18 dicembre 2012

Tributi


Roma, verso la fine del periodo repubblicano e poi soprattutto durante l’impero, nel suo processo di espansione adottò una particolare forma di assoggettamento dei territori conquistati o sottomessi, forma che del resto nell’antichità era utilizzata da molti altri grandi regni, per esempio dall’impero cinese.
Molti degli stati indirettamente sottomessi al potere di Roma, talvolta addirittura pe volontà testamentarie dei rispettivi sovrani, prima di acquisire il titolo di “provincie”, spesso erano considerati “regni tributari”, che mantenevano in una limitata misura i propri ordinamenti, ma erano comunque retti da un governatore romano ed erano soggetti al pagamento di un tributo a Roma. In cambio di ciò, come elementi costituenti del dominio romano, Roma si impegnava alla loro difesa, che del resto rappresentava pure una difesa dei possedimenti di Roma stessa e quindi dell’impero.
Di ciò parla espressamente l’evangelista Luca quando spiega che la predicazione di Giovanni il Battista avvenne mentre “Ponzio Pilato governava la Giudea ed Erode era tetrarca della Galilea” (Luca 3,1) e più avanti riferisce che alcuni giudei chiesero a Gesù “Ci è lecito o no pagare il tributo a Cesare?”  (Luca 20,22) e Gesù rispose con la famosa frase “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” (Luca 20, 25).
Il sistema antico ha avuto una rinascita molto recente, formalmente nel nobile ed apprezzabile tentativo di costituire un insieme politico che eliminasse ogni pericolo di ripetizione dei sanguinosi conflitti che più volte e per vari secoli hanno devastato il nostro continente. Come avrete capito sto accennando alla creazione dell’Unione Europea, nata come Mercato Comune Europeo, poi divenuta Comunità Economica Europea, ed infine, per non limitarsi a volgari questioni di mercato, Unione Europea.
Si tratta come tutti sanno di una organizzazione il cui vertice esecutivo, pur non disponendo di tutti i poteri di uno stato nazionale, legifera – per ora solo in campo economico, fiscale e finanziario – senza alcuna investitura popolare. Il Parlamento Europeo, unica istituzione formalmente democratica dell’Unione, divenuto nomade per non scontentare nessuno, sebbene eletto dai cittadini dei paesi partecipanti, è sprovvisto di qualsiasi effettivo potere.
Naturalmente i paesi associati sono tenuti a pagare un “tributo” sia per il mantenimento dell’organizzazione, inutilmente faraonica e quindi assai costosa, ma anche per intervenire in aiuto dei membri in difficoltà, grazie anche al fatto che la Banca Centrale Europea, cui è demandato il compito, per quanto riguarda i paesi della cosiddetta Eurozona, di svolgere le funzioni di controllo sulla circolazione della moneta, di fatto non dispone delle caratteristiche delle banche centrali, in particolare quello di essere il prestatore di ultima istanza.
Anche il nostro paese si trova sostanzialmente nella condizione di un “regno tributario”: versiamo il tributo a Cesare (nel nostro caso la UE), abbiamo un re senza poteri (il nostro Presidente della Repubblica) e da un anno circa un “governatore”, che in tale sua qualità segue più i diktat della UE, ispirati dalla potenza egemone, la Germania, che non gli interessi del paese che è stato chiamato (o forse imposto?) a gestire.
Naturalmente ci sarebbe da aspettarsi che, in cambio di questo regime da protettorato il nostro paese potesse godere della necessaria assistenza e protezione in caso di problemi sia con paesi appartenenti alla UE, sia a più forte ragione con paesi esterni. L’episodio più recente è quello – di cui si parla quotidianamente  - dei due militari italiani detenuti in India con l’accusa di omicidio nei confronti di due pescatori indiani scambiati per pirati. Il fatto sarebbe avvenuto in acque internazionali e quindi sembrerebbe che la giurisdizione debba essere italiana e non indiana. Le nostre proteste – pacate, per non urtare nessuno – sono cadute nel vuoto, malgrado il riacquistato prestigio internazionale di cui l’Italia, sotto la guida del nuovo governo, godrebbe.
Ci si sarebbe aspettato che l’UE intervenisse in qualche modo presso il governo indiano per sostenere la posizione dell’Italia: invece niente, ciò che sembra dimostrare che il nostro prestigio non solo non è stato riacquistato all’estero, ma neppure all’interno dell’unione cui partecipiamo sia molto alto.
A proposito di questa dolorosa e spiacevole vicenda vale la pena di notare le alte grida di indignazione che da ogni parte politica si elevano contro le lungaggini della magistratura indiana, che rinvia ogni decisione da oltre dieci mesi. Ciò che suscita l’ilarità è che queste proteste vengano da chi non si è mai accorto delle lungaggini e dell’indecente pigrizia della nostra magistratura e non ha cercato minimamente di porre un argine a questa nostra tipica situazione che tanti danni, economici e morali, ha provocato nel nostro paese e che è la causa non ultima della riluttanza dei possibili investitori stranieri ad avviare attività in Italia.
Come diceva una famosa frase, “medice, cura te ipsum” e soprattutto vale la pena di ricordare l’evangelica parabola della pagliuzza e della trave.
 Il Bertoldo

Nessun commento: