21 maggio 2013

Lavoro



Da anni il nostro paese sta attraversando una delle più gravi crisi che l’abbiano mai colpito. All’inizio un sostanziale ristagno dell’economia, poi una vera e propria recessione. Le conseguenze sono purtroppo non solo note, ma sentite da tutti. Diminuzione costante del PIL, sovraccarico di tasse e balzelli vari, fallimenti, disoccupazione crescente, addirittura suicidi di persone disperate per aver perso tutto e non sapere più a che santo votarsi per mantenere sé e la famiglia.
Ormai non ci sono più solo proteste di singoli lavoratori disoccupati che, intervistati da giornali e TV, reclamano lavoro; con sempre maggior frequenza si effettuano manifestazioni di cittadini esasperati. D’altro canto politici, sindacalisti, opinionisti di ogni colore mettono come prioritario il problema del “lavoro”, citando cifre preoccupanti sulla disoccupazione in generale e su quella giovanile e femminile in particolare. Si è arrivati persino a dire che lo stato deve lasciar perdere la questione IMU, tanto cara al centro destra, e concentrarsi sulla questione lavoro.
Il problema ovviamente esiste, è estremamente grave e richiede certamente di essere posto fra le priorità più urgenti. Ma, come troppo spesso (per non dire sempre) accade, ci si limita ad enunciare il problema senza identificarne le cause, l’unica via per trovare una soluzione. Non si può curare una malattia se non se ne conosce la causa al fine di individuare il rimedio più opportuno.
Le cause del grave fenomeno della disoccupazione sono assolutamente ovvie ed alla portata di tutti, purtroppo però non è politicamente corretto enunciarle. Cerchiamo di farlo razionalmente.
E’ nozione assolutamente evidente a chiunque che si lavora per produrre beni o fornire servizi (la regola non vale per molti settori della pubblica amministrazione dove vengono forniti “posti” e non “lavori”). Naturalmente i beni ed i servizi prodotti devono trovare degli acquirenti disposti a pagare un prezzo che copra per lo meno le spese della produzione, prime fra tutte la manodopera. Se non ci sono compratori è inutile lavorare per produrre e quindi se non c ‘è lavoro non ci sono retribuzioni, ed a catena se non ci sono soldi non si possono acquistare beni e servizi: si tratta in definitiva di un circolo vizioso.
Ma perché all’origine di tutto il processo i cittadini non dispongono dei mezzi necessari a far funzionare tutto il sistema? Le cause sono molte e diversificate, ma  quasi tutte riconducibili all’azione dei poteri pubblici. Un livello di prelievo fiscale che ormai ha superato il 50% di quanto si produce nel paese priva i cittadini di buona parte del frutto del loro lavoro. La cosa, pur esagerata, non sarebbe così tragica se i mezzi sottratti dallo stato alla libera disponibilità di chi produce fossero impiegati bene: purtroppo invece buona parte di essi viene sprecata in parassitismi, corruzione, sprechi, spese del tutto inutili, clientelismi vari, uno stato cosiddetto sociale che anziché provvedere ai bisogni del paese sperpera ingenti mezzi senza alcun beneficio per la popolazione proporzionato al suo costo.
D’altra parte, l’eccessiva imposizione fiscale che grava non solo sui singoli ma anche e soprattutto sulle imprese determina costi di produzione assolutamente fuori mercato, per cui hanno facile gioco altri paesi, diversamente e più efficientemente gestiti, ad invadere il nostro paese con le loro produzioni, meno costose.
Non ha alcun senso, per esempio, che in un paese con un tasso di disoccupazione molto alto ed in continuo aumento, come l’Italia, si applichi una tassa, l’IRAP (invenzione brevettata della sinistra, che la destra non ha osato modificare od eliminare) che colpisce fra l’altro anche i costi di manodopera.
E l’elenco delle responsabilità della politica nell’aggravarsi della crisi potrebbe continuare.
In buona sostanza, il problema del lavoro, com’è ovvio, non può essere risolto se non si rivede tutta l’organizzazione dello stato: in poche parole se non si provvede a tagliare in modo drastico i costi dell’amministrazione pubblica, se non si ingaggia una lotta serrata ed efficace contro gli sprechi, le malversazioni, i parassitismi. E si smetta una volta per tutte di far ricadere la responsabilità della crisi solo ed esclusivamente sui soliti evasori: ben altre sono le cause dello sfascio. L’evasione si combatte soprattutto se lo stato si decide a limitare le sue pretese ed a fornire servizi decenti. Non è un mistero che quanto più basso è il livello dell’imposizione e tanto più semplificato tutto il sistema, tanto meno conveniente è l’evasione.
Naturalmente non si vede per quale motivo la politica dovrebbe adottare i provvedimenti indicati, che la colpirebbero proprio nei suoi tutt’altro che limpidi interessi: clientelismo, parassitismo, corruzione, spreco ingiustificato di denaro pubblico e simili comportamenti. Va però ribadito il concetto che non ci sono altre strade per uscire dalla crisi e ridare il “lavoro” tanto agognato a chi l’ha perso o non riesce a procurarselo.

1 commento:

Firmato Winston Diaz ha detto...

Non vorrei dire, ma l'irap serve a coprire i costi della sanita', e tutto sommato non e' altro che la vecchia assicurazione malattie obbligatoria.
Per questo non ha le tutte caratteristiche di una tassa (che di solito, al contrario dell'irap, e' proporzionale al reddito).
Per quanto riguarda il prelievo fiscale, purtroppo una parte sempre crescente va a coprire interessi sul debito dello stato, che e' contratto con istituzioni globali private, che fanno di tutto per renderli massimi e lucrare di piu'. Ormai gli interessi sul debito sono quasi pari alle spese per la scuola, e cominciano a diventare paragonabili all'intera spesa per i dipendenti pubblici, 90miliardi contro 160).
Dopo un trentennio di sostanziale privatizzazione della banca d'italia, e di continua crescita del debito e/o della tassazione, direi che si puo' affermare che gli interessi sono li' apposta a renderci impossibile l'estinzione del debito.
Per il resto, non si puo' che essere d'accordo.