Un articolo di Alessandro Corneli
Con due editoriali, apparsi giovedì e venerdì scorsi, il Corriere della Sera ha rifilato due veri e propri ceffoni alla sinistra. Con il primo, dedicato ai Ds, descritti come avviliti per l’emarginazione dal mondo degli affari che conta, ma accusati di essere causa del proprio male perché i post-comunisti continuano a voler essere centrali nel rapporto politica-affari, il Corriere ha voluto rimettere in riga il maggior partito della coalizione di centrosinistra. Con il secondo, dedicato alla politica estera, con parole sferzanti il Corriere ha accusato il governo di essere un parvenu, di continuare nel solco della tradizione italiana per cui la politica estera serve ad apparire e soprattutto a creare consenso da spendere nel dibattito politico interno. Se si aggiunge il forte richiamo di Bruxelles all’Italia sulla tenuta dei conti pubblica, non sembra che l’idea che a Bruxelles si ha dell’Italia sia cambiata da quando Prodi ha sostituito Berlusconi.
Sul primo punto, la risposta piccata di Fassino al Corriere è stata di una tale ovvietà che non ha bisogno di commenti. Probabilmente non ha capito che l’articolo del Corriere era una provocazione, che ha avuto un risultato: quello di impegnare i Ds sulla difesa di una Finanziaria che a sinistra dei Ds e nei sindacati è già contestata.
Sul secondo punto, pur nella loro superficialità e scarsa costruttività, le accuse del centrodestra a Prodi e D’Alema di enfatizzare in modo eccessivamente propagandistico il ruolo internazionale dell’Italia hanno avuto un riconoscimento implicito da parte di una forza terza, per cui se qualche cosa andrà male è già scritto il copione: le tegole sono cadute in testa a chi è andato a cercarle.
Sul terzo punto, l’Italia è ben conosciuta a Bruxelles per i suoi impegni europeistici che poi sono sistematicamente mancati. Con un Epifani che già mette le mani avanti sulla Finanziaria, in Europa non si diradano i dubbi sul nostro Paese. Il leader sindacale, che indubbiamente dispone di autonome fonti di calcolo, ha detto, criticando la “vecchia politica di tagli” allo stato sociale, che l'obiettivo del 2,8% del deficit si potrebbe raggiungere anche “con una manovra inferiore ai 30 miliardi”. In pratica, si è riferito solo al “boom delle entrate”. Epifani non ha apprezzato le notizie filtrate sulla riforma delle pensioni, che a suo giudizio non si devono toccare.
Secondo Bonanni, della Cisl, “Padoa Schioppa sbaglia a dire no ad una manovra in due tempi e anche questa tempestività di Almunia da Bruxelles è stata esemplare e un po’ sospetta”.
Per il momento, Prodi e il suo ministro dell’Economia hanno resistito, ma poi bisognerà vedere che cosa accadrà quando la Finanziaria arriverà in Parlamento. Qualcuno sospetta che Prodi pensi ad allargare la maggioranza o a sostituirne qualche defezione. Sul punto, ha detto: “Non mettiamo limiti alla provvidenza”. Esclusa, invece, in sintonia con D’Alema, l'idea di una grande coalizione.
Come ha messo in evidenza Carlo Pelanda su il Giornale di venerdì, ciò che preoccupa Bruxelles è che il debito pubblico italiano continua a crescere e quindi va ad incidere sul debito pubblico complessivo dei Paesi dell’euro, mettendo in pericolo la credibilità della moneta unica. Tanto più che l’idea di fare uscire l’Italia dall’euro avrebbe proprio l’effetto di fare naufragare la moneta unica: a Bruxelles si sospetta quindi che l’Italia faccia il solito gioco del ricatto: deve essere sopportata con la sua politica economica inconcludente perché metterla fuori significherebbe far fallire tutto il progetto europeo.
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