Molta curiosità ha
suscitato tempo fa l’affermazione del professor Mario Monti che intendeva
“salire “ in politica, anziché “scendere” nell’arena, com’è uso comune
dichiarare. Ci si domandava, da parte di tutti, se tale espressione non fosse
una forma di snobismo: il Professore, in quanto uomo nuovo e al di sopra delle
parti, forse non intendeva essere confuso con la massa degli “incapaci” (come
lui stesso aveva definito i politici di mestiere), appunto coloro che
“scendono“ in campo, ed ha usato un’espressione che lo contraddistinguesse.
Noi crediamo che le cose
stiano in effetti in un modo molto diverso. L’espressione “salire” rispecchia
fedelmente la qualità particolare che lo distingue. In tutta la sua vita è
stato un “arrampicatore sociale” e non si vede perché, nel raggiungere il punto
più alto della sua carriera (almeno per il momento), non avrebbe dovuto
impiegare un’espressione diversa da
quella usata.
D’altra parte, proprio
poiché si tratta di persona che “sale” e non “scende”, l’esimio Professore
ritiene assolutamente normale che i suoi giudizi sugli altri, che sono “scesi”
in politica e quindi sono collocati tanto più in basso di lui, siano giusti,
corretti ed assolutamente inevitabili. Quindi quotidianamente critica, anche
aspramente, i suoi avversari, o quelli che lui ritiene tali, spesso smentendo
se stesso o semplicemente mentendo (nel suo caso riteniamo che non di menzogne,
ma di ingegnose verità si tratti).
E tutto ciò benché sappia
perfettamente che, dato l’esito quanto meno modesto che otterranno nelle
prossime elezioni le liste a lui apparentate – lui non poteva, per ragioni di
prestigio, scendere fino a farsi giudicare, attraverso le elezioni, dalla plebe
ignorante – se vorrà risalire sul tram governativo, dovrà accettare di unirsi a
chi avrà ottenuto più voti e che oggi critica senza remore.
Tuttavia il Professore, che
esercita ampiamente il suo diritto di critica, è assolutamente allergico alle
critiche degli altri. Sebbene egli stesso abbia dichiarato, nel suo programma,
che occorre rivedere le leggi sull’IMU, sul lavoro eccetera, guai a chi si
permette di rinfacciargli le sue decisioni relative proprio a quelle leggi ed a
tutta le gestione del suo ministero.
In definitiva sembra che,
memore dei suoi giovanili anni, egli abbia assunto a proprio motto il titolo di
una canzone portata al successo negli anni sessanta da Caterina Caselli:
“Nessuno mi può giudicare”…
Il Bertoldo
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