07 dicembre 2012

IVA - Imposta sul valore aggiunto


In principio c’era l’IGE, introdotta nel 1940 sostituendo l'imposta unica sugli scambi commerciali. Essa era un tributo plurifase sul valore pieno e si applicava sui trasferimenti dei beni in tutto il loro valore, e non solamente su quello aggiunto. Quando essa venne abolita nel 1973 l’aliquota era del 4%, e fu sostituita dall’IVA.  All'entrata in vigore, il_1º gennaio 1973, l'aliquota IVA ordinaria, ovvero per la maggior parte di beni o servizi, era il 12%, portata al 14% nel 1977, al 15% nel 1980, al 18% nel 1982, al 19% nel 1988, al 20% nel 1997 e per ultimo, con applicazione dal 17 settembre, l'aliquota ordinaria è salita di 1 punto percentuale arrivando al 21%.
Si ritenne opportuno abbandonare il concetto IGE perché si trattava di un tributo plurifase sul valore pieno e si imponeva su tutti i successivi passaggi  dei beni in tutto il loro valore, e non solamente su quello aggiunto ad ogni fase del processo produttivo, svantaggiando i sistemi produttivi che non effettuavano l’intero ciclo di produzione e seguendo quindi ogni passaggio fino alla vendita finale. Invece l’IVA, applicandosi unicamente al valore aggiunto, si pensò che fosse meno penalizzante. In realtà, ipotizzando una produzione di un qualsiasi bene suddivisa in cinque fasi, l’IGE  al 4% come era nel 1973 equivaleva più o meno esattamente al 12% dell’IVA iniziale.
Ma tralasciando gli aspetti puramente tecnici e storici occorre fare una considerazione a nostro avviso molto importante. L’IVA viene considerata un’imposta sulle transazioni commerciali, mentre in realtà essa sembra essere una sovrimposta sui redditi del tutto anomala.
Consideriamo come si possono analizzare gli elementi che compongono una transazione commerciale. Il prezzo di un qualsiasi prodotto o servizio è costituito dai costi sostenuti dal venditore, più o meno il suo profitto o la sua perdita. In cosa consistono i suoi costi? Essi consistono sostanzialmente nel prezzo da lui pagato per ciò che ha acquistato all’esterno più i compensi che ha corrisposto ai suoi collaboratori. Questi compensi costituiscono il loro reddito, tassato alla fonte per quanto percepito subito e con tassazione differita per i redditi differiti (TFR e pensione corrispondente ai contributi previdenziali versati).
Andando a ritroso, lo stesso ragionamento va fatto per quanto pagato da questo imprenditore ai suoi fornitori. Riassumendo, si può quindi affermare che il prezzo di qualunque prodotto o servizio acquistato dal consumatore finale è costituito dalla somma dei redditi di tutti coloro che hanno contribuito alla sua produzione, redditi che per definizione hanno già assolto o dovranno assolvere in futuro i propri doveri fiscali.
Quindi l’IVA, che viene alla fine corrisposta dal consumatore finale, costituisce di fatto una sovraimposta piuttosto pesante sui redditi di tutti coloro che hanno concorso alla produzione di quel determinato bene. Ma l’anomalia consiste nel fatto che è il consumatore finale che deve pagare questa imposta  non sui propri redditi, ma su redditi percepiti da altri. Ed inoltre, trattandosi di una imposta proporzionale al valore della cosa acquistata, essa non risponde (né potrebbe comunque corrispondere) al criterio di progressività solennemente sancito dalla Costituzione.
Sembra tutto piuttosto strano e con un certo sapore di presa in giro…

Il Bertoldo

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