07 agosto 2012

Mari e Monti


Negli ultimi mesi dello scorso anno la crisi mondiale si è molto aggravata, la situazione italiana vennegiustamente considerata dai mercati assai pericolosa, alla stessa stregua di quella di altri paesi mediterranei, il collocamento dei nostri titoli di stato poteva essere fatto solo a tassi molto alti, difficilmente sostenibili dal nostro bilancio (il famigerato spread). Il Presidente della Repubblica, nella convinzione che il tutto dipendesse dalla cattiva gestione dell’allora Presidente Berlusconi, fece il possibile per licenziarlo e una volta ottenuto il risultato, con scarsissimo rispetto per i principi democratici di cui egli dovrebbe essere il massimo sacerdote, decise di affidare il governo del paese ad un nuovo governo, che ci si compiacque di definire “tecnico”.
In realtà si trattava di un governo formato da docenti universitari, banchieri di alto rango, alti funzionari dello stato, guidato da un eminente cattedratico, già Commissario europeo, membro di importanti consessi economici e finanziari mondiali, ma ovviamente un teorico mai cimentatosi nella diretta gestione di un complesso organismo come è quello di uno stato, per di più in evidente stato di crisi. La sua giusta e consolidata fama fece credere al Presidente Napolitano ed alla quasi totalità dei cosiddetti massmedia che si fosse trovata la soluzione per tutti i nostri mali e che ben presto un avvenire radioso sarebbe stato promesso all’Italia.
In sostanza, e per sintetizzare molto banalmente, si sperò che, fedele al proprio benaugurante nome, il nuovo leader ci avrebbe dato, come si suol dire Mari(o) e Monti. In effetti la promessa venne ahimè mantenuta, ma non come si sperava: ora siamo, più che prima, in un Mare di guai e con Monti di tasse da pagare.
Fin dall’esordio apparve chiaro che il nuovo Presidente del Consiglio, forse perché a corto di idee proprie su come uscire dall’impasse, scelse di adeguarsi alla linea suggerita (o imposta?) dalla Germania della Cancelliera Angela Merkel: rigore, rigore, rigore (che in pratica, per il neo Premier non significava tagli alle spese inutili, superflue, parassitarie, quando non addirittura fonte di corruzione e disonestà varie, ma soltanto tasse, tasse, tasse). Non è ben chiaro perché la Germania solo ora – sebbene il mancato rispetto delle regole di Maastricht fosse evidente e noto fin dall’inizio – abbia deciso di chiedere lo scrupoloso rispetto delle norme comunitarie anche a costo di distruggere le economie di alcuni paesi dell’Europa mediterranea: forse perché, con la tendenza egemonica che ha sempre caratterizzato la sua politica da un secolo a questa parte, ha ritenuto che fosse giunto il momento per infliggere il colpo finale.
Quello che a noi interessa è tuttavia il comportamento del nostro Premier che ha accettato di trasformarsi in Quisling. Malgrado tutta la sua spocchia di docente incensato non è stato capace di comprendere che quella da lui adottata, su imposizione tedesca, era la terapia più indicata per uccidere il malato. Non risulta che il miglior rimedio per l’anemia sia mai stato il salasso. Dopo i suoi clamorosi e, diciamolo pure, prevedibili insuccessi, cosa potrà mai insegnare ai suoi allievi? Forse insegnerà che si può utilizzare l’economia come arma letale per umiliare un paese e renderlo soggetto ai voleri di una potenza straniera?
Che  la disastrosa situazione economica e finanziaria del paese (deficit perenne del bilancio statale, debito sempre crescente ed insostenibile, welfare a livelli insensati) non dipenda in alcun modo dall’attuale governo è chiaro ed evidente. Tuttavia il minimo che ci si sarebbe aspettato da un governo definito “tecnico” era che si rendesse conto delle cause del dissesto, e prendesse rapidamente e duramente i necessari provvedimenti. E invece, a parte l’immediato aumento del prelievo fiscale – con le immaginabili negative conseguenze su ogni possibilità di ripartenza dell’economia – non si è visto alcun tipo di comportamento diverso da quello cui ci hanno abituato decenni di conduzione politica: concertazioni infinite ed inconcludenti con le cosiddette “parti sociali”, mediazioni esasperanti con i partiti che sostengono il governo, nessun tentativo reale di tagliare le spese, per paura di offendere o colpire qualche corporazione più o meno potente.
Ricordiamo che, all’uscita di scena del governo Berlusconi, si favoleggiò dell’impossibilità di ricorrere a nuove consultazioni popolari (volgarmente definite elezioni) per paura di incrementare la sfiducia dei mercati: un governo tecnico non inquinato dalle deprecabili abitudini della classe politica italiana avrebbe presto riconquistato la fiducia dei mercati, lo “spread” sarebbe immediatamente sceso a livelli sostenibili, l’economia sarebbe ripartita con ottimismo, il paese risanato in breve avrebbe ripreso il rango che gli spettava sulla scena mondiale.
Cosa sia in realtà accaduto è sotto i nostri occhi: non solo il paese soffre più di prima e le prospettive sono nere, ma siamo anche sul punto di perdere la nostra indipendenza, cui stiamo rinunciando in favore di una fantomatica Europa che, in realtà, si pronuncia Germania. Valeva veramente la pena di rimpiazzare una corrotta ed inconcludente classe politica con una altrettanto inconcludente classe “tecnica”, per ritrovarci nelle stesse condizioni di partenza, ma molto meno liberi di decidere da soli il nostro destino?
 Il Bertoldo

1 commento:

Roberto C. ha detto...

Buona riflessione del Bertoldo.
Personalmente sono sicuro che Monti non sia stato chiamato per caso al vertice del governo italiano. Già è stato Commissario europeo e consulente (come Draghi ed altri a Bruxelles) della Goldman Sachs. Quindi è un personaggio noto in quegli ambienti e sicuramente gode degli appoggi giusti (in Italia e all’estero) per raggiungere il suo vero obiettivo, che non è altro che il desiderio dello strapotere economico finanziario tedesco, ossia quello di azzerare la concorrenza italiana in campo economico e industriale.
Questa crisi dell’area euro ormai va avanti dal 2OO8 e da allora non si è vista nessuna soluzione valida per fronteggiarla, se non quella di sostenere il settore bancario (come se fosse l’unico importante per una nazione) anzi, addirittura è peggiorata portando intere nazioni sull’orlo del collasso.
Non mi aspetto nulla di buono da questa classe dirigente che ci governa senza avere mai preso un voto dal popolo che vogliono rovinare. Questa classe dirigente autoreferenziale e sovrannazionale di tecnici, burocrati e banchieri che non ha mai avuto il consenso delle popolazioni che governano e che non sente il dovere di rendere conto a nessun altro (che non siano le banche) e che si garantirà lo stesso, in caso di aggravamento della crisi, un futuro dorato.
In Italia si stanno letteralmente distruggendo il tessuto sociale che stimola lo sviluppo e la prosperità economica in nome di uno sconsiderato rigore fiscale. Non si tollera più l’arricchimento di chi lavora rischiando in proprio. Il rigore di Monti è l’aumento delle tasse e non il taglio delle spese inutili, parassitarie e apportatrici di corruzione. Il rigore di Monti è la spremitura del cittadino affinché sostenga il peso di uno stato ormai allo sfacelo. Il rigore di Monti serve per svendere l’Italia al miglior offerente.
Il tutto con il placet di una classe politica imbarazzante (destra e sinistra, ed il mio non è qualunquismo) che, per mantenere i suoi assurdi privilegi, è disposta a tutto pur di non perdere la poltrona che sa di perdere sicuramente in caso di elezioni. Una classe politica che indecentemente parla di improbabili quanto improponibili alleanze politiche, di matrimoni gay, di leggi elettorali e riforme pur di evitare i veri problemi dell’Italia ed il confronto con i cittadini-sudditi.
Per questi motivi, sempre secondo il mio parere, Monti ha la strada spianata per condurre a termine il suo mandato di “liquidatore” dello stato italiano. Così potrà tornare dai suoi “amici” con i compiti fatti.
Saluti.