08 marzo 2013

Indennizzi


La Corte di Cassazione ha definitivamente deciso che il quotidiano Il Giornale dovrà versare un indennizzo di centomila euro alla dottoressa Ilda Boccassini, che si è ritenuta offesa e diffamata da un articolo nel quale si commentavano alcuni suoi atteggiamenti in relazione a vari procedimenti da lei intentati a carico di Silvio Berlusconi. Non è la prima volta che la Boccassini incassa indennizzi dal Giornale, e va detto che la rapidità con cui le sue querele vengono trattate in tutti i gradi di giudizio testimonia che non sempre e non per tutti la giustizia è lenta come si dice.
La legge condanna la diffamazione, come del resto la calunnia, e la considera un reato. Riteniamo quindi perfettamente giusto che, se offesa c’è stata, ci sia un risarcimento. Va rilevato che nel diritto italiano si ha diffamazione anche se quanto affermato non è necessariamente falso. Infatti l’art. 595 del Codice Penale prevede che “Chiunque … comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione è punito… ecc”: in pratica è vietato parlar male o dire maldicenze rispetto ad una persona od una istituzione, anche se quanto detto risulta vero. Ricordiamo che in altri paesi, per esempio nel diritto USA, chi dice il vero o esprime opinioni personali non può essere condannato per diffamazione. In Italia invece dare del ladro ad un ladro autentico costituisce diffamazione.
Ma lasciamo da parte le sottigliezze giuridiche, che peraltro non sono il nostro campo, e veniamo ad alcune considerazioni terra terra, probabilmente da ritenersi del tutto fantasiose da parte degli esperti in materia. La dottoressa Boccassini, Procuratore aggiunto presso il Tribunale di Milano, che probabilmente aspira al titolo di Vishinsky (quello della grande purga sovietica degli anni trenta) italiano , nel corso degli ultimi vent’anni ha intentato una miriade di processi nei confronti di Silvio Berlusconi, accusandolo pubblicamente di ogni sorta di infamie: corruzione, evasione fiscale, riciclaggio e simili. Nella maggior parte dei casi l’indagato è stato prosciolto perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto. Queste pubbliche gratuite accuse non costituiscono forse diffamazione, o addirittura calunnia? Ma nessuno risponde di questi reati, perché i magistrati sono al sicuro da ogni addebito.
E va precisato che la riflessione che precede prende spunto dal caso Berlusconi, ma molti altri soggetti hanno subito la stessa sorte, senza che mai alcun provvedimento sia stato preso nei confronti di chi dispensa gratuite accuse nei confronti di chiunque, forse alla ricerca di facile notorietà. E queste considerazioni non valgono solo per la dottoressa Boccassini, ma per molti altri suoi colleghi, specializzati nelle inchieste fasulle, e che in molti casi, grazie alla notorietà acquisita, sono riusciti ad entrare in Parlamento, naturalmente senza perdere il proprio posto in magistratura. Del resto, se in tutte le professioni del mondo i ripetuti fallimenti sono causa quanto meno di problemi di carriera, nel caso dei magistrati ciò non avviene: l’unico elemento valido per la carriera è l’anzianità.
Beati loro: carriera assicurata e qualche incerto (molto positivo) del mestiere!
Il Bertoldo

1 commento:

Anonimo ha detto...

Diceva Vishinskij: "Datemi tre righe scritte da chiunque ed io lo farò condannare a morte", ed i suoi processi si concludevano con un colpo di pistola alla nuca dell'imputato.
Ma siccome i palloni pieni d'aria che scoppiano non fanno danni (se non economici all'imputato, ed allo Stato per la perdita di tempo) non venite a chiamarmi la dottoressa ilda la Vishinskij italiana. I i soldini che raggranella con le sentenze a lei favorevoli... bèh, in altre sedi molto spesso si ricorre alle collette per aiutare qualche collega in difficoltà.