Tutto
si può dire del segretario del PD, onorevole Pier Luigi Bersani, ma non certo
che non sia rigidamente e coerentemente legato ad una sua originale linea di
condotta: quella di non vincere, mai.
Si
è presentato alle elezioni come leader della coalizione di sinistra e, com’è
ben noto, è riuscito nello straordinario exploit di arrivare primo senza
peraltro vincere. Come leader della coalizione arrivata prima godeva del
diritto di aspirare ad essere il prossimo Presidente del Consiglio. Ottenne infatti
un incarico esplorativo dal Presidente Giorgio Napolitano ed in questa veste
fece tutto il possibile per mantenersi ligio alla propria strategia.
Come
primo passo prese ripetuti contatti con il Movimento Cinque Stelle, il cui
motto era “mai con i vecchi arnesi della politica e con i partiti-zombie”,
nella evidente speranza che questi suoi tentativi finissero in una “non
vittoria”. Di fronte allo stallo evidente della situazione il tradizionale
avversario del PD, il PDL, si offerse di partecipare ad un “governissimo”
guidato dallo stesso Bersani che mettesse mano ad un certo numero di urgenti
provvedimenti condivisi, fra cui una radicale riforma della legge elettorale,
per poi indire nuove elezioni.
Di
fronte alla prospettiva di realizzare il sogno di diventare finalmente
Presidente del Consiglio, sia pur precario, il nostro inorridì: rifiutò la mano
tesa in modo da riuscire anche questa volta a “non vincere”.
Comunque,
dopo oltre cinquanta giorni di melina post elettorale, giunse il momento di
eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, operazione per la quale era
richiesta un’ampia maggioranza: “la nomina deve essere condivisa, perché
dobbiamo eleggere il presidente di tutti gli italiani” dissero tutti. In
qualità di primo alle elezioni (sebbene non vittorioso) spettò a lui fare dei
nomi da sottoporre ai “grandi elettori”.
Ottenuto
il consenso del PDL sul nome di Marini, che al primo scrutinio ottenne
abbastanza voti per essere sicuro del successo alla quarta votazione,
inorridito ad una simile prospettiva, decise, proprio in occasione della quarta
votazione, di cambiare cavallo, puntando sull’on. Romano Prodi, per essere
sicuro di uscirne “non vincitore”, cosa che regolarmente è avvenuta.
Come
si vede, la sua linea della “non vittoria” è stata sempre seguita con costanza
e rigore. Una sola volta il Nostro vi si sottrasse, quando partecipò e vinse
alle primarie del suo partito. Ma si trattò evidentemente di uno strappo
conseguente ad un astutissimo ragionamento: come avrebbe infatti potuto
collezionare tante “non vittorie” se fosse stato bocciato alle primarie? La sua
lungimiranza ha vinto (?).
Il Bertoldo
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