05 gennaio 2007

50,000 ragioni


Per le quali Saddam Hussein non e' un martire.

Saddam Hussein è stato giustiziato. La condanna alla pena capitale è stata pronunciata da un tribunale iracheno, che non solo ha concesso all’imputato un regolare processo, e gli ha garantito il diritto alla difesa (fra i suoi difensori c’era pure un legale americano), ma lo ha condannato in base alle leggi di quel paese, leggi che, a quanto risulta, erano le stesse in vigore nel periodo in cui Saddam ha esercitato la sua spietata dittatura.
Peraltro ben poche delle sue innumerevoli vittime hanno avuto il privilegio di essere processate regolarmente, secondo le stesse leggi che sono state applicate a lui, ma sono state assassinate – spesso in massa – senza possibilità di difendersi, né in diritto né in fatto. I suoi accoliti continuano a mietere vittime del tutto innocenti, colpevoli soltanto di non appartenere alla loro stessa fazione. E questi suoi accoliti agiscono regolarmente nel modo più vigliacco possibile: lanciano la bomba e si nascondono.
Di fronte alla condanna prima ed all’esecuzione poi in tutto l’occidente (tralasciamo le ovvie manifestazioni del mondo arabo) si sono levate voci sdegnate contro un simile inumano trattamento. Tutti si sono dichiarati contrari all’applicazione di una pena così severa, la vita umana è sacra, nessun uomo ha diritto di togliere la vita ad un altro uomo, e via di questo passo.

Saddam è stato un feroce e sanguinario satrapo, un autentico criminale. Le sue vittime, senza contare quelle provocate nei due campi dalla insensata guerra decennale con l’Iran, si calcolano in circa centottanta/duecentomila. Non risulta che alcuno di coloro che si sono tanto indignati per questa condanna abbia mai alzato una voce per il massacro, avvenuto senza alcun regolare processo, di molti fascisti, primo fra tutti Benito Mussolini e la sua amante Claretta Petacci, barbaramente uccisi e indegnamente esposti al ludibrio della folla.
In questo caso gli iracheni si sono dimostrati molto più civili di tanti che oggi levano il dito contro i giudici e le autorità irachene.
Gli stessi che si indignano per questa condanna a Saddam, comminata secondo le leggi del suo paese, che lui stesso ha voluto o comunque non ha mai rinnegato, non hanno espresso, oggi stesso, la minima emozione per gli oltre quaranta morti provocati dall’esplosione di un’auto bomba in mezzo alla folla. Evidentemente, questi poveretti uccisi in modo vigliacco ed infame non si erano mai occupate di politica, e quindi agli esseri superiori che stigmatizzato l’esecuzione del rais non interessano. Va solo notata una certa soddisfazione alla notizia che le vittime statunitensi della seconda guerra del Golfo hanno superato il numero delle vittime dell’11 settembre.
Infine, sempre da parte degli indignati speciali, nessuna critica contro le migliaia di esecuzioni pubbliche che avvengono ogni anno in Cina. Si tratta di delinquenti comuni, puniti secondo la legge del loro paese. Che differenza c’è con l’esecuzione di Saddam, egli pure delinquente – certo non comune ma politico, ma pur sempre un sanguinario assassino – processato e condannato secondo le leggi del suo paese?

Va poi rilevato che molti fra coloro che hanno severamente stigmatizzato il comportamento della giustizia irachena hanno ammantato la loro indignazione con la considerazione che probabilmente quanto è successo potrebbe portare ad un ulteriore inasprimento della violenza in quel paese, fra i sunniti e gli sciiti, con conseguente aumento dei massacri, regolamenti di conti, eccetera. Questo ragionamento ha certamente degli aspetti preoccupanti, e non è privo di una sua logica. Va tuttavia considerato che le azioni di autentica guerra civile in Irak hanno avuto inizio ben prima che lo stesso Saddam venisse catturato, e quindi non sono la conseguenza della sua detenzione e della sua condanna, ma risalgono a ben altre motivazioni.
Quindi non è da credere che se la sentenza di morte pronunciata nei suoi confronti fosse stata commutata nel carcere a vita gli attentati ed i massacri sarebbero cessati. L’unico modo per pacificare il paese, sia pure con sistemi che non suscitano peraltro alcuna indignazione nelle anime candide, sarebbe stato quello di reintegrare Saddam nel suo ruolo di dittatore, lasciandolo libero di comportarsi come meglio credeva. Infatti, prima della sua caduta, regnava nel paese una sanguinosa ma peraltro effettiva tranquillità : quella dei cimiteri e delle fosse comuni. Ma era questo che si sarebbe voluto ?
Per terminare questi tristi ragionamenti, dobbiamo rilevare l’ondivago comportamento del celebre onorevole Pannella: prima digiuna per far morire Piergiorgio Welby, e poi digiuna per non far morire Saddam: insomma la vita è sacra o no ? O non si tratta di una semplice questione di linea e di colesterolo ?

Ringrazio Augusto Fei per questo suo articolo.

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