Da
molto tempo la parola PIL, che significa Prodotto Interno Lordo, è una delle
più usate dai mezzi di comunicazione, nei dibattiti politici, dai commentatori
economici, dai componenti del governo, nelle conversazioni di argomento
economico e politico.
Ma
prima di azzardare alcune considerazioni in merito vale la pena di ricordare
cosa si intende per PIL. Senza stare a sottilizzare sulle finezze della scienza
statistica ed economica, il PIL rappresenta in sostanza, com’è implicito nella
espressione stessa, il valore di tutta la produzione del paese, valutata a
prezzi di mercato.
Ma
nel paese si produce non solo alla luce del sole: esiste, com’è noto, anche una
economia cosiddetta “sommersa”. Quindi, al fine di dare un quadro più preciso
della situazione, occorre tentare una valutazione di questa economia sommersa.
E qui sorgono le prime difficoltà. Come si può valutare l’economia sommersa? Ed
in cosa consiste? Evidentemente non si può pensare che essa consista solamente
nei bar e nei parrucchieri che non rilasciano lo scontrino fiscale, come
talvolta cercano di farci credere. Ben più rilevanti sono di certo quelle
attività para industriali che producono beni senza risultare da nessuna parte,
con personale in “nero”, eccetera.
Ma
due altri importanti settori sono costituiti da tutte le attività illegali:
contrabbando, traffico di droga, estorsione, prostituzione e simili. Ed infine,
voce assai rilevante, la corruzione, che dall’Istat viene stimata in circa
sessanta miliardi annui. Infatti il corruttore non può che usare somme
sottratte all’occhio del fisco ed il corrotto ovviamente si guarda bene dal
dichiarare quanto ha illecitamente percepito.
Fatte
tutte queste precisazioni, la quota di economia sommersa viene valutata, dalla
Corte dei Conti e dall’Istat in circa 200/250 miliardi annui. Altri propongono
valori diversi, in genere superiori. Va rilevato che, come si è detto
all’inizio, l’effettiva entità di questa voce non può che essere ignota; ne
consegue che, se i ragionamenti formulati per stabilirne l’ammontare hanno
qualche parvenza di attendibilità, più essa è grande più cresce formalmente il
valore del PIL, con generale soddisfazione. In ogni modo abitualmente, al
calcolo dell’economia “regolare” si aggiunge un 15/20% di “sommerso”.
Ma
c’è un altro punto evidentemente di difficile soluzione. Mentre è relativamente
facile (per modo di dire…) stimare il valore di mercato dei beni e servizi
prodotti annualmente (case, autovetture, abiti, scarpe, generi alimentari
eccetera), qual è il valore di mercato dei servizi forniti dalla pubblica
amministrazione? Esso non è affatto valutabile in modo obbiettivo. Quindi, per
convenzione generalmente accettata, si considera che esso sia pari al suo
costo.
Ed
ecco spuntare una imprevista difficoltà. Se, a seguito di una riorganizzazione
operativa e normativa fosse possibile ridurre, a parità di efficienza (e quindi
di servizi forniti) o addirittura ad efficienza aumentata, il costo
dell’amministrazione di una quota anche rilevante, se ne otterrebbe
teoricamente una diminuzione del PIL, pur di fronte ad un considerevole
risparmio di risorse pubbliche.
Se
invece, al contrario, per svolgere le stesse identiche attività, si procedesse
a nuove numerose assunzioni di personale – con tutte le spese connesse,
affitti, arredi, costi telefonici, riscaldamento eccetera – si otterrebbe, a
fronte di un pesante aumento dei costi pubblici, un ingiustificato incremento
del PIL, con generale soddisfazione dei pubblici amministratori, anche se con
un peso aggiuntivo sulle spalle dei cittadini contribuenti ed a costo di una
possibile grave recessione.
Volendo
essere un po’ maliziosi si potrebbe sospettare che alla riluttanza a tagliare i
costi della pubblica manifestata dall’attuale governo (come del resto anche dai
precedenti) non sia estranea la preoccupazione di veder diminuire il PIL
ufficiale. E forse l’insistenza sul problema dell’evasione, che viene
presentata come un fenomeno in crescita – cosa del resto comprensibile
considerata la riconosciuta proporzionalità fra evasione ed alto prelievo
fiscale – è forse legata alla possibilità di ritoccare la quota di sommerso
inclusa nel PIL per controbilanciare gli effetti negativi di una eventuale
riduzione della spesa pubblica.
Queste
riflessioni, per forza di cose molto sintetiche, mostrano quanto siano
discutibili tante serissime affermazioni sull’andamento dell’economia nazionale
e sul costo della pubblica amministrazione basate sul PIL o sul rapporto “debito/PIL” o ancora
su quello “prelievo fiscale/PIL”.
Il Bertoldo
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