La Corte di Cassazione ha
definitivamente deciso che il quotidiano Il Giornale dovrà versare un
indennizzo di centomila euro alla dottoressa Ilda Boccassini, che si è ritenuta
offesa e diffamata da un articolo nel quale si commentavano alcuni suoi
atteggiamenti in relazione a vari procedimenti da lei intentati a carico di
Silvio Berlusconi. Non è la prima volta che la Boccassini incassa indennizzi
dal Giornale, e va detto che la rapidità con cui le sue querele vengono
trattate in tutti i gradi di giudizio testimonia che non sempre e non per tutti
la giustizia è lenta come si dice.
La legge condanna la
diffamazione, come del resto la calunnia, e la considera un reato. Riteniamo
quindi perfettamente giusto che, se offesa c’è stata, ci sia un risarcimento.
Va rilevato che nel diritto italiano si ha diffamazione anche se quanto
affermato non è necessariamente falso. Infatti l’art. 595 del Codice Penale
prevede che “Chiunque … comunicando con più persone, offende l’altrui
reputazione è punito… ecc”: in pratica è vietato parlar male o dire maldicenze
rispetto ad una persona od una istituzione, anche se quanto detto risulta vero.
Ricordiamo che in altri paesi, per esempio nel diritto USA, chi dice il vero o
esprime opinioni personali non può essere condannato per diffamazione. In
Italia invece dare del ladro ad un ladro autentico costituisce diffamazione.
Ma lasciamo da parte le
sottigliezze giuridiche, che peraltro non sono il nostro campo, e veniamo ad
alcune considerazioni terra terra, probabilmente da ritenersi del tutto
fantasiose da parte degli esperti in materia. La dottoressa Boccassini,
Procuratore aggiunto presso il Tribunale di Milano, che probabilmente aspira al
titolo di Vishinsky (quello della grande purga sovietica degli anni trenta)
italiano , nel corso degli ultimi vent’anni ha intentato una miriade di
processi nei confronti di Silvio Berlusconi, accusandolo pubblicamente di ogni
sorta di infamie: corruzione, evasione fiscale, riciclaggio e simili. Nella
maggior parte dei casi l’indagato è stato prosciolto perché il fatto non
sussiste o per non aver commesso il fatto. Queste pubbliche gratuite accuse non
costituiscono forse diffamazione, o addirittura calunnia? Ma nessuno risponde
di questi reati, perché i magistrati sono al sicuro da ogni addebito.
E va precisato che la
riflessione che precede prende spunto dal caso Berlusconi, ma molti altri
soggetti hanno subito la stessa sorte, senza che mai alcun provvedimento sia
stato preso nei confronti di chi dispensa gratuite accuse nei confronti di chiunque,
forse alla ricerca di facile notorietà. E queste considerazioni non valgono
solo per la dottoressa Boccassini, ma per molti altri suoi colleghi,
specializzati nelle inchieste fasulle, e che in molti casi, grazie alla
notorietà acquisita, sono riusciti ad entrare in Parlamento, naturalmente senza
perdere il proprio posto in magistratura. Del resto, se in tutte le professioni
del mondo i ripetuti fallimenti sono causa quanto meno di problemi di carriera,
nel caso dei magistrati ciò non avviene: l’unico elemento valido per la
carriera è l’anzianità.
Beati loro: carriera
assicurata e qualche incerto (molto positivo) del mestiere!
Il Bertoldo
1 commento:
Diceva Vishinskij: "Datemi tre righe scritte da chiunque ed io lo farò condannare a morte", ed i suoi processi si concludevano con un colpo di pistola alla nuca dell'imputato.
Ma siccome i palloni pieni d'aria che scoppiano non fanno danni (se non economici all'imputato, ed allo Stato per la perdita di tempo) non venite a chiamarmi la dottoressa ilda la Vishinskij italiana. I i soldini che raggranella con le sentenze a lei favorevoli... bèh, in altre sedi molto spesso si ricorre alle collette per aiutare qualche collega in difficoltà.
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