Fra i mille problemi che affliggono attualmente la classe politica ve n’è uno in particolare che divide al proprio interno sia lo schieramento di centro sinistra che quello di centro destra: la necessità di modificare la legge elettorale, dato che tutti sono concordi nel ritenere che quella attuale sia del tutto inadeguata alle necessità del paese.
L’urgenza di trovare una soluzione a questo problema è data dalla imminenza di un referendum che sistemerebbe le cose in un modo sgradito a molti, e non certo dalla convinzione che la caduta del governo e nuove elezioni siano alle porte.
Due sono le principali concezioni che si scontrano su questo tema: sistema proporzionale o sistema maggioritario. Nell’ambito di queste due teorie a loro volta ci sono convincimenti diversi. In campo proporzionale si scontrano le esigenze di chi vorrebbe lasciare in sostanza mano libera ai partiti di decidere come coalizzarsi – post elezioni – secondo le convenienze, e comunque permettendo a qualsiasi sfumatura politica di essere rappresentata in parlamento, e dall’altro coloro che, attraverso un sistema di sbarramento, vorrebbero eliminare i mini partiti e definire a priori quali saranno le alleanze che, in caso di vittoria, saranno chiamate a governare.
Fra coloro che auspicano il mantenimento di un sistema maggioritario – come del resto è stato chiesto dagli elettori in un apposito referendum di qualche anno fa – alcuni parlano di bipolarismo, ossia la costituzione di due schieramenti (più o meno come avviene attualmente) fra partiti diversi ed autonomi, mentre altri sono propensi ad un sistema che in tempi brevi porti ad un bipartitismo, lasciando ai margini e privi di reale influenza tutti quei partiti che non sono in grado di raccogliere un sufficiente consenso elettorale.
E’ da ritenere che, prima di stabilire quale sistema elettorale debba essere adottato, invece di rifarsi a modelli esotici, si debba definire quale opzione si ritenga più importante: la governabilità o la rappresentatività. Se si privilegia la governabilità, è evidente che chi sia chiamato a governare debba essere assolutamente libero da condizionamenti e ricatti, spesso addirittura provenienti dai suoi stessi alleati: solo in questo modo il giudizio degli elettori potrà essere chiaro e netto e collegato senza incertezze ai risultati raggiunti, senza dover ricorrere ad acrobatici ragionamenti sulle eventuali e continue mediazioni cui il governo sarà stato costretto a ricorrere. Di conseguenza si potrà facilmente stabilire se il governo uscente sarà meritevole di conferma o sarà meglio provare la parte sua concorrente, l’opposizione.
Naturalmente è necessario che il sistema preveda che il partito che raccoglie il maggior numero di consensi possa governare senza condizionamenti da parte di altre formazioni politiche, che dovranno limitarsi a svolgere una democratica e possibilmente costruttiva opposizione.
Se invece, in base ad un malinteso senso di democrazia, si dovesse propendere per la seconda ipotesi, quella della rappresentatività perfetta, non ci sarà più nulla di certo, in quanto ogni decisione sarà frutto di continue contorsioni alla ricerca del consenso parlamentare. Un po’ quello che tutti abbiamo sperimentato nelle assemblee condominiali od in quelle scolastiche, nelle quali la rappresentatività è perfetta, ma troppo spesso si giunge alla paralisi totale ed alle diatribe inconcludenti per l’impossibilità di prendere decisioni condivise da maggioranze sufficienti ad adottare alcunché.
Come è ovvio, appoggiano la prima ipotesi, quella di assicurare la governabilità, i partiti maggiori, mentre sostengono ad alta voce il criterio della assoluta rappresentatività i partiti minori, e addirittura i mini partiti, tutti naturalmente preoccupati di non perdere il proprio posto ed il proprio potere di interdizione, enormemente superiore a quello dei partiti maggiori.
Per valutare coscientemente quale sistema possa meglio funzionare nella attuale e particolare situazione italiana, occorre fare una digressione.
E’ noto che se si rappresentasse in un grafico la distribuzione degli elettori di qualunque paese secondo le proprie preferenze politiche, partendo dall’estrema sinistra per giungere all’estrema destra, esso assumerebbe una caratteristica forma a campana, detta “gaussiana”, che presenta un significativo rigonfiamento in corrispondenza del centro del grafico stesso. Da questa constatazione di carattere, per così dire, scientifico, discendono alcune importanti conseguenze.
Innanzi tutto, la pretesa di ottenere una rappresentatività assoluta delle varie opinioni degli elettori causerebbe un eccessivo frazionamento del grafico stesso, rendendo impossibile il riconoscimento di chi ha acquisito, attraverso libere elezioni, il diritto di governare.
In secondo luogo, la proposta avanzata da alcuni di creare una forte formazione di centro è destinata a fallire, oppure a costituire una autentica frode nei confronti degli elettori. Infatti storicamente in Italia il centro, costituito in passato dalla Democrazia Cristiana, non ha mai superato un terzo dei consensi, e non c’è alcun motivo di pensare che attualmente le cose andrebbero diversamente; pertanto, qualora fosse possibile realizzare questa ipotesi, il partito centrista sarebbe obbligato ad allearsi o con parti della destra o con parti della sinistra, secondo le convenienze e l’esito delle elezioni, subendone i rispettivi condizionamenti e tradendo in tal modo il mandato degli elettori che evidentemente non erano interessati ad una politica diversa da quella immaginata e proposta in sede di campagna elettorale.
D’altra parte non ha alcun valore l’affermazione che in ogni modo un grande partito di centro continuerebbe a svolgere una politica opposta a quella delle sinistre. Basterebbe infatti ricordare quali differenze hanno caratterizzato la Democrazia Cristiana di De Gasperi e Scelba rispetto a quella di Fanfani e Moro.
Appare quindi ragionevole pensare che la soluzione del problema consista nel favorire la formazione di due grandi partiti concorrenti che si disputino di volta in volta il diritto e l’onere di governare il paese. A questo punto, per perfezionare il ragionamento, occorre rifarsi alla curva a campana di cui si è detto: da essa traspare chiaramente che la maggior concentrazione di opinioni si trova nel rigonfiamento del grafico, ossia nel centro.
E’ quindi ovvio che la lotta fra i due maggiori partiti dovrà svolgersi in modo tale da conquistare la maggior quota di elettori di centro: ciò porterà come conseguenza che, al fine di evitare di estromettersi volontariamente dal quadro politico, i due partiti dovranno avere programmi certamente differenziati, ma non tanto da spaventare gli elettori di centro, e quindi saranno abbastanza simili, uno orientato più alla socialità ed allo statalismo, l’altro ad idee liberali e più favorevoli alla iniziativa privata ed a principi di sussidiarietà. La conseguenza di un simile stato di cose sarebbe che le politiche delle due formazioni politiche che si alternerebbero al potere non sarebbero tali da sconvolgere ogni volta il quadro esistente in precedenza, e sarebbe assicurata in tal modo una certa continuità nella condotta del paese.
Naturalmente la tendenza ad un sistema bipartitico come quello enunciato – e non bipolare e tanto meno completamente proporzionale – provocherebbe la scomparsa di tutta una serie di piccole o minime formazioni politiche, complessivamente del tutto insignificanti e che purtroppo costituiscono unicamente dei fattori di disturbo nella gestione del paese. Sarebbe infatti interessante sapere in cosa formazioni come i Comunisti Italiani i dissidenti dell’ex DS od i Verdi, nelle loro varie sfaccettature, si differenzino fra di loro o rispetto ad altre formazioni di sinistra estrema. Lo stesso ragionamento vale per partiti come l’Italia dei Valori, o l’UDEUR, o il nuovo partito di Dini.
Alla fine di questa lunga riflessione non si può che giungere alla conclusione che gli esponenti dei vari partiti, in particolare i più piccoli, ma non solo, non possono o non vogliono riflettere in modo razionale sul problema, dimostrando di aver più interesse al mantenimento del proprio “status” che non alla soddisfazione dei reali bisogni del paese che pretendono di governare. Se poi questa mancanza di razionalità sia dovuta ad ignoranza od a dolo, ognuno lo decida per proprio conto. Vale comunque la pena di ricordare che lo scrittore inglese Robert Louis Stevenson ha definito la politica “l’unico mestiere per il quale non si ritiene necessaria alcuna preparazione”.
Il Bertoldo
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