05 novembre 2012

Debito


Il nostro paese, insieme ad altri paesi europei, sta soffrendo da alcuni mesi di una severissima stretta finanziaria, che si esprime in un inaudito inasprimento dei prelievi fiscali ed in un tentativo – ahimè molto meno severo  - di riduzione delle spese pubbliche.
La conseguenza di questi provvedimenti, come era facile prevedere, almeno per chi non è docente di materie economiche in prestigiose università, è l’instaurarsi di una grave crisi economica con fallimenti, disoccupazione, proteste popolari, ed inevitabile diminuzione del PIL. In sostanza, con un arretramento notevole della situazione economica dei paesi interessati ed una stagnazione accentuata, dalla quale non è ben chiaro come e quando sarà possibile uscire.
L’origine di questa gravissima situazione che ha colpito in modo particolarmente serio alcuni paesi appartenenti all’area Euro va cercata nella scriteriata gestione finanziaria condotta dai governi che si sono succeduti negli ultimi dieci anni, di vario colore ma di uguale spensieratezza, che si è espressa in continui deficit di bilancio, coperti in buona parte col ricorso all’indebitamento, che ha raggiunto livelli tali da far dubitare seriamente della possibilità di rimborso. Ne è conseguito un importante aumento dei tassi richiesti dagli investitori a fronte del possibile maggior rischio, e quindi un ulteriore aggravio dei bilanci pubblici, maggiori deficit e così via, in uno sciagurato circolo vizioso.
Tutto ciò ha provocato negli ultimi mesi l’allarme dei paesi Euro “virtuosi”, a cominciare dalla Germania, che sembra essersi autoproclamata custode della virtù gestionale, nel ruolo di maestrina che, come vedremo, non sembra sempre calzarle a pennello.
E’ infatti necessario ricordare quali fossero i principi fissati nel Trattato di Maastricht, atto di nascita della cosiddetta Eurozona:
* un deficit pari o inferiore al 3% del prodotto interno lordo;
* un rapporto debito/PIL inferiore al 60%;
* un tasso di inflazione non superiore di oltre 1,5 punti percentuali rispetto a quello medio dei tre stati membri a più bassa inflazione;
* tassi d'interesse a lungo termine non superiori di oltre 2 punti percentuali rispetto alla media dei tre stati membri a più bassa inflazione.

Conviene a questo punto svolgere una critica a questi principi. Innanzitutto appare evidente che la possibilità di avere un deficit di bilancio si deve riferire solo ai paesi che hanno un rapporto debito/PIL entro il 60%; gli altri dovrebbero invece giungere evidentemente a degli avanzi che consentano di riportare l’indebitamento entro i limiti consentiti. Per quanto riguarda poi i tassi di interesse, come si giustifica il mantenimento degli stratosferici spread di questi ultimi tempi? Chi non è il linea può essere cacciato?
Alcuni dei paesi aderenti, fra cui l’Italia, al momento dell’adesione non rispettavano affatto, ed hanno continuato a non rispettare, alcuni dei principi ricordati: come mai solo ora, dopo quasi un decennio dalla entrata in funzione dell’euro ed a quasi vent’anni dalla firma del Trattato, ci si accorge che le cose non funzionano come avrebbero dovuto? Quali interessi inconfessabili hanno fatto sì che fino ad un anno fa tutti – paesi “virtuosi” compresi – abbiano taciuto ed all’improvviso si sia scatenata la bufera, con severe reprimende, imposizione di politiche recessive, spread alle stelle ed altre sciagure?
Ma cerchiamo di capire un po’ meglio come stanno le cose. E’ evidente che un livello di indebitamento come quello italiano non può essere sopportato a lungo. Come è possibile ridurlo? A nostro avviso sono fondamentalmente tre le strade che possono permettere di raggiungere l’obbiettivo:
1 - cessione di una parte dei beni, soprattutto immobili, di proprietà pubblica, destinandone il ricavato unicamente e direttamente alla riduzione del debito
2 – severo controllo e taglio delle spese dell’amministrazione pubblica, a partire dagli insopportabili costi della politica, illeciti perché già condannati da un referendum
3 – rilancio dell’economia, che può avvenire unicamente grazie ad una marcata riduzione del prelievo fiscale. In altre parole lasciando più soldi ai cittadini.
Quanto è stato fatto in questi mesi sembra stia andando esattamente in direzione opposta, tanto che in breve tempo il debito pubblico è aumentato di alcuni punti percentuali ed il PIL è in seria e preoccupante diminuzione.
Ma cos’è il debito pubblico e come si forma? Esso è (o dovrebbe essere, come vedremo) la somma dei debiti contratti dalla pubblica amministrazione, centrale o locale, e dagli enti di previdenza, nei confronti dei terzi. Esistono però in tutti i paesi dei procedimenti, un po’ truffaldini, per far figurare un debito inferiore a quello reale. Per esempio, in Italia non figurano nel debito pubblico circa un centinaio di miliardi di cui sono creditori molti fornitori di beni e servizi al sistema pubblico e molti contribuenti che hanno versato più tasse del dovuto.
Anche la “virtuosa” Germania ha tuttavia le sue pecche. Infatti il debito pubblico della Germania , dice l’economista Raffelhuschen non smentito da nessuno, è il più alto d'Europa: 2080 miliardi, nel 2010, secondo Eurostat, pari all’83,2% del prodotto interno lordo ed è stato artificialmente sgonfiato non computando le spese pubbliche delle pensioni e dei servizi sociali. La Germania acquista così, dolosamente, il primo premio nella classifica mondiale dell'affidabilità, stilata dalle agenzie di rating americane.

Come si forma il debito pubblico? Esso è ovviamente la somma, nel tempo, dei deficit di bilancio che non si sono potuti finanziare ricorrendo a misure fiscali. Per esempio, nel 2010 il deficit italiano, rapportato al PIL, è stato del 4,6%, contro il 3,3% della Germania ed il 7% della Francia. Come si vede, in tutti i casi esso è stato superiore ai limiti di Maastricht. Ma perché, sistematicamente, i bilanci pubblici sono sempre in deficit, contribuendo in tal modo all’aumento del debito, anche se l’aumento è in parte compensato dall’effetto inflazione, che agisce diminuendo in sostanza il valore del debito pregresso, espresso generalmente in moneta costante?

L’unica spiegazione che si può dare di questo fenomeno sta nel sistema comunemente adottato per la formazione del bilancio preventivo. Mentre nelle famiglie normali si calcolano innanzitutto le prevedibili entrate e poi si stabilisce un programma di spese compatibile, rinunciando eventualmente ad alcune scelte, nel settore pubblico si procede abitualmente in modo contrario. Prima di tutto si decidono le spese che si debbono o si vogliono sostenere, e poi se ne cerca la copertura. Il primo provvedimento di copertura consiste generalmente in un aumento della pressione fiscale, togliendo ai cittadini ciò che è loro necessario per finanziare non solo il proprio mantenimento, ma anche e soprattutto lo sviluppo del paese.

Ciò che non si riesce a finanziare con il fisco lo si finanzia con il debito.

Esiste tuttavia un caso in cui le cose vanno diversamente. Si tratta della Svizzera che, fino ad un certo punto si è comportata come tutti gli altri paesi, ma poi ha cambiato rotta. Nel 1990 il debito pubblico rappresentava il 29,9% del PIL, nel 2000 il 49,9% e nel 2004 il 53%, con una fin troppo evidente tendenza all’aumento.

Preoccupati dal crescente indebitamento, nel 2000 i cittadini elvetici hanno lanciato un referendum per porre un freno all'aumento della spesa pubblica. Il 2 dicembre del 2001, in seguito ad una consultazione popolare, è stato quindi approvato, dall'84,7% dei votanti e da tutti i cantoni, il meccanismo del "freno all'indebitamento" pubblico. Il meccanismo adottato a livello federale è basato sull'accantonamento delle eccedenze negli anni di alta congiuntura, in modo da finanziare spese pubbliche straordinarie nei momenti di crisi.

Venne quindi introdotto nella Costituzione svizzera un nuovo articolo, l'Art. 126, che nel dettaglio prevedeva:

1.  La Confederazione equilibra a lungo termine le sue uscite ed entrate.
2. L'importo massimo delle uscite totali da stanziare nel preventivo dipende dalle entrate totali stimate, tenuto conto della situazione economica.
3.  In caso di fabbisogno finanziario eccezionale l'importo massimo di cui al capoverso 2 può essere aumentato adeguatamente. L'Assemblea federale decide in merito all’aumento.
4. Se le uscite totali risultanti dal conto di Stato (così sono ufficialmente i cantoni) superano l’importo massimo di cui ai capoversi 2 o 3, le uscite che eccedono tale importo sono da compensare negli anni successivi.

Grazie a questa provvidenziale decisione, il rapporto debito/PIL è sceso nel 2010, in piena crisi economica mondiale, al 38,2% del PIL. Il "freno all'indebitamento" si è quindi dimostrato un meccanismo efficace per scongiurare l'indebitamento eccessivo (in cinque anni il debito pubblico è stato ridotto del 20%), ma sufficientemente elastico per garantire - in casi eccezionali - una spesa pubblica elevata.

Questo esempio non suggerisce nulla ai soloni che cianciano di introduzione nella Costituzione dell’obbligo del pareggio di bilancio, ma che continuano a finanziare a piè di lista ed in bianco tutte le follie della pubblica amministrazione, centrale e locale, nella errata convinzione che l’unico modo per raggiungere il sospirato pareggio consista nell’estorsione? E comunque non è certo soltanto col pareggio di bilancio che si potrà ridurre il debito, ma con una politica che contempli i provvedimenti cui abbiamo accennato sopra, ed altri ancora nella stessa direzione.

 Il Bertoldo






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