parte si afferma
anche che un finanziamento proveniente da privati condizionerebbe pesantemente,
in senso a loro favorevole, le decisioni politiche. Purtroppo anche in questo
caso l’obiezione non ha senso: oggi molte decisioni politiche vengono prese a
seguito di “contributi” da parte dei privati, solo che, anziché alla luce del
sole essi prendono la forma di corruzione, spesso non a favore del partito ma per
arricchimento personale. Ed a nostro parere è ora di apportare un po’ di
trasparenza e di chiarezza.
Il Bertoldo
Nessun commento:
Posta un commento