Si è molto parlato nei giorni scorsi del cosiddetto “Affare Liechtenstein”. Il fisco tedesco, secondo quando è stato reso noto, grazie ad una operazione di aperta corruzione di un funzionario di una banca del Principato, è riuscito a mettere le mani su un elenco di persone e società, non solo tedesche, ma europee e di paesi extraeuropei, che sarebbero titolari di fondazioni costituite, secondo l’interpretazione datane dagli organi competenti di vari paesi, al fine di frodare il fisco usufruendo del segreto bancario ivi vigente. Evidentemente neppure la Cancelliera tedesca, che pure si proclama di idee liberali, è riuscita a dimenticare le abitudini spionistiche della Repubblica Democratica di infausta memoria, di cui è stata per lungo tempo suddita.
Risulta che le autorità italiane siano in possesso, grazie alla collaborazione del governo tedesco, dell’elenco dei nominativi italiani contenuti in quelle liste, fra i quali, inutile dirlo, figurerebbero anche nomi di personaggi politici. Naturalmente si è scatenata la solita canea mediatica, al grido di “fuori i nomi”, in ossequio al principio dell’assoluto rispetto della “privacy”. Alla possibilità di dar vita ad uno scandalo nazionale, soprattutto se ciò può portare vantaggi in epoca elettorale, nessuna sa resistere.
Non è il caso di fantasticare se i fondi rifugiatisi in quel “paradiso fiscale” siano di origine onesta o frutto di riciclaggio di denaro derivante da attività illecite. Quello che preme sottolineare è il fatto che tale documentazione è stata acquisita grazie ad operazioni illegali quali sono il furto da parte del venditore e la corruzione da parte del compratore. In estrema sintesi possiamo concludere che dopo lo stato spione, lo stato estorsore, lo stato ricattatore, oggi abbiamo finalmente anche lo stato ricettatore. In buona sostanza, come sono usi dire i legulei, questo stato si considera superiore anche alle proprie leggi, proprio come i sovrani assoluti di una volta od i dittatori dei tempi più recenti.
Il Bertoldo
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