Il
nostro paese, insieme ad altri paesi europei, sta soffrendo da alcuni mesi di
una severissima stretta finanziaria, che si esprime in un inaudito inasprimento
dei prelievi fiscali ed in un tentativo – ahimè molto meno severo - di riduzione delle spese pubbliche.
La
conseguenza di questi provvedimenti, come era facile prevedere, almeno per chi
non è docente di materie economiche in prestigiose università, è l’instaurarsi
di una grave crisi economica con fallimenti, disoccupazione, proteste popolari,
ed inevitabile diminuzione del PIL. In sostanza, con un arretramento notevole
della situazione economica dei paesi interessati ed una stagnazione accentuata,
dalla quale non è ben chiaro come e quando sarà possibile uscire.
L’origine
di questa gravissima situazione che ha colpito in modo particolarmente serio alcuni
paesi appartenenti all’area Euro va cercata nella scriteriata gestione
finanziaria condotta dai governi che si sono succeduti negli ultimi dieci anni,
di vario colore ma di uguale spensieratezza, che si è espressa in continui
deficit di bilancio, coperti in buona parte col ricorso all’indebitamento, che
ha raggiunto livelli tali da far dubitare seriamente della possibilità di
rimborso. Ne è conseguito un importante aumento dei tassi richiesti dagli
investitori a fronte del possibile maggior rischio, e quindi un ulteriore
aggravio dei bilanci pubblici, maggiori deficit e così via, in uno sciagurato
circolo vizioso.
Tutto
ciò ha provocato negli ultimi mesi l’allarme dei paesi Euro “virtuosi”, a cominciare
dalla Germania, che sembra essersi autoproclamata custode della virtù
gestionale, nel ruolo di maestrina che, come vedremo, non sembra sempre
calzarle a pennello.
E’
infatti necessario ricordare quali fossero i principi fissati nel Trattato di
Maastricht, atto di nascita della cosiddetta Eurozona:
* un
deficit pari o inferiore al 3% del prodotto interno lordo;
* un
rapporto debito/PIL inferiore al 60%;
* un
tasso di inflazione non superiore di oltre 1,5 punti percentuali rispetto a
quello medio dei tre stati membri a più bassa inflazione;
* tassi
d'interesse a lungo termine non superiori di oltre 2 punti percentuali rispetto
alla media dei tre stati membri a più bassa inflazione.
Conviene a questo
punto svolgere una critica a questi principi. Innanzitutto appare evidente che
la possibilità di avere un deficit di bilancio si deve riferire solo ai paesi
che hanno un rapporto debito/PIL entro il 60%; gli altri dovrebbero invece
giungere evidentemente a degli avanzi che consentano di riportare l’indebitamento
entro i limiti consentiti. Per quanto riguarda poi i tassi di interesse, come
si giustifica il mantenimento degli stratosferici spread di questi ultimi
tempi? Chi non è il linea può essere cacciato?
Alcuni
dei paesi aderenti, fra cui l’Italia, al momento dell’adesione non rispettavano
affatto, ed hanno continuato a non rispettare, alcuni dei principi ricordati:
come mai solo ora, dopo quasi un decennio dalla entrata in funzione dell’euro ed
a quasi vent’anni dalla firma del Trattato, ci si accorge che le cose non
funzionano come avrebbero dovuto? Quali interessi inconfessabili hanno fatto sì
che fino ad un anno fa tutti – paesi “virtuosi” compresi – abbiano taciuto ed
all’improvviso si sia scatenata la bufera, con severe reprimende, imposizione
di politiche recessive, spread alle stelle ed altre sciagure?
Ma
cerchiamo di capire un po’ meglio come stanno le cose. E’ evidente che un
livello di indebitamento come quello italiano non può essere sopportato a
lungo. Come è possibile ridurlo? A nostro avviso sono fondamentalmente tre le
strade che possono permettere di raggiungere l’obbiettivo:
1
- cessione di una parte dei beni, soprattutto immobili, di proprietà pubblica,
destinandone il ricavato unicamente e direttamente alla riduzione del debito
2
– severo controllo e taglio delle spese dell’amministrazione pubblica, a
partire dagli insopportabili costi della politica, illeciti perché già
condannati da un referendum
3
– rilancio dell’economia, che può avvenire unicamente grazie ad una marcata
riduzione del prelievo fiscale. In altre parole lasciando più soldi ai
cittadini.
Quanto
è stato fatto in questi mesi sembra stia andando esattamente in direzione
opposta, tanto che in breve tempo il debito pubblico è aumentato di alcuni
punti percentuali ed il PIL è in seria e preoccupante diminuzione.
Ma
cos’è il debito pubblico e come si forma? Esso è (o dovrebbe essere, come
vedremo) la somma dei debiti contratti dalla pubblica amministrazione, centrale
o locale, e dagli enti di previdenza, nei confronti dei terzi. Esistono però in
tutti i paesi dei procedimenti, un po’ truffaldini, per far figurare un debito
inferiore a quello reale. Per esempio, in Italia non figurano nel debito
pubblico circa un centinaio di miliardi di cui sono creditori molti fornitori di
beni e servizi al sistema pubblico e molti contribuenti che hanno versato più
tasse del dovuto.
Anche la “virtuosa” Germania ha tuttavia le sue pecche.
Infatti il debito pubblico
della Germania , dice l’economista Raffelhuschen
non smentito da nessuno, è il più alto d'Europa: 2080 miliardi, nel 2010,
secondo Eurostat, pari all’83,2% del prodotto interno lordo ed è stato
artificialmente sgonfiato non computando le spese pubbliche delle pensioni e
dei servizi sociali. La Germania acquista così, dolosamente, il primo premio
nella classifica mondiale dell'affidabilità, stilata dalle agenzie di rating
americane.
Come si forma il debito
pubblico? Esso è ovviamente la somma, nel tempo, dei deficit di bilancio che
non si sono potuti finanziare ricorrendo a misure fiscali. Per esempio, nel
2010 il deficit italiano, rapportato al PIL, è stato del 4,6%, contro il 3,3%
della Germania ed il 7% della Francia. Come si vede, in tutti i casi esso è
stato superiore ai limiti di Maastricht. Ma perché, sistematicamente, i bilanci
pubblici sono sempre in deficit, contribuendo in tal modo all’aumento del
debito, anche se l’aumento è in parte compensato dall’effetto inflazione, che
agisce diminuendo in sostanza il valore del debito pregresso, espresso generalmente
in moneta costante?
L’unica spiegazione che
si può dare di questo fenomeno sta nel sistema comunemente adottato per la
formazione del bilancio preventivo. Mentre nelle famiglie normali si calcolano
innanzitutto le prevedibili entrate e poi si stabilisce un programma di spese
compatibile, rinunciando eventualmente ad alcune scelte, nel settore pubblico
si procede abitualmente in modo contrario. Prima di tutto si decidono le spese
che si debbono o si vogliono sostenere, e poi se ne cerca la copertura. Il
primo provvedimento di copertura consiste generalmente in un aumento della
pressione fiscale, togliendo ai cittadini ciò che è loro necessario per
finanziare non solo il proprio mantenimento, ma anche e soprattutto lo sviluppo
del paese.
Ciò che non si riesce a
finanziare con il fisco lo si finanzia con il debito.
Esiste tuttavia un caso
in cui le cose vanno diversamente. Si tratta della Svizzera che, fino ad un
certo punto si è comportata come tutti gli altri paesi, ma poi ha cambiato
rotta. Nel 1990 il debito pubblico rappresentava il
29,9% del PIL, nel 2000 il
49,9% e nel 2004 il 53%, con una fin troppo
evidente tendenza all’aumento.
Preoccupati dal
crescente indebitamento, nel 2000 i cittadini elvetici hanno lanciato un referendum per porre un freno all'aumento
della spesa pubblica. Il 2 dicembre del 2001,
in seguito ad una consultazione popolare, è stato quindi approvato, dall'84,7%
dei votanti e da tutti i cantoni,
il meccanismo del "freno all'indebitamento" pubblico. Il meccanismo
adottato a livello federale è basato sull'accantonamento delle eccedenze negli
anni di alta congiuntura, in modo da finanziare spese pubbliche straordinarie
nei momenti di crisi.
Venne quindi introdotto nella Costituzione svizzera un nuovo articolo, l'Art. 126, che nel
dettaglio prevedeva:
1. La Confederazione equilibra a lungo
termine le sue uscite ed entrate.
2. L'importo massimo delle uscite totali da stanziare nel
preventivo dipende dalle entrate totali stimate, tenuto conto della situazione
economica.
3. In caso di fabbisogno finanziario eccezionale
l'importo massimo di cui al capoverso 2 può essere aumentato adeguatamente. L'Assemblea federale decide in merito
all’aumento.
4. Se le uscite totali risultanti dal conto di Stato (così sono ufficialmente i cantoni) superano l’importo
massimo di cui ai capoversi 2 o 3, le uscite che eccedono tale importo sono da
compensare negli anni successivi.
Grazie a questa provvidenziale decisione, il rapporto debito/PIL è sceso
nel 2010, in piena crisi economica mondiale, al 38,2% del PIL. Il
"freno all'indebitamento" si è quindi dimostrato un meccanismo
efficace per scongiurare l'indebitamento eccessivo (in cinque anni il debito
pubblico è stato ridotto del 20%), ma sufficientemente elastico per garantire -
in casi eccezionali - una spesa pubblica elevata.
Questo
esempio non suggerisce nulla ai soloni che cianciano di introduzione nella
Costituzione dell’obbligo del pareggio di bilancio, ma che continuano a
finanziare a piè di lista ed in bianco tutte le follie della pubblica
amministrazione, centrale e locale, nella errata convinzione che l’unico modo
per raggiungere il sospirato pareggio consista nell’estorsione? E comunque non
è certo soltanto col pareggio di bilancio che si potrà ridurre il debito, ma
con una politica che contempli i provvedimenti cui abbiamo accennato sopra, ed
altri ancora nella stessa direzione.
Il Bertoldo
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